Nuovo avviso Ema sulla sindrome da perdita capillare (Cls) e il vaccino anti-Covid di Moderna. Nella sua ultima riunione (7-10 marzo), il Comitato di farmacovigilanza Prac dell’Agenzia europea del farmaco ha raccomandato di aggiungere alle informazioni di prodotto di Spikevax* un’avvertenza relativa alle riacutizzazioni di Cls. Si tratta – ricorda l’Ema – di una condizione estremamente rara e grave che provoca fuoriuscita di liquidi dai piccoli vasi sanguigni, i capillari, causando rapidamente gonfiore di braccia e gambe, improvviso aumento di peso, sensazione di svenimento, ispessimento del sangue, bassi livelli ematici di albumina e bassa pressione sanguigna. La sindrome è spesso correlata a infezioni virali, certi tumori del sangue, malattie infiammatorie e alcuni trattamenti farmacologici.
Il Prac – riferisce l’ente regolatorio Ue – ha valutato tutti i dati disponibili e tutti i casi di Cls riportati nel database Eudravigilance dopo la somministrazione dei vaccini Covid-19 a mRna di Moderna e di Pfizer/BioNTeche (Comirnaty*). Complessivamente sono stati esaminati 55 segnalazioni di Cls, 11 con Spikevax su circa 559 milioni di dosi somministrate e 44 con Comirnaty su 2 miliardi di dosi somministrate.
Vaccino Moderna e sindrome da perdita capillare, l’avvertenza
Il comitato ha concluso che «non ci sono prove sufficienti per stabilire un’associazione causale tra i due vaccini e l’insorgenza di nuovi casi di Cls». Tuttavia, gli esperti hanno consigliato l’inclusione di un’avvertenza nelle informazioni di prodotto relative a Spikevax, per aumentare la consapevolezza di sanitari e pazienti sul potenziale rischio di riacutizzazioni Cls. Il Prac ha raccomandato l’avviso poiché «alcuni casi di riacutizzazioni Cls indicavano un’associazione con Spikevax, mentre i casi segnalati dopo la vaccinazione con Comirnaty non supportavano tale associazione».
Gli operatori sanitari devono essere consapevoli dei segni e sintomi della Cls – sottolinea l’Ema – e di un possibile rischio di riacutizzazioni nelle persone con una storia di sindrome. Le persone con Cls pregressa dovrebbero consultare il proprio medico curante durante la pianificazione della vaccinazione anti-Covid.
Tribunale francese: Gli effetti collaterali del vaccino sperimentale sono pubblici e il defunto lo ha fatto volontariamente. Non esiste qui una legge che costringa a vaccinarsi. Pertanto la sua morte è un suicidio.
Le assicurazioni tedesche sulla vita possono rifiutarsi di pagare i premi nel caso di danni per effetti collaterali da vaccino? Sì, se la vaccinazione è obbligatoria. ADAC pubblica dal 2007 una propria guida nella quale esclude il pagamento dei danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie, quindi compresa quella COVID per le categorie obbligate, nel caso questi incorrano. La Stessa ADAC lo ricorda in un proprio tweet emesso in tempi non sospetti.
Un caso diverso è successo in Francia secondo l’avvocato della famiglia, Carlo Alberto Brusa, una compagnia di assicurazioni sulla vita si è rifiutata di pagare una polizza di assicurazione sulla vita per una persona morta a causa di un’iniezione di vaccino COVID-19. La compagnia assicurativa ha giustificato il rifiuto di pagare la polizza perché i vaccini COVID-19 sono considerati un farmaco o un trattamento sperimentale e comunque volontario, per cui escluso dalle coperture assicurative.
La famiglia ha fatto causa e il tribunale francese ha stabilito: Gli effetti collaterali del vaccino sperimentale sono stati resi pubblici e il defunto non ha potuto rivendicare l’ignoranza quando ha preso volontariamente il vaccino. Non esiste una legge o un mandato in Francia che lo costringa a essere vaccinato. Pertanto, la sua morte è essenzialmente un suicidio.Cioè un atto derivante da una scelta volontaria.
Cosa succede in Italia? Vista la non rapidità della nostra giustizia, i casi in corso avranno una pronuncia fra udiversi mesi. In generale bisognerebbe analizzare le singole polizze, cosa coprivano e cosa non coprivano (così imparate a firmare senza leggere). Di sicuro non c’è nessuna generalizzazione nella copertura degli effetti avversi, anche perché, se no, non si spiegherebbe come mai Unipol, offra, non gratuitamente, una polizza assicurativa SPECIFICA per gli effetti avversi. Anzi è nato proprio un settore che coperte tutto questo genere di rischio. Perché le assicurazioni dovrebbero assicurare un rischio coperto già da altre polizze, magari loro?
11 marzo 2022 – (a cura della Redazione Co.Te.L.I.)
Manlio Dinucci, l’unico analista di spessore a scrivere su Il Manifesto, spiega i motivi per cui ha deciso di porre fine alla lunga collaborazione con il quotidiano.
(di Manlio Dinucci) – L’8 marzo, dopo averlo per breve tempo pubblicato online, il Manifesto ha fatto sparire nottetempo questo articolo anche dall’edizione cartacea, poiché mi ero rifiutato di uniformarmi alla direttiva del Ministero della Verità e avevo chiesto di aprire un dibattito sulla crisi ucraina. Termina così la mia lunga collaborazione con questo giornale, su cui per oltre dieci anni ho pubblicato la rubrica L’Arte della guerra.
Qui a seguire l’ottimo articolo censurato.
Ucraina, era tutto scritto nel piano della Rand Corp – Manlio Dinucci
Il piano strategico degli Stati uniti contro la Russia è stato elaborato tre anni fa dalla Rand Corporation (il manifesto, Rand Corp: come abbattere la Russia, 21 maggio 2019). La Rand Corporation, il cui quartier generale ha sede a Washington, è «una organizzazione globale di ricerca che sviluppa soluzioni per le sfide politiche»: ha un esercito di 1.800 ricercatori e altri specialisti reclutati da 50 paesi, che parlano 75 lingue, distribuiti in uffici e altre sedi in Nord America, Europa, Australia e Golfo Persico. Personale statunitense della Rand vive e lavora in oltre 25 paesi.
La Rand Corporation, che si autodefinisce «organizzazione non-profit e non-partisan», è ufficialmente finanziata dal Pentagono, dall’Esercito e l’Aeronautica Usa, dalle Agenzie di sicurezza nazionale (Cia e altre), da agenzie di altri paesi e potenti organizzazioni non-governative.
La Rand Corp. si vanta di aver contribuito a elaborare la strategia che permise agli Stati uniti di uscire vincitori dalla guerra fredda, costringendo l’Unione Sovietica a consumare le proprie risorse nell’estenuante confronto militare. A questo modello si è ispirato il nuovo piano elaborato nel 2019: «Over-extending and Un-balancing Russia», ossia costringere l’avversario a estendersi eccessivamente per sbilanciarlo e abbatterlo.
Queste sono le principali direttrici di attacco tracciate nel piano della Rand, su cui gli Stati Uniti si sono effettivamente mossi negli ultimi anni.
Anzitutto – stabilisce il piano – si deve attaccare la Russia sul lato più vulnerabile, quello della sua economia fortemente dipendente dall’export di gas e petrolio: a tale scopo vanno usate le sanzioni commerciali e finanziarie e, allo stesso tempo, si deve far sì che l’Europa diminuisca l’importazione di gas naturale russo, sostituendolo con gas naturale liquefatto statunitense.
In campo ideologico e informativo, occorre incoraggiare le proteste interne e allo stesso tempo minare l’immagine della Russia all’esterno.
In campo militare si deve operare perché i paesi europei della Nato accrescano le proprie forze in funzione anti-Russia. Gli Usa possono avere alte probabilità di successo e alti benefici, con rischi moderati, investendo maggiormente in bombardieri strategici e missili da attacco a lungo raggio diretti contro la Russia. Schierare in Europa nuovi missili nucleari a raggio intermedio puntati sulla Russia assicura loro alte probabilità di successo, ma comporta anche alti rischi.
Calibrando ogni opzione per ottenere l’effetto desiderato – conclude la Rand – la Russia finirà col pagare il prezzo più alto nel confronto con gli Usa, ma questi e i loro alleati dovranno investire grosse risorse sottraendole ad altri scopi.
Nel quadro di tale strategia – prevedeva nel 2019 il piano della Rand Corporation – «fornire aiuti letali all’Ucraina sfrutterebbe il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia, ma qualsiasi aumento delle armi e della consulenza militare fornite dagli Usa all’Ucraina dovrebbe essere attentamente calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio in cui la Russia, a causa della vicinanza, avrebbe vantaggi significativi».
È proprio qui – in quello che la Rand Corporation definiva «il maggiore punto di vulnerabilità esterna della Russia», sfruttabile armando l’Ucraina in modo «calibrato per aumentare i costi per la Russia senza provocare un conflitto molto più ampio» – che è avvenuta la rottura. Stretta nella morsa politica, economica e militare che Usa e Nato serravano sempre più, ignorando i ripetuti avvertimenti e le proposte di trattativa da parte di Mosca, la Russia ha reagito con l’operazione militare che ha distrutto in Ucraina oltre 2.000 strutture militari realizzate e controllate in realtà non dai governanti di Kiev ma dai comandi Usa-Nato.
L’articolo che tre anni fa riportava il piano della Rand Corporation terminava con queste parole: «Le opzioni previste dal piano sono in realtà solo varianti della stessa strategia di guerra, il cui prezzo in termini di sacrifici e rischi viene pagato da tutti noi». Lo stiamo pagando ora noi popoli europei, e lo pagheremo sempre più caro, se continueremo ad essere pedine sacrificabili nella strategia USA.
________________________ [Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]
Nel silenzio generale della maggior parte degli organi di informazione, da tempo ormai totalmente asserviti al governo, l’Italia si prepara a subire l’ennesima svendita. Con la firma, inconfondibile, di Mario Draghi, l’uomo che dal panfilo Britannia inaugurò la folle stagione delle privatizzazioni e che ora si prepara a una vera e propria impresa: regalare una delle poche cose buone ancora presenti nell’orbita Rai. Nello specifico Rai Way, società che detiene il controllo e la gestione delle torri di trasmissione del servizio pubblico.
Centinaia di postazioni realizzate e migliorati negli anni. E che, come spiegato dall’Huffington Post, il governo si prepara a svendere, ancora una volta lasciando il Parlamento all’oscuro delle proprie attenzione, a conferma di quanto parole come “chiarezza” e “trasparenza” siano ormai totalmente estranee al vocabolario di Draghi e dei suoi ministri. Rai Way è al momento una società per azioni la cui maggioranza per legge deve rimanere in mano alla Rai Spa, in quanto di interesse nazionale. Proprio su quest’ultimo passaggio il governo si prepara a intervenire, stravolgendolo.
Stando a una bozza dell’ultimo Dpcm pubblicata da Repubblica, infatti, il governo Draghi autorizzerà a breve la Rai a scendere al di sotto del 51% nell’assetto proprietario di Rai Way. Gli analisti delle principali banche, da Intesa San Paolo ad Akros, hanno già fatto previsioni su una prossima fusione tra la società delle torri televisive ed Ei Towers, dando vita a un gruppo a vocazione continentale. Non mancano alternative, che portano però in maniera ancora più rapida fuori dai confini nazionali.
A far storcere ulteriormente il naso, per non dire di peggio, è poi la motivazione con cui il governo sta tentando di spiegare le sue scelte. Nel testo del decreto si parla, infatti, di “contributo al contrasto al cambiamento climatico” e “rafforzamento dei piani di sviluppo e sostenibilità della Rai”. Come se vendere le torri ai privati contribuisse a salvaguardare l’ambiente o servisse, di colpo, a coprire il buco di bilancio. Al di là delle reali intenzioni, un’operazione che conferma ancora una volta la vocazione di Draghi: svendere il patrimonio pubblico italiano, privando il Paese di asset strategici fondamentali.
11 Marzo 2022 – Redazione Co.Te.Li – Fonte: EventiAvversi
La Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti è stata costretta da un ordine del tribunale a pubblicare tutti i documenti riservati inviati loro da Pfizer in merito all’approvazione dell’uso di emergenza dell’iniezione di Covid-19 di Pfizer. 10.000 nuove pagine sono state pubblicate il 1 ° marzo e uno dei documenti contenuti conferma che il vaccino Pfizer Covid-19 si accumula nelle ovaie nel tempo.
Quali sono le conseguenze?
I dati ufficiali del Regno Unito mostrano che i casi di cancro ovarico nel 2021 sono stati ai massimi storici e il regolatore della medicina del Regno Unito ha ricevuto oltre 40.000 segnalazioni relative a disturbi riproduttivi e mestruali sospettati come reazioni avverse alle iniezioni di Covid-19 nel solo 2021.
Lo studio, che può essere trovato nella lunga lista di documenti riservati Pfizer che la FDA è stata costretta a pubblicare tramite un ordine del tribunale qui, è stato condotto su ratti Wistar Han, 21 dei quali erano femmine e 21 maschi.
Ogni ratto ha ricevuto una singola dose intramuscolare dell’iniezione di Pfizer Covid-19 e quindi il contenuto e la concentrazione della radioattività totale nel sangue, nel plasma e nei tessuti sono stati determinati in punti predefiniti dopo la somministrazione.
In altre parole, gli scienziati che hanno condotto lo studio hanno misurato quanta parte dell’iniezione di Covid-19 si è diffusa ad altre parti del corpo come pelle, fegato, milza, cuore ecc.
Uno dei risultati più preoccupanti dello studio è il fatto che l’iniezione di Pfizer si accumula nelle ovaie nel tempo.
Un ‘ovaio’ è uno di una coppia di ghiandole femminili in cui si formano gli ovuli e gli ormoni femminili .
Nei primi 15 minuti successivi all’iniezione del vaccino Pfizer, i ricercatori hanno scoperto che la concentrazione lipidica totale nelle ovaie misurava 0,104 ml. Questo è poi aumentato a 1,34 ml dopo 1 ora, 2,34 ml dopo 4 ore e quindi 12,3 ml dopo 48 ore.
Gli scienziati, tuttavia, non hanno condotto ulteriori ricerche sull’accumulo dopo un le 48 ore, quindi semplicemente non sappiamo sel’accumulo sia continuato.
Ma i dati ufficiali del Regno Unito pubblicati da Public Health Scotland offrono alcuni indizi preoccupanti sulle conseguenze di tale accumulo sulle ovaie.
Public Health Scotland (PHS) ha un database completo sugli impatti più ampi di Covid-19 sul sistema sanitario, che trovate qui, e include un’intera gamma di dati dalle statistiche sulla salute mentale alle gravidanze, ai dati sui disturbi cardiovascolari e al cancro.
dati disponibili per tutti i tipi di tumori mostrano che il conteggio totale degli individui affetti da cancro nel 2021 era in linea con la media 2017-2019, ma superiore ai numeri registrati nel 2020.
Sfortunatamente i dati hanno un enorme ritardo e a partire da marzo 2022 coprono solo fino a giugno 2021.
Tuttavia, i dati per il numero di individui affetti da cancro ovarico mostrano che la tendenza nota nel 2021 è stata significativamente superiore al 2020 e alla media 2017-2019.
Oltre a questo abbiamo anche ulteriori dati ufficiali dal Regno Unito che mostrano che quasi 40.000 incidenti di cambiamenti ciclo mestruale e sanguinamento vaginale inaspettato erano stati segnalati allo schema MHRA Yellow Card come reazioni avverse a tutte le iniezioni di Covid-19 disponibili a partire da novembre 2021.
Fino al 17 novembre 21, il regolatore dei farmaci del Regno Unito, l’MHRA, aveva ricevuto 1.724 segnalazioni di disturbi mestruali, 3.034 irregolarità mestruali, 5.068 segnalazioni di sanguinamento mestruale pesante, tra migliaia di altri disturbi riproduttivi, come sospette reazioni avverse al vaccino Pfizer Covid-19.
Nel settembre 2021, la dottoressa Victoria Male, docente di immunologia riproduttiva per l‘Imperial College di Londra, ha pubblicato un articolo sul British Medical Journal in cui afferma che un legame tra i cambiamenti mestruali e la vaccinazione Covid-19 è perfettamente plausibile e dovrebbe essere indagato.
La dottoressa Victoria Male conclude nel suo articolo che “Una lezione importante è che gli effetti degli interventi medici sulle mestruazioni dovrebbero essere indagati nella ricerca futura.
“Le informazioni sui cicli mestruali e sanguinamenti vaginali dovrebbero essere attivamente approfondite nei futuri studi clinici, compresi gli studi sui vaccini covid-19”.
Ma forse più interessante dell’articolo stesso, sono alcune delle risposte che sono state ricevute.
Naturalmente è impossibile dimostrare definitivamente che le iniezioni di Covid-19 siano responsabili di un aumento del cancro ovarico.
Ma con:
Documenti riservati pfizer che dimostrano che il vaccino Covid-19 si accumula nelle ovaie nel tempo,
e oltre 40.000 disturbi mestruali segnalati come reazioni avverse alle iniezioni di Covid-19,
È abbastanza chiaro che le iniezioni di Covid-19 interferiscano con il sistema riproduttivo e ulteriori studi e indagini dovrebbero essere effettuati con effetto immediato.
________________________ [Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia MC Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]
COMINCIAMO A SVELARE IPOCRISIE E CARITA’ PELOSE, DI UNA SOLIDARIETÀ TUTTA DI FACCIATA VERSO IL POPOLO UCRAINO, DI CUI L’ITALIA, E’ CAMPIONE DEL MONDO! MA C’E’ CHI, UCRAINO CHE VIVE A ROMA, SVELA COME CHI LO CONDANNAVA E ALLONTANAVA PER NON ESSERSI VACCINATO, ADESSO GLI MANIFESTA SOLIDARIETA’E AIUTO!
Sono ucraino e non vaccinato: sono disgustato da questa solidarietà ipocrita.Chi mi chiama oggi, fino a ieri era tra quelli che mi odiavano per via della dose. Mi chiamo Andriy, sono ucraino, ho 40 anni e da 22 vivo a Roma. In questo periodo, su molti canali televisivi italiani, seguo i talk show (il nome stesso già dice molto) sulla guerra. Guardandoli attentamente ho notato una cosa tragicomica: caso strano è che la pièce della spettacolarizzazione di questa terribile tragedia per gli ucraini pare che abbia la stessa sceneggiatura usata per la narrazione della pandemia. Lo ha riportato Green Pass News.
Quelli che per due anni si erano improvvisati infettivologi e biologi ora sono tutti esperti di guerra e di storia dell’Est.I protagonisti continuano a dividersi in due categorie: da una parte ci sono quelli che rappresentano il pensiero del politicamente corretto, condannano la guerra senza se e senza ma e si sgolano richiamando tutti alla solidarietà comune; poi ci sono quelli per cui i se e i ma rappresentano un dettaglio non secondario, ma vengono subito aggrediti e additati come i guerrafondai e putinisti, una specie di no vax di una volta.
A proposito di solidarietà, tante persone che ora mi esprimono la loro solidarietà e mi si offrono per ogni tipo di aiuto sono le stesse persone che per due anni, mentre io non vaccinato ero forzatamente rinchiuso dentro casa e letteralmente soffrivo la fame, senza un lavoro e senza dignità, si voltavano dall’altra parte, facendo finta di non accorgersene. È possibile ci voglia una guerra per farci diventare tutti più buoni? A me personalmente questa solidarietà sa molto di ipocrisia, anzi, sembra quasi un sinonimo della parola falsità e in molti casi viene usata solo in funzione a quello che uno vuole sembrare e non essere.
La Thunberg, o meglio chi la manovra, questa volta l’ha fatta grossa. Solitamente viene pubblicata ogni settimana una sorta di guida per i suoi adepti nella quale si danno le indicazioni di chi colpire o esaltare nelle comunicazioni via social. Solo che, per unaa gaffe clamorosa, è stato pubblicato il programma sbagliato, che indicava un obiettivo politico grosso, molto grosso:
Praticamente nel primo programma si chiedeva di seguire Rihanna, rilanciandola, nell’attaccare il governo indiano del Premier Modi e nel dare spazio alle grandi manifestazioni in corso nel subcontinente da parte dei contadini:
Dopo pochi minuti invece questo post è stato cancellato e sostituito da uno politicamente neutro sull’Inquinamento dei residui dei farmaci nell’ambiente:
La polizia indiana è però molto suscettibile e, nonostante il primo post sia durato solo pochi minuti (evidentemente qualcuno avrà telefonato al team Thunberg….), ha deciso d’indagare non tanto direttamente la Thunberg, quanto chi nel suo team ha postato il primo messaggio cancellato. Tanto si dà per scontato che la profetessa green non faccia nulla.
Anche a livello ministeriale ci sono state delle violente reazioni che parlano di “Complotto internazionale smascherato” per mettere in difficoltà l’India ed il suo governo, come indica chiaramente questo post del ministro Singh:
Cosa si può comprendere da questo pasticcio compiuto dal team Thunberg? Semplicemente:
la cara Greta non conta nulla e dietro di lei c’è un team, anche di pasticcioni;
che le autorità sanno benissimo che lei non conta quasi nulla, tanto che neanche la indagano;
che nel team Greta ci sono governi di cui si può dire peste e corna, anche perchè non ti mandano in galera, ma ci sono governi che sono INTOCCABILI, come appartenenti ad una “Casta superiore”, e questo nonostante il loro agire sia ecologicamente, democraticamente, non limpido;
che la sua figura non è che un’operazione di marketing, anche piuttosto stantia e banale.
E pensare che a Bruxelles è vista come una sorta di novello Messia. quanto è facile convincere i gonzi, o chi vuole passare per tale…
Enrico Letta con l’elmetto, la scritta ‘iscriviti al Pd’ per la ‘campagna di arruolamento 2022’, il logo dei dem e uno sprezzante ‘spezzeremo le reni alla Russia’. Sono i manifesti con cui gli attivisti del Collettivo Militant e alcuni movimenti romani della sinistra radicale hanno tappezzato nella notte il centro della Capitale, puntando il dito contro il Pd “colpevole di aver promosso e foraggiato il pericoloso coinvolgimento dell’Italia nel conflitto russo-ucraino”.
Le affissioni, nelle strade limitrofe la Camera e il Senato, ma anche via del Corso, piazza del Gesù, via del Plebiscito, il Pantheon, via Nazionale, via Tomacelli e via della Scrofa tra le altre, contestano con un manifesto ‘fake’ l’interventismo militare e la Nato mettendo nel mirino i dem. adnkronos
10 Marzo 2022 – Redazione – di Walter Ferri – L’Indipendente
Zhao Lijian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha sollevato l’attenzione su un’ennesima insidia presente sul territorio ucraino, quella dei centri di ricerca biologica, centri che potrebbero facilmente cadere nelle mani di malintenzionati. Nello specifico, stando alle parole di Zhao, sui territori contesi sarebbero presenti ben 26 biolab collegati per vie traverse al Dipartimento della Difesa statunitense, dettaglio che certamente non mette in buona luce le manovre della Casa Bianca.
Il diplomatico di Beijing non ha mancato di chiedere spiegazioni a Washington, tuttavia perplessità affini sono state sollevate anche dagli stessi senatori americani, i quali hanno indagato lo stato delle cose scomodando la Commissione delle relazioni estere. In tale sede, Victoria Nuland, Segretaria di Stato, ha parzialmente confermato le voci di corridoio, evitando accuratamente di scendere nei dettagli.
«L’Ucraina ha centri di ricerca biologici, il che solleva preoccupazioni legate al fatto che le truppe e le forze russe possano voler assumere il controllo delle strutture», ha dichiarato Nuland. «Per questo motivo stiamo lavorando con gli ucraini per capire come possano prevenire che i materiali di ricerca finiscano nelle mani dell’esercito russo, qualora questi si avvicinasse».
Cosa ci sia dentro a quei laboratori, difficile a dirsi. Formalmente, le carte rivelano che gli USA abbiano deciso di sostenere attraverso il Department of Defense’s Biological Threat Reduction Program molteplici nazioni ex-sovietiche nell’ottica di sviluppare un programma di analisi di patogeni e tossine utile a contrastare epidemie «deliberate, accidentali o naturali». Uno scopo virtuoso che, accusano gli avversari politici, non è però necessariamente garanzia del mantenimento di un comportamento retto.
Come ci insegna il caso di Wuhan, questo genere di biolab custodiscono informazioni estremamente sensibili, quindi non è raro che i Governi preferiscano fornire risposte vaghe a domande specifiche e la trasparenza viene abbandonata in favore di un’omertà che finisce immancabilmente con il fomentare dubbi. La presenza dei laboratori di ricerca in Ucraina è stata dunque sfruttata negli ultimi anni da Russia e Cina per intavolare narrative pungenti, le quali sono state più recentemente abbracciate anche dagli influencer dell’alt-right statunitense, primo tra tutti da quell’Alex Jones noto per InfoWar.
Quello che sappiamo è che già nel 2020 la Security Service of Ukraine (SBU), l’Intelligence ucraina, aveva etichettato l’esistenza di biolab stranieri in terra ucraina come “fake news”, esplicitando che le strutture in questione fossero da considerarsi in tutto e per tutto in mano a Kiev, quindi strettamente sorvegliate dal Ministero della Salute locale e gestite in conformità alle leggi nazionali.
Una rassicurazione che certamente non è stata accolta dalla Russia, la quale, attraverso la portavoce Maria Zakharova, sta iniziando a intavolare una lettura dei fatti il cui scopo è suggerire che i laboratori in questione stessero creando armi biologiche coltivando peste, antrace e colera. A distanza impossibile stabilire se questa denuncia poggi su basi o se possa essere una strategia diplomatiche sostanzialmente analoga a quelle adottate in passato dagli Stati Uniti per invadere l’Iraq, ovvero assicurare l’esistenza di pericolosi armamentari in realtà inesistenti per giustificare l’azione militare.
10 Marzo 2022 – Redazione – di Francesco Storace – Il Tempo
Gli affari sono affari anche quando governa Enrico Letta. E poco importa se dall’altra parte a dare il suo assenso c’è Vladimir Putin. In quel caso non è un assassino. O un «animale», come lo definisce ora il diplomaticissimo ministro degli esteri della Repubblica Italiana, Luigi Di Maio.
Riavvolgiamo il nastro a quasi dieci anni fa. Era il 26 novembre del 2013 e a Trieste faceva un freddo cane. E Putin si faceva pure attendere. Ma in quella mattinata gelida Enrico Letta non si fece scrupolo di benedire, proprio di fronte al suo interlocutore russo, la bellezza di 28 accordi nel nome dei due paesi. Se fosse stato un film si sarebbe potuto intitolare tutto in una notte. Ma era mattina.
Non era solo Letta, perché si trattò di un vero e proprio vertice intergovernativo Italia-Russia, descritto come un’occasione di rilancio dei rapporti bilaterali su tanti fronti: ai colloqui partecipavano le squadre dei due governi quasi al completo. Parallelamente, quel giorno si riunivano, nella piazza accanto, gli imprenditori che già all’epoca animavano la cooperazione Italia-Russia. Non si parlava certo di sanzioni.
Il Business Forum promosso dal Foro di dialogo italo-russo e organizzato dall’Ispi fu la culla, in quel novembre 2013, di numerosi accordi firmati con la benedizione di Putin e Letta. Equamente distribuiti in tre “cluster”, finanza, energia e industria: ne furono protagonisti Poste italiane e Selex insieme a Poste russe, Mediobanca con Vnesheconombank, Ubi Banca con Transcapital Bank, Sace, il Fondo strategico italiano della Cassa depositi e prestiti. I grandi gruppi dell’energia, Eni ed Enel, Prysmian nel settore dei cavi per la distribuzione di energia, Fincantieri, Cremonini, Pirelli. L’istituto italiano di tecnologia con Skolkovo, la grande promessa dell’innovazione russa. Letta ovviamente se ne vantò con grande enfasi, snocciolando la firma dei 28 accordi: «Abbiamo molti impegni da implementare – ricorda il nostro archivio – gli accordi devono diventare fatti concreti». Accordi che è difficile sintetizzare in grandi cifre – si preoccupò di specificare – ma che avevano in comune la ricerca di una via di uscita dalla crisi nella conferma della presenza italiana in un Paese difficile e promettente come la Russia.
A rileggere oggi il taccuino di allora non sembra vero. Si parlava di un sostegno all’export che, secondo le previsioni di Sace, in Russia poteva crescere del 10,5% nei quattro anni successivi, arrivando dagli 11 miliardi del 2013 ai 16 miliardi del 2017. Tra le intese più promettenti c’erano quelle dell’Eni, che sottoscrisse due accordi con Rosneft, uno con Novatek e un accordo con il centro per l’innovazione di Skolkovo. Anche all’Enel toccò siglare un’intesa con Rosneft.
Tra gli accordi finanziari, quello di Poste italiane con le Poste russe e Selex e quello del Fondo strategico italiano con il Russian direct investment Fund. Mediobanca e Sace firmarono l’intesa con Veb. Quanto agli accordi industriali, Fincantieri raggiunse l’accordo con il centro navale di ricerca Krylov, Pirelli con Rosneft e Rostek. Tra le intese più interessanti, anche quella ce riguardò UniCredit, con l’obiettivo di portare 500 aziende italiane a investire in Russia.
Però fu l’energia il dossier principale dei colloqui tra Letta e Putin. Chissà se il segretario del Pd, a quasi dieci anni di distanza ne conserva ancora buona memoria. Le bollette di oggi, magari sono figlie anche di quel tempo.
E OGGI IL ”PARTIGIANO” LETTA, DI PUTIN E LA RUSSIA PENSA QUESTO⤵️
Ucraina, Letta: “sanzioni stanno facendo molto male alla Russia”.
Sul tema dell’energia “l’Europa purtroppo non ha una voce unica”, oggi c’è bisogno “di un’Europa forte, coesa” e che abbia “una voce sola. Le sanzioni sono durissime e stanno facendo molto male alla Russia, che è molto vicina al default” sottolinea Letta. (adnkronos)
MA NOI, COMUNI MORTALI, ABBIAMO TUTTA UN’ALTRA IMPRESSIONE SU QUANTO STA ACCADENDO! IL DEFAULT LO STIAMO RISCHIANDO ANCHE NOI!