Le metamorfosi “infelici” della politica italiana
di Roberto Roggero
“Attualità”, un termine che spesso (ma non sempre volentieri) è accomunato al concetto di “velocità in tempo reale”. In questo contesto, altrettanto velocemente mutevole è lo scenario politico italiano, che ai comuni mortali appare ormai inevitabilmente, e irreparabilmente, un gioco che si gioca all’interno di un sistema di spartizione di poteri sempre meno legato ai cambiamenti sociali, che le forze politiche, per pigrizia mentale e comoda abitudine, non riescono a fare propri.
Domanda e offerta, come nel commercio, sono i canoni della mutevolezza effimera del sistema in questione, dove la novità, quando non si presenta secondo le “regole”, non è recepita come elemento di utilità, e quindi non trova la corrispondenza e la manifestazione che dovrebbe avere sul piano degli interessi e dei valori comuni. Piuttosto è considerata come la necessità di giungere a nuovi accordi ai vertici, che però sono totalmente incapaci di contestualizzare e produrre un bene comune, sia dal punto di vista quantitativo che soprattutto qualitativo. Alla novità, il sistema reagisce con la produzione di anticorpi, che si concretizzano nella nascita di inutili (quando non dannose) forze politiche da un giorno all’altro, che si arrogano il diritto di mercanteggiare seggi in Parlamento.
Secondo il buon senso, e quella che dovrebbe essere una regola democratica, una nuova forza politica, e tutti coloro che decidono di abbandonare lo schieramento di appartenenza, dovrebbero riproporre la propria candidatura alle elezioni e quindi, in base alle preferenze, accedere o meno alle aule di governo, invece nulla di tutto questo.
Quando nasce dal nulla una nuova formazione politica, regna sovrana la approssimazione e la superficialità. A che cosa possono essere utili quindi, queste nuove forze, se non incarnano alcuna rivitalizzazione o ristrutturazione? E che dire della decadenza di quello che un tempo era il linguaggio della politica, tanto caro a politici puri come i vari Aldo Moro, Enrico Berlinguer, Giorgio Almirante?
Allo stesso modo, per dare una illusione di “meccanismo funzionante”, i partiti politici hanno tirato fuori dal cilindro le “primarie”, che non a caso non sono state adottate da tutte le forze politiche e sembrano più uno stratagemma di propaganda che un reale strumento di aggregazione e scelta di nuovi soggetti, nonché espressione di progettualità e serie intenzioni. Il problema è che se anche esistesse un meccanismo funzionante, è il sistema nel suo insieme ad essere inceppato perché malfunzionante.
Il paradosso è di una politica che tanto più si complica, rispetto alle questioni che ne compongono l’agenda, tanto più sembra costringere a scelte partecipative o di voto che si semplificano attorno a singole domande (sicurezza, precariato, immigrazione, scuola, ecc.) piuttosto che attorno a un progetto generale che non appare visibile né in forma chiara né come elemento discriminante fra l’uno e l’altro degli schieramenti in campo.
A questo punto scatta la competizione sui singoli argomenti, che solo apparentemente premia chi li aveva portati all’attenzione politica, e lo stesso confronto (che dovrebbe essere costruttivo) assume toni nebbiosi, contorni fumosi, e una calma apparente e forzata che fa sembrare non esistere conflitto alcuno. Insomma “l’operazione è riuscita, ma il paziente è morto”.
Le nuove offerte politiche hanno seppellito la cultura e la contaminata e fragile memoria di un modo di fare politica che non ha più diritto di essere, come risultante dell’analisi del mutamento sociale, culturale e politico degli ultimi anni.
Mutamenti ce ne sono stati. Se la Prima Repubblica ha avuto termine con “non “Mani Pulite” e la scomparsa della DC, sulla stessa strada abbiamo visto la scomparsa del PCI, PLI, PSI, PRI e di altri partiti che avevano contribuito alla rinascita del dopoguerra. Oggi il segnale di questi mutamenti sono evidenziati dalle conseguenze, prima di tutto la totale assenza di figure di riferimento che conservino solo un’ombra dell’ideologia originale, dalla Sinistra alla Destra, passando per tutto l’emiciclo.
Che non esistano più Destra, Sinistra, Centrodestra o Centrosinistra può anche non essere un male, ma l’assenza di riferimenti si, questo si, perché il rapporto che i cittadini hanno con la sfera politica si ferma in massima parte nello stare un passo indietro. Non esistono più militanza, appartenenza, sviluppo, e la lunga lista di istituzioni nelle quali confluisce la politica, è vista in modo sostanzialmente critico, oppure con il disinteresse, l’assenteismo alle urne, il rifiuto, che sono tutte espressioni della stessa faccia: mancanza di credibilità (sia in politica interna che in politica estera, dove il discorso diventa ancora più “spinoso”), che produce un’alternanza di maggioranze costituite in modo significativo da una parte mobile di elettorato, che più che esprimere consenso, esprime dissenso, con un grande, immenso carico di ambivalenze.
Valorizzare le differenze, garantire il diritto di esistere a ogni diversità, tutelare autonomie e pluralità, sono tutti valori di importanza innegabile, ma bisogna stare molto attenti, perché se le differenze sono uno dei pilastri delle relazioni interpersonali e della convivenza civile, l’esplosione di tutto questo può comportare disgregazione, perdita dei legami essenziali che rendono possibile la solidarietà, e il perseguimento di scopi comuni.
E’ quindi comprensibile che servano a ben poco manifestazioni come i “girotondi” di Nanni Moretti (che ormai ben pochi ricordano), o la nascita di una forza politica-non politica come il Movimento 5 Stelle, che proponevano il modello “noi non siamo loro”, senza però dare una identità né al “noi”, né al “loro”. Esistono certo fenomeni che nascono con le migliori intenzioni possibili, con il giusto seguito di mobilitazione popolare, e per cause estremamente importanti come lavoro, istruzione, giustizia, diritti civili, ecc, ma non ci si domanda perché fatichino a generare nuovi e duraturi fenomeni collettivi.
Si percepisce una ancora insoddisfatta voglia di nuovo, voglia di protesta, di difendere certezze, ma è necessario saper scegliere quelle da lasciare perché ormai non più tali. Il tutto da parte di una società che, volente o nolente, non può sottrarsi dal cercare significati e parametri adatti ai tempi nuovi, e preda di un governo che sta diventando sempre di più il governo del denaro organizzato, pericoloso esattamente come quello del crimine organizzato. In questo quadro si inserisce il ciclopico business dei vaccini, fra Stati acquirenti, multinazionali farmaceutiche e cittadini non obbligati ma a rischio di essere retrocessi in Serie B se non allineati. Viva il libero arbitrio…
La politica dovrebbe essere consapevole del modo in cui devono essere affrontate le grandi questioni, gestendo in modo più oculato la ormai inevitabile subordinazione dell’economia e ritenendo fondamentale il rispetto della legalità.
Forse dalla politica italiana doveva venire un segnale più forte dopo il rapporto della Commissione Europea che attribuisce all’Italia il 50% della corruzione nei Paesi dell’Unione, invece si è gridato al complotto, si è fatta qualche variazione sui criteri che hanno portato a quella conclusione, mentre era una buona occasione per riflettere sul fatto che la corruzione italiana non è misurabile solo in termini quantitativi, ma deve esserlo soprattutto in termini qualitativi. Questo non avviene perché la politica italiana è precipitata in un vuoto dove ha perduto capacità di comprendere la società, lasciando spazio (senza pensare alle conseguenze) alla sfiducia dei cittadini e alla conversione della politica in protesta. La politica italiana è stata quindi sconfitta da sé stessa. Di questa sconfitta vogliamo parlare e ragionare, o vogliamo continuare a usare la cronaca, in modo assolutamente improprio, per eludere questo obbligo?
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Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione(Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]