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22 Aprile 2022 – Redazione – di Giorgio Bianchi – Photojournalist

Myrotvorets è una lista di proscrizione ufficiale del governo ucraino, nella quale vengono resi pubblici i nomi, i cognomi, gli indirizzi, i numeri telefonici, dei giornalisti sgraditi al governo di Kiev. Costoro vengono definiti, tra le altre cose, «criminali».
Andrea Rocchelli, il reporter assassinato nel 2014 durante un bombardamento, è bollato nella lista come «liquidato».

Ovviamente istituzioni e media occidentali, non hanno nulla da eccepire rispetto a questa barbarie. Anzi. Provate per un attimo ad immaginare cosa si sarebbe detto, se fosse esistito qualcosa di simile, stilato però da Mosca.

Con i media russi silenziati, con i pochissimi giornalisti controcorrente schedati e intimiditi, quando non addirittura torturati e sottoposti a processi farsa come Assange, con un’opinione pubblica che accetta in silenzio compiacente tutto questo, c’è ancora qualcuno che ha il coraggio di dire che siamo in democrazia.

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22 Aprile 2022 – Redazione – di Patrizia Floder Reitter – La Verita’

Abuso d’ufficio, sequestro di persona, procurato allarme e violenza privata. Sono queste alcune delle ipotesi di reato rivolte ai ministri giallorossi dalla Procura di Roma per la gestione della pandemia. Tutto parte da una denuncia collettiva a Catania.

Mezzo governo Conte bis accusato di fatti criminosi. La Procura di Roma, in data 28 marzo, ha iscritto nel registro degli indagati gli ancora ministri della Salute, Roberto Speranza, degli Esteri, Luigi Di Maio, dell’Interno, Luciana Lamorgese, della Difesa, Lorenzo Guerini e degli ex titolari dell’Economia, Roberto Gualtieri, della Giustizia, Alfonso Bonafede, delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli, dell’Istruzione, Lucia Azzolina, e dell’Ambiente, Sergio Costa.

Le ipotesi di reato vanno dall’usurpazione di potere politico all’abuso di ufficio aggravato, dal sequestro di persona al procurato allarme, dalla violenza privata alla pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico.

Una sfilza impressionante di condotte di cui dovranno rispondere alla magistratura, e di fronte ai cittadini, per come hanno gestito la pandemia. L’atto formale, è la conseguenza di una denuncia presentata il 12 marzo dello scorso anno da un gruppo di professionisti, tra i quali medici, avvocati e un maresciallo della Guardia di finanza, che si rivolsero alla Procura di Catania dopo aver raccolto una corposa documentazione contro diversi politici che ritengono responsabili dei reati ipotizzati.

Da Catania, la denuncia è finita a Roma, sembra si sia raccolto un faldone con centinaia di atti formali attraverso i quali cittadini e associazioni di tutta Italia hanno messo a conoscenza dell’autorità giudiziaria fatti che possono costituire notizie di reato a carico del ministro della Salute, Speranza, e di ministri confermati e non nell’attuale governo Draghi.

Quelle avanzate nella denuncia di marzo 2021, sono state quasi tutte accolte e sono pesantissime. I denuncianti chiesero che venissero avviate 33 indagini e che fosse accertata «l’effettiva sussistenza dei plurimi profili di falsità, arbitrarietà nell’esercizio da parte del governo del potere politico attribuito per legge al Parlamento, di strumentalizzazione di notizie scientificamente e/o sanitariamente e/o epidemiologicamente false, ovvero manipolazione in malafede di notizie scientificamente vere al fine di imporre all’opinione pubblica (e quindi anche agli eletti in Parlamento […] con conseguente lesione del diritto di elettorato passivo rilevante […] un racconto pandemico falso e volto alla coartazione dei diritti costituzionali e politici dei cittadini.

Primo destinatario della denuncia era l’ex premier, Giuseppe Conte, unico a non comparire nel registro degli indagati. I magistrati hanno chiaramente optato diversamente, anche se nella denuncia si legge chiaramente che occorre verificare se «abbia volutamente distorto il potere di normazione secondaria di cui è stato titolare, nella consapevolezza sua (e degli organi tecnico consultivi, fra i quali in primis il famoso Cts), che i provvedimenti di natura sanitaria fossero privi di presupposti di fatto adeguati a giustificarli».

Quel governo, si afferma, dopo «l’inerzia assoluta nei mesi di febbraio e marzo 2020 […] ha deliberatamente ignorato la Costituzione, utilizzando impropriamente lo strumento della normazione sub regolamentare con i dpcm», un modo di procedere definito «non casuale, ma scientemente meditato e preordinato».

Lo scopo sarebbe stato di «introdurre misure drastiche e limitative dell’esercizio da parte dei cittadini di plurimi diritti costituzionali», e di impedire loro di ribellarsi. La denuncia punta il dito anche contro «Walter Ricciardi e la sua ossessione per il lockdown» e i principali virologi televisivi che hanno insistito per mesi «per imporre misure drastiche di isolamento sociale».

Questa la narrazione del meccanismo, così come viene descritta: «Prima escono in avanscoperta determinati medici virologi a iniziare a spargere prospettive allarmistiche, poi man mano tali annunci terroristici vengono recepiti, senza alcun vaglio critico, dagli organi di stampa che li diffondono per cuocere l’opinione pubblica, e infine, dopo che l’opinione pubblica è stata adeguatamente cotta, finalmente viene adottato il singolo dpcm o la singola ordinanza restrittiva».

Tra le indagini sollecitate, quella volta a conoscere «i criteri tecnico scientifici adttottati per la creazione delle proiezioni a breve, medio e lungo termine elaborate dai cosiddetti esperti» e la motivazione scientifica «della decisione di ricoverare, nel periodo estivo/autunnale del 2020 e in tutto il territorio nazionale numerosissimi soggetti asintomatici, per il solo fatto di essere risultati positivi al tampone».

Viene chiesto l’elenco di tutti coloro che hanno eseguito il test «al fine di verificare se la cifra era reale», quando vennero dichiarati aumenti record di positivi nelle 24 ore. E di verificare il perché della «costante, pervicace e ostinata marginalizzazione, da parte dell’autorità sanitaria nazionale, di pressoché tutte le cure, spregiativamente definite “alternative”».

I denuncianti chiedono anche di sapere «chi sono, quali titoli accademici, tecnici e quali competenze possiedono i sedicenti esperti che hanno suggerito al ministero della Salute di imporre l’uso delle mascherine e del distanziamento sociale anche agli alunni delle scuole, alla riapertura di settembre 2020». Anche adesso, potremmo aggiungere.

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 21 Aprile 2022 – Redazione – Fonte: AffariItaliani

«Dipendiamo per circa il 40% del nostro fabbisogno dal gas di Mosca e quindi è tutta colpa di Putin e dei russi se le nostre bollette sono esplose». È ciò che da settimane ripetono i vari capi di Stato della UE e i media mainstream a canali unificati. «È la guerra che sta facendo esplodere l’equilibrio dei prezzi che avevamo prima con danni per i cittadini».

In sostanza si imputa la crisi energetica e gli aumenti dei costi alla guerra in Ucraina e alla bellicosità russa. Ma basta leggere gli indici di mercato della Borsa Elettrica per scoprire che è una bufala, scrive Affari Italiani. I prezzi sono aumentati in modo vertiginoso dal giugno-luglio 2021 con una crescita esponenziale da agosto 2021, ben lontani dai venti di guerra. La curva è chiara: da metà 2021 sale alle stelle fino a dicembre 2021, poi cala un po’ e risale oggi con la guerra e le sanzioni alla Russia (guarda la tabella). In più sono proprio le misure occidentali, adottate dagli USA a guida dei Democratici per contrastare i russi, a fare alzare i costi europei.

Energia: per gli analisti a cosa è dovuto l’aumento dei prezzi

La crisi energetica è dovuta, spiegavano già nel 2021 molti siti americani di analisi di settore ma anche centri di ricerca sulle politiche pubbliche come il Brookings Institution, per un combinato disposto di tre fattori, scrive ancora Affari.
La crisi ha tre elementi distintiscrivono gli studiosi del Brookings, “il COVID-19 e l’interruzione della catena di approvviggionamento, la maggiore interconnessione dei mercati del gas naturale e la volatilità dei prezzi dell’energia durante la transizione energetica dai combustibili fossili”.
Se la guerra attuale ha esasperato la situazione è stata la pandemia a provocare un calo storico della domanda e dei prezzi dell’energia. Ora che stiamo uscendo dalla pandemia la ripresa ha fatto impennare il prezzo. Il mercato non è elastico e ha bisogno di tempo per adattarsi con gli speculatori che hanno gioco facile nel far lievitare i prezzi. Le politiche green dell’Unione Europea e degli USA hanno fatto il resto, togliendo pezzi di cuscinetti di contenimento, come ad esempio il carbone perché inquinante e il diesel (che si usa meno negli USA ma tantissimo in Europa), contribuendo agli aumenti. Va ricordato quanto l’ex presidente repubblicano Donald Trump si dicesse contrario alle strategie green così come le stiamo adottando.
“I mercati dell’energia sono naturalmente anelastici ai prezzi e quindi volatili”, spiegano quelli di Brookings a dicembre 2021, “tuttavia, la recente enfasi sull’ambiente e sull’accessibilità economica durante la prima parte della transizione energetica potrebbe aver portato a una minore attenzione alla sicurezza energetica.

Anche la nuova interconnessione dei mercati energetici tra combustibili e aree geografiche ha cambiato il modo in cui si diffondono le crisi. Misure come le riserve strategiche e la risposta alla domanda potrebbero richiedere maggiore attenzione, insieme a programmi per aiutare i consumatori a basso reddito, che sono sempre i più colpiti quando i prezzi dell’energia sono elevati. Diversificare l’approvvigionamento energetico con le rinnovabili aiuterà anche, poiché una volta costruite, queste fonti non sono soggette ai capricci dei mercati globali”.

Tradotto. I prezzi del gas naturale si sono impennati in Europa con l’aumento della domanda a livello globale, il tutto in concomitanza con il mancato arrivo delle materie prime che si erano fermate, come attività di estrazione/produzione, in relazione ai lockdown dei vari Paesi. Ora che stiamo ripartendo i prezzi vengono spinti in alto, vista la mancata regolazione dei mercati fatta dai Stati. Questo scenario è andato di pari passo con la crescita rapida dell’inflazione (aumento dei prezzi o anche riduzione del potere d’acquisto della moneta), spinta dalla riapertura delle attività economiche post pandemia, dal rincaro dei beni energetici e dal rapporto con la condizione precedente, la pandemia, in cui l’inflazione era molto bassa. In attesa delle rinnovabili, su cui non si è mai investito seriamente, siamo in braghe di tela.

Energia, la crisi del diesel

In più c’è il diesel (o gasolio), in riduzione di scorte da anni, viste le politiche green adottate che hanno fatto scegliere a molte case automobilistiche di dismetterlo, che ha ricevuto un colpo mortale con il quadro esistente, tra guerra e sanzioni alla Russia. Molta economia produttiva europea, agricoltura, pesca, estrazioni, trasporti, dipende dal gasolio. Il 50% del diesel importato è russo. Il carburante per motori diesel, in gran parte, va acquistato già raffinato perché le industrie europee non si sono adeguate all’attività. Il prezzo non può che salire, viste le sanzioni alla Russia e la ricerca di altre fonti di approvigionamento.
E c’è un problema immediato. Secondo i dati di Airp, l’Associazione italiana ricostruttori pneumatici, 96 camion italiani su 100 viaggiano con il diesel (il 96,3% per la precisione). Gli altri Paesi europei non sono in condizioni tanto dissimili. Quindi con un aumento sproporzionato dei costi del diesel rischiamo di fermare le merci che non arriveranno né sugli scaffali né altrove. Un evento disastroso sulle economie del continente che non ricadrebbe però su quella USA che utilizza di più la benzina. Dietro ci sono motivi storici legati alla crisi energetica degli anni ‘70 del secolo scorso e della scelta degli europei di usare più gasolio che benzina.

Energia: come i governanti rispondono all’aumento dei prezzi

In questo quadro cosa fanno i nostri governanti europei e i media mainstream? Ripetono la propaganda: è tutta colpa di Putin e della guerra se aumentano i prezzi, facendo eco alle strategie USA di Joe Biden e dei Democratici che si stanno dimostrando incapaci di regolare l’inflazione e contenere la crisi energetica ma capaci di far crescere una parte dell’economia nel solito vecchio modo, quello di investire negli armamenti USA. Il presidente Usa Joe Biden ha reso noto il budget per l’anno fiscale 2023: 5.800 miliardi di dollari, di cui 813 miliardi andranno in spese per la Difesa, con un aumento del 4% rispetto all’anno fiscale in corso.
I nostri governanti europei e italiani sanno benissimo che con le proprie scelte, le sanzioni, la ricerca di altre fonti, la mancata regolazione del mercato con un diverso rapporto con i fornitori di energia, oltre a non avere alcun impatto sulla guerra in Ucraina, ammazzano le economie europee e i popoli che abitano nel continente. Ma oramai la maggioranza dei politici sembrano servire solo il proprio interesse personale e non quello dei popoli che li hanno eletti. E adesso comandano gli USA a trazione Democratici, quindi meglio adeguarsi alle loro strategie, conclude.

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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia MC Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]

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20 Aprile 2022 – Redazione

«Una delle cose speranzose che ho scoperto è che quasi tutte le guerre iniziate dagli anni ’50, sono state il risultato delle bugie dei media.» Lo dichiarava Julian Assange già nel 2011. «I media avrebbe potuto fermarle. Se cercassero abbastanza in profondità, se non avessero ristampato la propaganda del governo, avrebbero potuto fermarle. Cosa significa? Beh, fondamentalmente che alle popolazioni non piacciono le guerre e le popolazioni devono essere ingannate per le guerre, e con gli occhi aperti vanno in guerra. Quindi se avessimo una buona situazione dei media, allora avremmo anche un ambiente tranquillo. Il nostro nemico numero uno è l’ignoranza, credo che sia il nemico numero uno, nessuno capisce cosa sta realmente succedendo nel mondo, è solo quando inizi a capire che puoi prendere decisioni efficaci e fare piani efficaci. Ora la domanda è: chi promuove l’ignoranza? Bene, quelle organizzazioni che cercano di mantenere le cose segrete e quelle organizzazioni distorcono le informazioni vere per renderle false o travisate, in quest’ultima categoria si tratta di media cattivi. È davvero mia opinione che i media in generale siano così cattivi. Dobbiamo chiederci se il mondo non sarebbe migliore senza di loro, ci sono dei giornalisti molto, molto bravi e lavoriamo con molti di loro e alcune belle organizzazioni di media, ma la stragrande maggioranza è orribile, è così distorta su come sia effettivamente il mondo. Il risultato è che vediamo continuare guerre e governi corrotti».

La Westminster Magistrates’ Court di Londra ha emesso l’ordine formale di estradizione negli Usa per Julian Assange. Salvo un ricorso dell’ultimo minuto presso l’Alta Corte, spetta ora alla ministra degli Interni, Priti Patel, dare il suo via libera finale (ritenuto scontato) al trasferimento dell’attivista australiano negli Stati Uniti, scrive Repubblica.

Negli Usa il cofondatore del sito WikiLeaks rischia una pesantissima condanna per aver contribuito a diffondere documenti riservati su crimini di guerra commessi dalla forze americane in Iraq e Afghanistan. Il placet della ministra è previsto entro un termine massimo di 28 giorni.

L’ordine di estradizione nei confronti del fondatore di Wikileaks è stato emesso durante una breve udienza, durata solo sette minuti, dal giudice Paul Goldspring. «In parole povere, ho il dovere di inviare il caso al ministro per una decisione», ha affermato il magistrato.

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21 Aprile 2022 – Redazione

Diversi leader del G20 si sono alzati e hanno lasciato l’incontro del G20 a Washington quando il ministro delle finanze russo Anton Siluanov ha iniziato a parlare. Tra coloro che hanno abbandonato la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti. Lo riferisce il Washington Post, secondo cui ha lasciato la riunione anche la delegazione ucraina tra le altre.

Il premier e il ministro delle Finanze di Kiev – presenti all’incontro sotto presidenza indonesiana – avevano parlato prima della Russia. Già ieri era emerso che la Yellen avrebbe boicottato alcuni degli incontri del G20, ma non era chiaro quando lo avrebbe fatto o se le avrebbe fatto durante gli interventi della delegazione russa.

 

 

Paolo Gentiloni si alza e se ne va

Anche Il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, durante la sessione del G20 a Washington dedicata ai ministri delle Finanze e ai banchieri centrali, ha lasciato la sala quando si è collegato Siluanov, a quanto si apprende a Bruxelles. Durante l’incontro Gentiloni si è felicitato per la partecipazione del ministro delle Finanze ucraino, Serhy Marchenko. Il commissario ha anche sottolineato che l’Ue “condanna fortemente l’aggressione militare non provocata ed ingiustificata contro l’Ucraina, che viola il diritto internazionale e la Carta delle Nazioni Unite, minando la sicurezza e la stabilità internazionale”.

Il ministro dell’Economia Daniele Franco, secondo quanto si apprende, è invece rimasto. Anche i ministri della Germania e della Spagna sono rimasti come è rimasto nella sala anche il rappresentante della Francia. L’Italia, come membro della Troika che è composta dal Paese che detiene la Presidenza, il suo predecessore ed il suo successore, ha anche una responsabilità istituzionale che la vincola.

L’Italia, inoltre, è stato uno dei paesi che ha chiesto la presenza del ministro ucraino delle Finanze, Serhiy Marchenko ai lavori del G20, trovando all’inizio qualche resistenza.

No alla politicizzazione del G20. Lo ha chiesto il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, nel suo intervento da remoto alla riunione di Washington. “Il G20 è sempre stato e resta anzitutto un formato economico”, ha sottolineato Siluanov, che poi ha osservato come l’aumento dei prezzi dell’energia e dei prodotti agricoli, conseguenza della guerra, colpirà in particolare i paesi in via di sviluppo e a basso reddito. “Contro ogni previsione, non abbiamo mai rifiutato di onorare i nostri obblighi – ha rivendicato il ministro – e di rispettare tutti i contratti. E’ ovvio che la fornitura di questi beni ai mercati internazionali è limitata artificialmente, provocando squilibri e un drammatico aumento dei prezzi”.

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20 Aprile 2022 – Redazione – Fonte: Today.it

Da anni i russi trascorrono le loro estati sulle spiagge della nostra Penisola, nelle città d’arte o nelle capitali europee, ma quest’anno non sarà così perché con la guerra in Ucraina e le sanzioni Ue è diventato tutto più difficile e costoso. Fioccano le disdette, causando un enorme danno per il turismo italiano, mentre i tour operator russi sono alla disperata ricerca di mete alternative all’Europa per le vacanze estive 2022. Hanno deciso di puntare su rotte interne al Paese, posti meno “cool” della Sardegna e del Salento ma tutti a scoprire. Dove passeranno l’estate 2022? Quanto peserà l’assenza dei russi dal territorio italiano?

Le sanzioni Ue alla Russia colpiscono il turismo italiano
In risposta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, l’Unione europea ha deciso di imporre una serie di sanzioni a Mosca per indebolire la capacità del Cremlino di finanziare la guerra e per imporre chiari costi economici e politici nei confronti dell’élite politica russa responsabile dell’invasione. Tra queste figura il congelamento dei beni e le restrizioni di viaggio per 1091 persone e 80 entità, “in quanto le loro azioni hanno compromesso l’integrità territoriale, la sovranità e l’indipendenza dell’Ucraina”. La lista stilata dal Consiglio Ue comprende Vladimir Putin, Sergey Lavrov, membri della Duma di Stato russa, membri del Consiglio di sicurezza nazionale, alti funzionari, imprenditori e oligarchi. Il vero colpo mortale al turismo italiano, però, arriva dallo stop ai trasporti imposto dall’Ue alla Russia, ossia il divieto per le compagnie aeree russe di volare verso l’Europa. Questo vuol dire niente più voli diretti Russia-Europa o voli charter. I russi non soggetti a sanzioni Ue, pur volendo venire in vacanza in Europa si troveranno a dover affrontare un viaggio molto più lungo ed economicamente più costoso. Per arrivare in Europa, infatti, i russi dovranno necessariamente fare scalo in una nazione extra-Ue per poi prendere un volo diretto in Ue. Facendo una simulazione per un volo a fine aprile di sola andata Mosca Šeremet’evo – Roma Fiumicino scopriamo che ci vorranno dalle15 alle 21 ore di viaggio (3 ore e mezza con un volo diretto prima delle sanzioni). Il prezzo del biglietto oscilla tra i 1.100 e 1.500 euro (100 euro sui voli low cost prima delle sanzioni). Per le partenze di maggio il prezzo si dimezza, ma con due scali e più di 24 ore di viaggio. Questo divieto di fatto azzererà il turismo russo verso l’Europa, mandando a monte le vacanze di molti russi in Italia. Quanto peserà l’assenza dei russi dal territorio italiano?

Addio a 5,8 milioni di russi e a 984 milioni di euro
Quanto vale il turismo russo in Italia? Prima di rispondere a questa domanda vale la pena sottolineare che i russi non sono turisti qualunque, sono vacanzieri ‘high budget’ o ‘big spender’, turisti a cinque stelle, abituati a spendere cifre importanti per una vacanza di lusso, all’insegna del divertimento, del buon cibo e del relax. Frequentano ristoranti di lusso e bevono vini costosi, amano fare shopping, la moda e l’arte. Il turista russo, non solo l’oligarca o il magnate, arrivava a sborsare fino a 145 euro al giorno durante un soggiorno in Italia (dati 2018), cifra molto più alta rispetto alla media degli altri turisti stranieri. I russi si piazzano al quarto posto per spesa pro-capite giornaliera dopo giapponesi, cinesi e canadesi. Quest’anno la loro assenza si farà sentire, basti sapere che nel 2019 il turismo russo in Italia generava 5,8 milioni di presenze, con una spesa stimabile sui 984 milioni di euro. Secondo le prime stime 100 milioni andranno in fumo solo in Sardegna e 150 milioni a Roma. Molte ville affittate in Sardegna eVersilia a 30mila ma anche 100mila euro a settimana, resteranno vuote. Assoturismo stima che per il solo mese di aprile 2022 dovremo rinunciare a 175mila pernottamenti di turisti russi per un fatturato di quasi 20 milioni di euro. Da considerare però che la stagione era già in parte compromessa, visto il mancato riconoscimento del vaccino Sputnik da parte dell’Ema. A causa delle sanzioni e dei problemi con il vaccino, dunque, i russi saranno costretti a passare l’estate 2022 fuori dall’Europa, dove?

Le nuove mete dei russi per l’estate 2022
Altro che Versilia, Riviera romagnola, Argentario, Costa Smeralda, Venezia e Salento, quest’anno i russi passeranno le vacanze estive in Kamchatka, nel Caucaso o in Carelia. A dichiararlo il capo dell’Agenzia federale per il turismo, Zarina Doguzova, citando altri luoghi a molti sconosciuti come il Tatarstan, la città della Russia siberiana occidentale Tyumen, il Territorio dell’Altaj e l’isola di Sakhalin. I tour operator della Federazione Russa hanno deciso di puntare sul turismo interno, lanciando per il periodo primavera-estate nuovi charter turistici diretti ad esempio verso il Kamchatka, nel Caucaso settentrionale. Un paradiso terrestre stando alle descrizioni: “Sorgenti termali, dozzine di vulcani attivi e dormienti, surf su spiagge vulcaniche, orsi bruni, foche e orche assassine, oltre a enormi granchi e delizioso caviale rosso: tutto questo ti aspetta durante il tuo viaggio in Kamchatka”, recita il messaggio promozionale descrivendo un vero paradiso terrestre. Inoltre, grazie al sovvenzionamento della metà del costo del trasporto aereo, i russi potranno acquistare pacchetti turistici a prezzi davvero vantaggiosi. La politica autarchica di Putin per il turismo appare chiara: dirottare i turisti russi verso mete nazionali. Chissà se i russi, abituati alla mondanità e al lusso occidentale, apprezzeranno queste nuove mete naturalistiche o se rimpiangeranno le nostre bellissime città d’arte.

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20 Aprile 2022 – Redazione

Scatterà dal primo maggio la stretta sui consumi energetici per ridurre la dipendenza dal gas russo. E si comincia con lo stop al condizionatore selvaggio negli uffici pubblici. È quanto stabilisce un emendamento al decreto bollette con le regole che saranno in vigore fino al 31 marzo 2023.

Condizionamento e riscaldamento
La stretta riguarda condizionamento e riscaldamento – si legge su Tgcom24 -, ma sono gli impianti per rinfrescare che ci fanno consumare di più: negli uffici il 57% dei consumi energetici annuali è legato infatti ai climatizzatori. Con le nuove regole in inverno non si potrà riscaldare oltre i 19 gradi (oggi ne sono previsti 20) e in estate non si potrà scendere sotto i 27, con due gradi di tolleranza.

Per il momento le nuove regole non riguarderanno ospedali, cliniche e case di cura. Mentre il governo starebbe valutando una norma anche per risparmiare sull’illuminazione pubblica, riducendo il numero dei lampioni accesi o le ore della luce notturna.

Risparmi previsti

Con le norme messe in campo con questo decreto, la previsione è di risparmiare circa 4 miliardi di metri cubi di gas nel 2022. Ancora però non è chiaro chi gestirà i controlli per verificare che le regole vengano rispettate. Le sanzioni previste vanno tra i 500 e i 3mila euro.

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20 Aprile 2022 – Redazione

Aggirata ogni norma sui ristori per dare ad Autostrade 1 miliardo per un anno di diminuzione di introiti. Il calo del fatturato, infatti, non raggiungeva il 33% previsto, ed è stato rimborsato al 100% anziché al 10-20% come a tutte le altre imprese. Sfondato pure il tetto dei 150.000 euro. Lo stesso meccanismo per Gavio e Toto.

Quando il Ponte Morandi crollò, a cadaveri ancora caldi, Giuseppe Conte corse a Genova per rassicurare gli italiani, garantendo che il suo governo non avrebbe atteso i tempi della giustizia per punire i responsabili del disastro. Così è passata alla storia la promessa in puro legalese della «caducazione della concessione», da attuarsi in tempi brevissimi. Come tutti sanno, è finita dopo due anni con una maxi donazione di oltre 9 miliardi ai Benetton, i quali oggi si concedono il lusso di scalare la loro società, per impedire che qualcuno metta le mani sul congruo tesoretto ottenuto con i soldi degli italiani. Sì, perché invece di dover pagare per ciò che era accaduto, i magliai di Ponzano Veneto sono stati ripagati dallo Stato per aver mollato l’osso di Autostrade. Ovviamente dopo averlo spolpato.

Ma a quanto pare il generoso esborso non è stato ritenuto sufficiente, perché il governo è tornato a mettere mano al portafogli, questa volta per risarcire direttamente la società che ha in gestione la concessione autostradale. La notizia è di questi giorni, perché si è scoperto che a differenza delle centinaia di migliaia di aziende che hanno chiuso a causa della pandemia, Aspi ha ricevuto un trattamento di favore che le ha consentito di ammortizzare al cento per cento la perdita di fatturato. Ricordate il decreto Ristori, quello che doveva assicurare un aiuto immediato a chi era stato costretto a interrompere l’attività per effetto del lockdown? Secondo il ministero, l’aiuto statale si è aggirato tra il 10 e il 20 per cento dei mancati ricavi, ma con un tetto di 150.000 euro per ogni singola azienda. La regola era dettata da una legge varata in piena epidemia, ma come si sa la legge non è uguale per tutti e basta la circolare di un funzionario per ampliare i benefici.

E questo è appunto ciò che è accaduto, dato che a pochi giorni dal varo del cosiddetto decreto Rilancio, nel maggio di due anni fa, i concessionari autostradali hanno potuto batter cassa direttamente con il direttore generale del ministero, chiedendo un occhio di riguardo per il settore. Detto fatto, il sovrintendente alle concessioni a ottobre invitava le società che gestiscono le autostrade per conto dello Stato a riformulare i piani finanziari «in relazione all’evoluzione dell’emergenza sanitaria». In questo modo il governo si dichiarava disponibile ad aprire i cordoni della borsa e non per poche centinaia di migliaia di euro, ma per centinaia di milioni. Il caso di Aspi, la più grossa delle concessionarie, è clamoroso. Il ministero infatti, avrebbe proposto alla società un totale ristoro dei minori incassi. Così, per i soli quattro mesi di inizio 2020, ad Autostrade sono stati riconosciuti 542 milioni.

Se fosse stata applicata la regola in vigore per tue le altre aziende, cioè quella che imponeva un rimborso solo a fronte di una perdita di fatturato superiore al 33 per cento, Aspi in realtà non avrebbe dovuto incassare neppure i famosi 150.000 euro, perché la diminuzione dei pedaggi rispetto al 2019 è stata pari al 26 per cento. Ma ciò che vale per bar, ristoranti e imprese, a quanto pare non vale per i concessionari e nemmeno è valsa la regola del 10-20 per cento di ristoro, che avrebbe fermato l’esborso a un massimo di 163 milioni. Considerando il resto dell’anno, cioè l’intero 2020, la cifra che entrerà nelle casse di Aspiperò sfiorerà il miliardo, perché ai 542 milioni per i primi quattro mesi bisognerà poi aggiungere il ristoro dovuto al resto dell’anno, vale a dire altre centinaia di milioni.

A onor del vero, Autostrade non sarà la sola società del settore a ricevere questo trattamento, perché da quanto si capisce, accogliendo il grido di dolore del capogruppo Pd in commissione Trasporti, il quale una settimana fa si dichiarava preoccupato per i pesanti passivi rischiati dalle concessionarie dello Stato a causa del Covid, il ministero dell’Economia ha intenzione di applicare lo stesso meccanismo anche ad altre aziende che gestiscono la rete autostradale. Dunque, mentre gli automobilisti si leccano le ferite per gli aumenti della benzina e del gasolio, i concessionari si leccano i baffi per i profitti che potranno registrare nonostante la crisi e la guerra.

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19 Aprile 2022 – Redazione di Debora Billi

Zelensky, sulla questione armi, sembra davvero insaziabile: “Ogni ritardo sulle armi è un permesso alla Russia di ucciderci”, “Servono armi, la Russia vuole distruggere il Donbass”, “Più armi arriveranno, prima finirà la guerra”, questi i suoi appelli nelle sole ultime 48 ore. E le sta chiedendo a tutti, persino alla Corea del Sud (che ha risposto picche).

Ma l’aria per lui sta cambiando, ed essenzialmente per due motivi: il primo è che molti Paesi hanno fornito all’Ucraina una sostanziosa parte dei propri armamenti e temono di restare sguarniti; il secondo, è che il consumo di armi che fa l’Ucraina ha raggiunto livelli del tutto implausibili. E più di uno si sta chiedendo che fine facciano davvero tutti gli armamenti che piovono copiosi laggiù da due mesi.

La Grecia lo ha appena detto: “Basta mandare armi all’Ucraina”, si stanno indebolendo le capacità di difesa del Paese, “non possiamo mandarne di più”. Anche la Corea si è rifiutata a causa della “situazione di sicurezza”sudcoreana e “il potenziale impatto sulla prontezza militare” del Paese. Ma persino negli Stati Uniti si comincia a mostrare insofferenza verso l’invio di armi, come spiega un articolo su Bloomberg. L’Ucraina sta infatti consumando le armi troppo velocemente, addirittura la fornitura di munizioni sufficiente per una settimana di combattimenti viene esaurita in un giorno appena. “I Paesi occidentali devono affrontare un’ardua scelta: aumentare le forniture militari all’Ucraina o conservare le loro già limitate possibilità di difesa”.

Lo stesso Edward Luttwak, considerato universalmente un guerrafondaio, ha qualche giorno fa invitato l’Ucraina ad accettare un cessate il fuoco, un referendum in Donbass e i dialoghi di pace, sostenendo che “nessun Paese che dipende da armi regalate può considerarsi indipendente”.

Per tacere del fatto che i social e i canali Telegram sono inondati da video e foto dell’esercito russo che, dopo la resa di interi battaglioni ucraini, mette le mani su preziosissimi lanciamissili da milioni di dollari e tonnellate di altre armi occidentali ancora imballate. Alla Nato non deve piacere star regalando armi non solo a Zelensky, ma anche a Putin.

Gli unici che continuano a coprire di armamenti Zelensky come se non ci fosse un domani sono gli inglesi, che probabilmente puntano a far entrare l’Ucraina in Europa solo per darci il colpo di grazia. Intanto in parecchi si chiedono dove finiscano davvero, oltre che in mano ai contentissimi ceceni, tutti gli armamenti che spariscono nel buco nero ucraino: non sarà che c’è in atto un florido traffico sul mercato nero, verso altri Paesi? Lo scopriremo con il tempo, probabilmente, quando quelle armi salteranno fuori a chissà quali latitudini e in chissà quale altra guerra.

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19 Aprile 2022 – Redazione – Fonte: Today.it

Se ne parla ormai da qualche giorno. L’importo del canone Rai dovrebbe presto sparire dalla bolletta della luce. Il condizionale è ancora d’obbligo, ma ha ricevuto la scorsa settimana il via libera un ordine del giorno presentato da Maria Laura Paxia (Misto) al decreto energia approvato alla Camera. L’ordine del giorno è stato prima accettato dal governo come raccomandazione e poi accolto con riformulazione, ovvero senza dover essere messo ai voti.

Le ipotesi per pagarlo in altro modo (perché in qualche modo lo si pagherà comunque) vanno dal trasformare il canone Rai in una tassa sulla casa (come in Francia) o in una tassa sull’auto (come in Israele). Oppure affidare la riscossione dell’imposta tv ad agguerrite società di recupero crediti (come nel Regno Unito o in Svizzera). L’Unione europea chiede all’Italia di eliminare il canone dalla bolletta elettrica perché considera questa voce come un intruso. L’Ue ha definito il canone della tv come un onere improprio, in quanto non legato ai consumi di elettricità. E l’esecutivo è orientato ad accontentare l’Ue. Impossibile però tornare al vecchio sistema, quando si chiedeva di pagare “volontariamente”: il tracollo della Rai sarebbe quasi certo in tal caso. L’evasione in passato sfiorava il 30 per cento, nelle casse della Rai mancavano centinaia di milioni di euro ogni anno.

Si guarda con attenzione alla Francia, dove il canone televisivo viene pagato come tassa aggiuntiva sulla prima casa, con versamento tra il 15 e il 25 novembre di ogni anno. L’importo è 138 euro (contro i 90 dell’Italia). In concreto, nota oggi Repubblica, in Italia l’imposta televisiva diventerebbe una voce del 730. La soluzione al rebus canone in ogni caso non arriverà a stretto giro di posta, ma è sin da oggi facile ipotizzare che il tema sarà uno dei più dibattuti in vista della prossima Legge di Bilancio, quando mancheranno pochi mesi alle elezioni politiche del 2023 e si sarà di fatto in piena campagna elettorale.

Altra strada percorribile è quella che hanno intrapreso Svezia, Norvegia, Finlandia, Belgio, Olanda, Spagna. Ovvero: canone addio. Più semplicemente, lo Stato decide quanti soldi siano necessari alle reti pubbliche e glieli assegna direttamente. Sempre soldi pubblici sono, ma la percezione è diversa. In Italia, la Rai sarebbe destinataria di un assegno statale di 1.630 milioni, euro più euro meno.
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