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02 Aprile 2022 – Redazione

Pubblicato sul sito della Corte Costituzionale il Ruolo delle Cause in Camera di Consiglio che verranno trattate la prossima settimana. Mercoledì 6 aprile la Corte esaminerà ben 5 ordinanze in due distinti procedimenti (numeri di ruolo 3 e 4) che evidenziano gravi profili di incostituzionalità dei decreti in materia di“emergenza sanitaria” a causa del covid-19.

La prima ordinanza è la numero 57 del Giudice di Pace di Macerata che, tra l’altro, segnala il carattere autoritario e illegittimo dei decreti: “Appare  opportuno  evidenziare  che,  sin  dagli   albori   della cosiddetta «pandemia» Autorevoli Personalità del  diritto  quali  il Chiar.mo prof. Antonio Baldassarre – Presidente Emerito  della  Corte costituzionale – che il Chiar.mo prof. Sabino Cassese hanno  espresso le loro perplessità in ordine alla  validità  degli  atti  e  delle normazioni pullulanti in  maniera  caotica  ed  irrazionale,  tuttora operanti ed in fieri nella diffusività di produzione di atti e norme di variegata valenza in relazione al principio della gerarchia  delle fonti.  I decreti del Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  appaiono essere strumenti incostituzionali, posto che detti provvedimenti  non hanno la potestas di limitare la libertà dei singoli  cittadini  ne’ imporre prescrizioni se non in via adesiva da parte dei  destinatari. Se poi si considera che il decreto Covid del 26 aprile  si  esprimeva riguardo ai parenti arrivando poi a considerare anche  i  «fidanzati» in via consolidata, aspetti che presentano discriminazioni per legami e rapporti affettivi distinti dalla famiglia ontologicamente  intesa, lascia emergere  come  si  sia  attuata  una  deriva  tendenzialmente autoritaria (e non autorevole sic!), fino  a  registrare  espressioni preoccupanti come «noi consentiamo», «noi permettiamo» in spregio  al rispetto dei dettami costituzionali. Ancora, le  contraddizioni  sono tali da consentire a pluralità di persone a recarsi nei supermercati sia pure con il distanziamento sociale ma non si è compreso  perchè ciò sia stato limitato (per un tempo) per  l’accesso  nelle  Chiese, dimenticando che la  persona  ha  sia  necessità fisiche  ma  anche spirituali. A ciò si  aggiunga  l’esigenza  anche  di  garanzia  del dovere di solidarietà ed i decreti appaiono avere approfittato della congiuntura – grave – con disposizioni costituzionalmente  di  dubbia legittimità. Si tenga poi, conto  del  contagio  e  trasmissibilità connesso all’uso della moneta  che  non  vede  alcuna  disciplina  al riguardo”. 

Inoltre, nella stessa ordinanza il Giudice si sofferma sul pressing mediatico e sulla mancata corretta informazione: “Il pressing mediatico  e  la  mancata  corretta  informazione  hanno certamente contribuito alla  dipendenza  mentale  ed  al  diritto  di libera valutazione e cognizione. I principi di proporzionalità ed adeguatezza.  Principio  fondamentale  dell’attività amministrativa  è  il principio di adeguatezza. Adeguatezza significa capacità di  un  determinato  livello  di governo di occuparsi dei problemi di  volta  in  volta  sottesi  alle competenze di cui trattasi.  Altro principio fondamentale è, poi, quello di proporzionalità, oggi affermato nell’art. 5 del Trattato UE, unitamente  al  principio di sussidiarietà. Tale principio vale  tanto  per  il  legislatore  quanto  per  la pubblica amministrazione, laddove essa  debba  esercitare  un  potere discrezionale bilanciando interessi.  In applicazione del principio in esame, dunque,  dovrebbe  essere impedito che siano adottate misure  di  protezione  eccessivamente  e ingiustificatamente invasive e restrittive delle libertà dei singoli e, nelle  ipotesi  di  compressione  di  libertà  economiche,  anche discriminatorie e distorsive della concorrenza. A tale proposito  non si può sottacere il danno subito dall’Italia com’è evidente  e  nei fatti,  di  rilevante  disagio  delle  persone  e   delle   famiglie. Particolarmente in ragione delle stringenti possibilità  di  accesso al credito, a chi si trova in condizione di  bisogno,  determinandosi la fattività di aiuti finanziari a chi ha già rispetto a chi invece non ha e si trova  pressocchè  nell’indigenza.  Ciò in  violazione all’art. 3, comma 2 della Costituzione. Va  poi  soggiunto  che  un’applicazione  o,  se  si  vuole,   un corollario importante del principio di proporzionalità si rintraccia nel principio di gradualità.  Le  due  dinamiche,  quella   della   sussidiarietà   e   quella dell’adeguatezza, sono destinate a funzionare in sinergia. Infine, il principio  di  sussidiarietà riguarda  le  relazioni organizzative tra amministrazioni al fine di assicurare una  corretta attribuzione di funzioni. Bilanciamento tra il principio di precauzione e il  principio  di proporzionalità. Posto che le misure precauzionali non  sono  basate  su  certezze assolute ma comportano un sacrificio spesso molto  elevato  di  altri valori, occorre che esse siano adottate attraverso  il  bilanciamento del principio di precauzione con il principio della proporzionalità. In questo modo le misure non risultano eccessivamente  onerose  e vi è una proporzione tra il grado di probabilità dei  rischi  e  di gravità dei danni temuti e il grado di  incisività delle  medesime misure sulle libertà antagoniste.  Bisogna, insomma, evitare che  l’applicazione  del  principio  di precauzione possa risolversi nell’adozione di blocchi generalizzati – come avvenuto – di attività di ogni tipo, non  fondati  su  adeguati riscontri scientifici, poiché tale situazione sarebbe, invero, posta in violazione del medesimo principio”.

Anche le ordinanze numero 156, numero 157 e numero 158 del Giudice di Pace di Fano evidenziano gravi illegittimità costituzionali dei decreti covid a partire dal delibera del Consiglio dei Ministri sullo “stato di emergenza” del 31 gennaio 2020.

Si legge, infatti, nelle ordinanze: “Osserva questo Giudice che le eccezioni svolte  dalla  ricorrente nell’ambito dell’opposizione all’ordinanza di che  trattasi  meritino il vaglio della Corte costituzionale poichè tali eccezioni attengono a questioni relative al  dubbio  di  legittimità  costituzionale  di posizioni normative.    

  – 1. La prima inerisce alla delibera dello stato di  emergenza  del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020  in  quanto  alcuna  norma primaria  o  avente  efficacia  di  legge  ordinaria  attribuisce  al Consiglio dei ministri il potere di dichiarare lo stato di  emergenza per rischio sanitario.  L’art. 7, comma 1, lettera c), decreto legislativo n.  1/2018  è compreso nel codice della protezione civile e riguarda i casi in  cui la protezione civile è titolata ad intervenire in casi di  calamità od urgenza e non è quindi comparabile  con  la  dichiarazione  dello stato di emergenza previsto dalla Carta costituzionale.  La Costituzione  italiana  non  prevede  disposizioni  in  merito all’emergenza sanitaria: pertanto lo stato di emergenza sanitaria  è stato deliberato in forza della legge n.  225/1992  sulla  Protezione civile dal solo Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  senza  il coinvolgimento nella decisione del Parlamento nonostante siano  state derogate libertà fondamentali, coperte da riserva di legge. L’art. 78 della Costituzione prevede lo stato di guerra: sancisce che il Parlamento decide lo stato di guerra conferendo al  Governo  i poteri  necessari  cioè  strettamente  proporzionati  all’evento  da fronteggiare. Si sarebbe potuto utilizzare questo modello uniformando lo  stato di guerra a quello di emergenza sanitaria: di tal  guisa  il  Governo non sarebbe stato libero di  emanare  atti  di  fonte  secondaria,  i decreti del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  legittimati  da fonti primarie, i decreti-legge ex art. 77 della  Costituzione,  sono stati conferiti in tal modo poteri di amplissima discrezionalità al solo Presidente del Consiglio.      Per quanto riguarda le limitazioni ai  diritti  fondamentali,  si osserva come solo la legge può derogare a diritti costituzionalmente garantiti, affinchè la  decisione  restrittiva   sia   presa   dai rappresentanti dei cittadini.  Nel caso quindi di illegittimità della dichiarazione dello stato di  emergenza  per  motivi  di  ordine  sanitario  debbono  ritenersi illegittimi tutti i provvedimenti successivi adottati dal Governo che debbono essere dichiarati privi di efficacia ex tunc.

 

2. Eccepisce poi l’illegittimità del cosiddetto lockdown e cioè della  imposizione  di  un  obbligo  di  permanenza  domiciliare  che costituisce a  tutti  gli  effetti  una  restrizione  della  libertà personale vietata dalla Costituzione; si assume violato quindi l’art. 13 della Carta costituzione che  prevede  infatti  come  la  libertà personale  sia  inviolabile  e  quindi  non  può  ammettersi  alcuna restrizione  personale  se  non  per  atto  motivato   dell’autorità giudiziaria.

 

Sala della Corte Costituzionale – 3. Eccepisce inoltre  il  mancato  rispetto  dell’art.  16  della Costituzione in quanto le  limitazioni  previste  dallo  stesso,  pur riguardando motivi di sanità o di sicurezza, non possono  consentire il divieto di libera circolazione e soggiorno in tutto il  territorio nazionale, ma solamente in luoghi particolari in cui  vi  è  rischio per la sanità pubblica.  

– 4.  Deve  inoltre  ravvisarsi  nella  fattispecie  in  esame   la violazione dell’art. 2 della Costituzione essendo violato il  diritto alla libertà dell’uomo sia come singolo che nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità.       

– 5. Deve ravvisarsi la violazione dell’art. 4  della  Costituzione in quanto le norme adottate violano il diritto al lavoro impedendo di fatto al  soggetto  di  espletare  la  propria  attività  lavorativa costringendolo nelle proprie abitazioni. 

 Tutte queste questioni appaiono rilevanti ai fini della decisione del presente Giudizio o non manifestamente infondate;  appare  quindi che per le disposizioni normative sopra indicate  vi  sia  dubbio  di legittimità costituzionale in quanto violate le  disposizioni  della Costituzione sopra indicate; articoli 2, 4, 13, 16, 77 e 78″.   

Infine l’ordinanza numero 141 del Tribunale di Reggio Calabria sottolinea l’illegittimità costituzionale della misura della quarantena.

In particolare, la sezione penale, solleva, in riferimento all’articolo 13 della Costituzione,  questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 6, e 2, comma 3, del decreto-legge 16  maggio 2020, n. 33 (Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID 19), convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2020, n. 74. L’art. 1, comma 6, stabilisce che è fatto divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della  quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19,  fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo  destinata; il censurato art. 2, comma 3, prevede che la violazione della misura di cui all’art. 1, comma  6, è punita ai sensi dell’art. 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, salvo che il fatto costituisca  violazione dell’art. 452 cod. pen. o comunque più grave reato.
Il giudice rimettente denuncia la lesione  della riserva di giurisdizione in materia di libertà personale prevista dall’art. 13 della Costituzione, ritenendo che la quarantena obbligatoria in questione attenga alla libertà personale e non alla libertà di  circolazione, tutelata dall’articolo 16 della Costituzione. Al riguardo, osserva il Giudice, l’articolo 1,  comma 6, del decreto-legge n. 33 del 2020, infatti, non imporrebbe un divieto di recarsi in  determinati luoghi ma un divieto di muoversi a determinati soggetti.
Ad avviso del Tribunale di Reggio  Calabria il divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora in questione avrebbe un contenuto  assolutamente identico a quello della misura cautelare degli arresti domiciliari, imposta ai sensi  dell’articolo 284 del codice di procedura penale, e della detenzione domiciliare di cui all’art. 47-ter della legge 26 luglio  1975, n. 354, anzi, il regime denunciato sarebbe anche più restrittivo, non  essendo nemmeno prevista un’autorizzazione ad allontanarsi provvisoriamente per provvedere alle  indispensabili esigenze di vita. Tuttavia, evidenzia ancora il Tribunale, le due misure poste a confronto  vengono stabilite dal Giudice mentre la misura denunciata è stabilita dall’autorità sanitaria, nonostante  comporti, al pari delle altre due misure, la privazione o quantomeno la limitazione della libertà  personale del soggetto che vi è sottoposto.
L’articolo 13 della Costituzione che tutela la libertà personale  imporrebbe, conclude l’ordinanza, che anche il provvedimento di adozione del divieto in questione,  comportando una restrizione della libertà personale, debba essere adottato o soggetto a convalida da  parte dell’autorità giudiziaria.

02 Aprile 2022 – Redazione – FONTE: EventiAvversi

Secondo i dati UK, il numero di segnalazioni registrate alle agenzie di regolazione – da donne con effetti collaterali – è salito a quasi 40.000 in meno di un anno.

Ma, nonostante questo, il regolatore del Regno Unito afferma che non è stato stabilito alcun legame tra i problemi mestruali e i vaccini.

La Medicines & Healthcare Products Regulatory Agency (MHRA) è responsabile del monitoraggio della sicurezza di tutti i farmaci e vaccini una volta approvati per l’uso.

Raccolgono i rapporti attraverso lo schema Yellow Card online.

Mestruazioni dopo la vaccinazione Covid

Abbiamo segnalato per la prima volta l’interruzione dei cicli mestruali successivi al vaccino Covid lo scorso giugno.

Le donne di Tayside e Fife avevano parlato dei problemi che avevano riscontrato.

E fino a quel punto, circa 4000 segnalazioni erano state ricevute nello schema Yellow Card .

“Il mio ciclo è stato più lungo”

Katie Niven di Dundee ci ha detto che dopo aver ricevuto il vaccino AstraZeneca lo scorso marzo, ha notato dei cambiamenti.

Ha detto: “Ho ricevuto il vaccino il terzo giorno del ciclo e poi il ciclo successivo è durato più a lungo – è durato 16 giorni.

“L’ho trovato molto sospetto. È stato assurdo scoprire, dopo aver effettuato una ricerca su Google, che altre donne stavano vivendo lo stesso mio problema ed è lì che ho fatto la correlazione. “

Cosa dicono ora le cifre?

Le cifre sono aumentate man mano che il programma di vaccinazione è proseguito. Fino al 16 marzo di quest’anno, le cifre rivelano:

  • Sono stati registrati 39.494 singoli rapporti su Yellow Card
  • Sono stati segnalati 50.673 problemi (i report possono segnalare più di un problema segnalato per volta)

Quali cambiamenti sono stati segnalati?

Un certo numero di diverse irregolarità sono state segnalate dopo tutti e tre i diversi tipi di vaccino, tra cui:

  • cilcli più intensi del solito
  • cicli ritardati
  • sanguinamento vaginale inaspettato.

L’MHRA continua a rivedere le segnalazioni di sospetti problemi mestruali.

C’è una correlazione?

Le relazioni sono inoltre in fase di revisione da parte di esperti indipendenti.

Ma l’MHRA afferma: “La rigorosa valutazione completata fino ad oggi non supporta un legame tra le modifiche ai cicli mestruali e ai sintomi correlati e i vaccini Covid“.

Le autorità sanitarie sostengono che il numero di segnalazioni sia basso in relazione al numero di persone che hanno ricevuto il vaccino e che i problemi mestruali siano disturbi molto comuni e frequenti in generale.

Aggiungono che i cambiamenti segnalati siano “per lo più di natura transitoria“. E che non ci sono prove che suggeriscano che i vaccini Covid influenzino la fertilità o la capacità di avere figli.

Per quanto tempo ancora dovrà andare avanti tutto questo nonostante l’evidenza?

2 Aprile 2022 – Redazione – FONTE: L’Antidiplomatico

Il caso di Wikipedia e di altri “censori di internet” – incredibile un recente “articolo” che abbiamo già commentato– impegnati a riscrivere la storia della strage nazista del maggio del 2014 è davvero preoccupante.

Contro ogni tipo di revisionismo storico, come l’AntiDiplomatico vi proponiamo il racconto di una donna sopravvisuta a quei tragici eventi, quando un nutrito gruppo di nazisti, attaccarono la casa dei sindacati, dove si erano rifugiati i manifestanti antifascisti.

 

L’edificio fu dato alle fiamme e successivamente preso d’assalto da squadre naziste armate.

I morti furono ufficialmente 49, ma il numero esatto non è mai stato reso noto.

A raccontare quanto accadde quel giorno è Eugenia Culikova, una rifugiata politica ucraina costretta a scappare da Odessa, qualche mese dopo, per il rischio di essere arrestata. Eugenia oggi vive in Italia e ha scritto un libro, dal titolo “ATTRAVERSO IL FUOCO PER L’ETERNITA'”, dove raccoglie le testimonianze di 21 sopravvissuti a quella terribile strage.

https://youtu.be/LgLJsicyUJM

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2 Aprile 2022 – Redazione – FONTE: EventiAvversi

Parte il primo screening mirato in Toscana, condotto nelle scuole secondarie attraverso la somministrazione di questionari sulla familiarità per morte improvvisa e l’esecuzione di elettrocardiogrammi digitali, è partito l’ultima settimana di marzo presso l’Istituto da Vinci-Fascetti, a Pisa in via Contessa Matilde, nell’ambito del progetto Just (acronimo di JUvenile Sudden deaTh: JUST know and treat – Morte cardiaca improvvisa giovanile: conoscerla per prevenirla) sostenuto dalla Fondazione Pisa e promosso dai professori Michele Emdin e Claudio Passino, entrambi della Scuola Superiore Sant’Anna e della Fondazione Monasterio, e dal prof. Marco di Paolo dell’Università di Pisa.

Il progetto Just ha portato alla realizzazione, di un registro informatico dei casi di morte improvvisa, alla messa a punto di una strategia di intervento basata sulla programmazione della diffusione delle tecniche di “basic life support” (rianimazione cardiopolmonare) per “laici”, alla messa a punto di campagne di educazione e, appunto, all’attuazione di screening mirati nelle scuole secondarie come quello che si svolge in questi giorni all’Istituto da Vinci-Fascetti, a Pisa.

Lo screening è organizzato in collaborazione con il dirigente scolastico Federico Betti, con i suoi collaboratori Gaetano Fabozzi e Stefano Mazzantini, con i docenti di scienze motorie e con i collaboratori scolastici dell’istituto, con Fabio Pagliazzi e Valeria Raglianti del Provveditorato agli Studi di Pisa. A eseguire i controlli sui giovani sono i cardiologi Alberto Giannoni e Francesco Gentile, con gli infermieri e i tecnici della Fondazione Monasterio (Silvia Terenzoni, Francesca Bramanti, Teresa Ceccanti, Cristiane De Jesus, Anna Di Sessa, Giovanni Iudice, Sara Guerrieri, Maria Giuseppina Paci, Elisabetta Menicagli, Letizia Diara), coordinati da Marco Vaselli.

La rianimazione di Christian Eriksen, il giocatore danese dell’Inter, ha emozionato l’opinione pubblica come è accaduto in passato per le morti premature di Astori, Curi, Morosini suscitando cordoglio universale. Poche condizioni mediche sono più traumatiche della morte improvvisa, non anticipata da nessun sintomo, di una persona giovane.

Si tratta di un evento raro, in genere legato ad una aritmia fatale, ma la sua presentazione drammatica e l’impatto sulla famiglia e sulla comunità tutta trova un rilievo amplificato nei casi degli atleti che esemplificano la metafora di una vulnerabilità nascosta in una persona in apparenza perfettamente sana. La morte improvvisa nei giovani è rara (incidenza stimata fra 1 e 10 casi/100.000 persone/anno), con circa il 25 % dei casi durante attività sportiva, ma ha un impatto notevole in termini di anni di vita persi, data la lunga aspettativa di vita di persone giovani.

“È giustificato considerare la morte cardiaca improvvisa del giovane come una condizione sanitaria di assoluta rilevanza: fra le condizioni predisponenti identificate ci sono le cardiomiopatie, le canalopatie (le sindromi del QT lungo e del QT corto, la sindrome di Brugada), i difetti cardiaci congeniti (origine anomala delle coronarie), le miocarditi, i traumi toracici, l’assunzione di farmaci o sostanze d’abuso. La displasia aritmogena del ventricolo destro e la sindrome del QT lungo sono le cause aritmiche più comuni di morte cardiaca improvvisa. Si stima che la rianimazione cardiopolmonare e la disponibilità diffusa di defibrillatori esterni semiautomatici potrebbero prevenire circa un quarto delle morti improvvise pediatriche e giovanili”, come sottolineano i promotori del progetto Just.

L’autopsia nei casi di morte improvvisa giovanile è necessaria per alimentare efficaci campagne di prevenzione. Sembra un paradosso eppure è così. Del resto, il progetto Just è stato anche un trampolino per chiedere l’istituzione di un registro regionale “Presto – spiega Michele Emdin, docente di cardiologia alla Sant’Anna e direttore del dipartimento cardiotoracico della Fondazione Monasterio – chiederemo alla Regione una legge regionale per istituire un registro sulle morti improvvise: un data base che ci permette di ricostruire, come abbiamo fatto a Pisa con i tessuti prelevati in una cinquantina di autopsie eseguite negli ultimi anni, un albero genealogico genetico che aiuta moltissimo nella prevenzione. Quindi è importante che le famiglie colpite da questi lutti autorizzino lo svolgimento dell’esame medico legale, perché esso è utilissimo a delineare un quadro di potenziali familiarità con queste patologie nei congiunti delle vittime”. C’è da superare uno “scoglio” psicologico. E lavorare sulla sensibilizzazione dell’opinione pubblica. “Il nostro progetto – sottolinea Emdin – non si limita alla somministrazione di questionari e all’esecuzione di elettrocardiogrammi digitali. E’ un vero e proprio percorso di educazione sanitaria. Il lavoro fatto dal professor Di Paolo, con i tessuti delle vittime esaminati nelle autopsie, è determinante per avere una rigorosa base scientifica per effettuare la prevenzione. Ecco perché dopo questi decessi è molto importante eseguire le autopsie che oggi vengono fatte solo se disposte dall’autorità giudiziaria o in caso di decesso in ospedale”.

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2 Aprile 2022 – Redazione – di Giorgio Gandola La Verità)

Donato Greco: «Abbiamo dovuto suggerire restrizioni di dubbia efficacia scientifica ma costi sociali certi. Le chiusure non hanno frenato il virus. Un altro errore è stato lasciare la comunicazione in mano a virologi autonominati».

«Anche i lockdown più duri non hanno contrastato la diffusione del virus». È l’ammissione di un errore fatale, è l’8 settembre della guerra al Covid. Non sono trascorse neppure 48 ore dallo scioglimento del Comitato tecnico scientifico che arriva la prima rivelazione fuori dal coro. Poi la seconda: «Le misure di contenimento non hanno avuto efficacia scientifica ma costi sociali certi». La terza è uno schiaffo a reti unificate: «Il nostro errore più grande è stato lasciare la comunicazione in mano a virologi autonominati ma senza esperienza specifica».

Donato Greco è uno scienziato e per un anno ha fatto parte del Politburo dei burattinai che hanno scandito la vita del Paese, dietro ai quali si è sempre riparato il ministro Roberto Speranza. Appeso il camice ministeriale al chiodo, l’advisor di 30 commissioni dell’Oms con 250 pubblicazioni internazionali nel curriculum decide di togliersi dalle scarpe non sassolini ma massi erratici, meteoriti che incrinano «ex post» le scelte del potere sanitocratico.

Lo fa a Un giorno da pecora su RaiRadio 1; cinque minuti liberatori per chi ha provato anche nei giorni più dolorosi a mantenere acceso il cervello e a seguire la strada del dubbio. Il professor Greco è entrato nel Cts un anno fa, dopo la delirante stagione della «Tachipirina e vigile attesa».
Ha partecipato a 65 riunioni strategiche, ha avallato decisioni impopolari e di dubbia efficacia, ha ascoltato Mario Draghi dire assurdità come «Il green pass garantisce ai vaccinati di non contagiarsi, chi non si vaccina muore».

Per appiattimento istituzionale o per senso del dovere non ha parlato con entusiasmo sospetto come alcuni suoi colleghi (Agostino Miozzo, Sergio Abrignani, Franco Locatelli). Ma ieri, improvvisamente, si è sentito libero di dire la sua. «La più grande difficoltà del Cts è stata dover suggerire misure di contenimento e mitigazione la cui efficacia scientifica era debole mentre i costi sociali ed economici erano certi. Qualunque chiusura, a cominciare dalle scuole fino alle restrizioni delle attività commerciali, non è riuscita a contrastare la diffusione del virus come poi si è visto». Un’accusa frontale, un uso non casuale del verbo «suggerire» che conferma ciò che questo giornale ha sempre scritto: le scelte sono state politiche e le istituzioni hanno usato «l’evidenza sanitaria» come foglia di fico per coprire decisioni cervellotiche e anticostituzionali.

Tornando al surreale lockdown contiano dei canti dai balconi e della morte civile di migliaia di esercizi commerciali, Greco ha un’opinione sintetizzabile con due parole: errore madornale.

«Anche l’isolamento più duro del marzo 2020 non ha sortito nessun effetto sul contenimento dell’epidemia». Eppure allora chi eccepiva veniva confinato fra i nemici dello Stato. Veniva manganellato dai media mainstream, sbeffeggiato nei talk show governativi, additato a reprobo dalle virostar di riferimento e spiato dagli Alessandro Gassman di turno. Un periodo da pelle d’oca in cui il pensiero unico ha preso il sopravvento. Anche per quella stagione Donato Greco ha una spiegazione non convenzionale.

«L’errore più grande del Cts è stato non aver prodotto comunicazione. Si è dato spazio a una serie di virologi autonominati che l’hanno gestita. È vero, abbiamo tenuto una conferenza stampa ogni settimana, ma senza impatto mediatico perché tutti gli spazi erano occupati. Noi abbiamo rispettato un vincolo di riservatezza mentre le virostar hanno avuto accesso ai media in modo intenso pur non conoscendo le informazioni di chi era in prima linea e non avendo esperienza specifica».

Più che intervistare, Giorgio Lauro e Geppi Cucciari raccolgono un’amara e lucida confessione. Greco lancia sassi in piccionaia anche al sistema dell’informazione: «Ho lavorato in più di 50 epidemie e inevitabilmente spuntano esperti autonominati che i media scelgono anche per le loro capacità comunicative».

Siamo all’elenco dei virologi da passerella; il membro del defunto Cts non ha problemi a fotografarli in primo piano e a demolirne il superego, tranne al più autoreferenziale. «Roberto Burioni è stato utile nella comunicazione formale per le sue lezioni da Fabio Fazio ed è stato onesto rispetto ai colleghi. Altri meno. C’erano colleghi con la qualifica di infettivologi clinici, bravi per le terapie ma di sanità pubblica non ne sapevano niente». Critica Matteo Bassetti: «Chi discuteva sempre le decisioni del governo era esasperante».

Poi snocciola il rosario. «Fabrizio Pregliasco si è sempre occupato di virologia dell’influenza; Alberto Zangrillo è un rianimatore, non ci azzecca; Andrea Crisanti è un polemista, bravissimo con le zanzare e personaggio molto discusso nel mondo accademico. Antonella Viola è immunologa e biologa, brava nella comunicazione sociale».

La rasoiata finale è da boia cinese, di quelli che ai tempi di Confucio tagliavano la testa con tale raffinatezza da lasciarla sul collo: «La sanità pubblica pensa alla popolazione. Noi ci occupiamo della gente, non delle provette».

Sul come, dopo le sue rivelazioni ogni dubbio è lecito. Il Politburo sanitario si è sciolto ma il veleno vaporizzato pervade l’aria; la resa dei conti è appena cominciata.

di Giorgio Gandola – La Verità

1 Aprile 2022 – Redazione

Il foglio di via per un anno era stato emesso dalla Questura capitolina a novembre dopo un’iniziativa no green pass dell’ex leader dei portuali.

Il Tar del Lazio ha annullato il provvedimento di Daspo urbano ai danni di Stefano Puzzer, leader no green pass della protesta del porto di Trieste. Il provvedimento era stato emanato dalla Questura di Roma il 3 novembre scorso. Il giorno precedente l’ex leader dei portuali triestini aveva posizionato un banchetto a Piazza del Popolo per raccogliere solidarietà e adesioni nella sua lotta contro le restrizioni anti Covid. Una manifestazione non autorizzata, secondo la Questura capitolina. Da qui il foglio di via per un anno. Puzzer aveva presentato ricorso.

Secondo il dispositivo del Tar del Lazio “l’Amministrazione non ha formalmente contestato tali risultanze, né ha indicato concrete e significative situazioni di pericolo derivanti dal comportamento del ricorrente, tali da poterne inferire un effettivo potenziale pericolo per la sicurezza pubblica, nelle circostanze di luogo e di tempo che costituiscono la motivazione sostanziale del provvedimento impugnato”. Inoltre “né il provvedimento può legittimamente fondarsi sulle sole segnalazioni del ricorrente all’Autorità Giudiziaria – scrivono i giudici – ovvero sulla contestazione relativa all’organizzazione di una manifestazione non autorizzata, che – oltre a non essere state accertate in maniera definitiva – non possono da sole sorreggere la misura, in assenza di ulteriori e concreti elementi di fatto che fungano da indispensabili criteri di collegamento spazio-temporale tra le esigenze di prevenzione ed uno specifico territorio (…), con riferimento ad un delimitato periodo temporale di un anno”.

In assenza di tali elementi – prosegue il dispositivo del Tar – “anche la durata della misura risulta sprovvista di una valida giustificazione causale, non risultando ancorata ad una oggettiva e percepibile esigenza di prevenzione della sicurezza urbana, e risultando pertanto insuscettibile di una reale valutazione in termini di congruità e proporzionalità della limitazione della libertà di circolazione sul territorio nazionale”.

“Infine deve ritenersi poco pertinente anche la motivazione relativa all’esigenza di dislocare un massiccio presidio di sicurezza, che avrebbe distratto le forze di Polizia da altri obiettivi sensibili, in quanto tale affermazione non è risultata confermata dalla documentazione probatoria versata in atti, né appare di per sé idonea a dimostrare un effettivo turbamento della sicurezza pubblica, in assenza di documentati disordini”. Alla luce di tali considerazioni, il ricorso di Puzzer è stato accolto con annullamento del provvedimento impugnato.

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1 Aprile 2022 – Redazione

Attenzione, si parla di dosi di richiamo per le quali lo studio sottolinea : “Nonostante l’attuale approvazione della FDA per le dosi di richiamo eterologhe, l’efficacia di un booster mix-match è incerta“. (Mix-match sta per vaccinazione eterologa) e ancora: ” I dati sulla sicurezza o l’efficacia della vaccinazione con prodotti vaccinali COVID-19 di diversi produttori sono limitati; l’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) raccomanda che le persone con condizioni di immunocompromissione da moderata a grave ricevano una terza dose di vaccino mRNA COVID-19 dallo stesso produttore della loro serie primaria“.

Non sono stati testati, non ci sono (volutamente?) dati al riguardo: “ Le persone che hanno riferito di aver ricevuto una serie primaria da diversi produttori o da un produttore sconosciuto o non disponibile negli Stati Uniti, o 2 dosi di vaccino dopo aver ricevuto un vaccino monodose Janssen (Johnson & Johnson) (150) sono state escluse dall’analisi delle reazioni avverse dopo il ricevimento della dose aggiuntiva.

LEGGI QUI ⤵️

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8486391/

Esacerbazione temporanea di psoriasi ed eczema preesistenti nel contesto della vaccinazione di richiamo dell’RNA messaggero COVID-19: un caso clinico e una revisione della letteratura

“Riportiamo 2 casi di esacerbazione di una dermatosi sottostante dopo la somministrazione di dosi di richiamo.

Il primo paziente era un uomo di 71 anni con una storia di eczema localizzato che presentava lesioni vescicolari e discoidi di nuova insorgenza entro 24 ore dalla terza dose di vaccinazione Pfizer-BioNTech. Ha avuto una reazione simile ma più lieve dopo la sua seconda dose di vaccinazione. Un esame fisico ha rivelato placche discoidi eczematose e piangenti sul tronco, arti (Fig 1, A) e petto (Fig 1, B) e vescicole multiple profonde sui palmi delle mani (Fig 1, C). È stato trattato con steroidi topici, antistaminici, antibiotici orali e prednisolone[…].

“Il secondo caso era una donna di 80 anni con psoriasi quiescente stabile che era in trattamento con ciclosporina a 25 mg al giorno. Una settimana dopo la sua terza dose di vaccinazione Pfizer-BioNTech, una riacutizzazione guttata con una superficie corporea attiva del 5% si è sviluppata nel paziente (Fig 1, D). La ciclosporina è stata aumentata a 75 mg al giorno, con l’aggiunta di steroidi topici”[…]

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1 Aprile 2022 – Redazione

PER MESI ABBIAMO DETTO CHE SAREBBE EMERSA TUTTA LA VERITÀ, CHE SAREMMO DOVUTI ARRIVARE AD APRILE 2022, AFFINCHÉ IL VASO DI PANDORA ESPLODESSE. 

SIGNORE E SIGNORI, ECCO A VOI LA LISTA DEI MEDICI PAGATI DA BIG PHARMA……UNA MAREA……

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1 Aprile 2022 – Redazione- FONTE: Byoblu

Ai tempi di Wikipedia riscrivere la storia a proprio piacimento è semplicissimo. È sufficiente entrare a fare parte dell’élite degli utenti autorizzati e si possono modificare eventi storici acclarati secondo i propri gusti personali.

Da “massacro” a “incendio casuale”

È quello che è successo alla pagina Wikipedia dedicata al rogo di Odessa, un evento che risale al 2 maggio 2014 e strettamente collegato all’attuale conflitto tra Russia e Ucraina. Bene fino a circa un mese fa Wikipedia fornivauna precisa versione dei fatti. Il rogo di Odessa veniva infatti definito come un massacro presso la Casa dei sindacati in Ucraina ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti filo occidentali ucraini ai danni dei manifestanti sostenitori del precedente governo filo russo.

È bastato un mese, inframmezzato dall’inizio delle ostilità tra Russia e Ucraina insieme ad un allineamento della stampa occidentale su posizioni anti russe, per far riscrivere la pagina Wikipedia sulla strage di Odessa. Ora la versione fornita dall’enciclopedia della Wikimedia Foundation è completamente diversa.

Adesso il rogo di Odessa non è più un massacro, ma un semplice incendio verificatosi presso la Casa dei sindacati a seguito di violenti scontri armati tra le fazioni di militanti filo russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino che ha portato alla morte di 42 persone.

La nuova versione di Wikipedia in contrasto con le fonti ufficiali

Insomma secondo il nuovo corso dell’enciclopedia online sembra che l’incendio scoppiato alla casa dei sindacati di Odessa sia stato un evento casuale, scaturito non si sa bene per quale fenomeno: un po’ di vento? Un improvviso processo di autocombustione? O un fulmine che casualmente ha colpito proprio la casa dei sindacati?

Lascia stupefatti poi l’incredibile piroetta che Wikipediacompie nel descrivere i gruppi ucraini coinvolti negli scontri di Odessa. Da estremisti e neonazisti sono infatti diventati degli innocui sostenitori del nuovo corso politico ucraino. Una versione dei fatti decisamente in contrasto con quanto emerge da tutti i rapporti ufficiali sulla vicenda, compreso il report dell’Alto Commissario per i diritti umani dell’ONU.

Secondo questo documento tra i gruppi ucraini c’erano diversi esponenti del partito politico Pravyj Sektor, che è anche un gruppo paramilitare dichiaratamente neonazista. Non solo. Secondo le ricostruzioni ufficiali i militanti filo russi, numericamente inferiori, si sono rifugiati all’interno della casa dei sindacati di Odessa e sono stati poi circondati dai gruppi ucraini. Sempre secondo le ricostruzioni, dai gruppi ucraini sono partiti diversi colpi di pistola contro l’edificio, nonché un fitto lancio di molotov.

Solo un ristretto gruppo può modificare la pagina

Le indagini non hanno ancora portato ad accertare la responsabilità dell’incendio al 100%, tuttavia non si può negare che un gruppo di filonazisti abbia preso d’assalto un palazzo con molotov e pistolettate, creando quindi tutti i presupposti per la morte di quelle 42 persone. Insomma una versione dei fatti evidentemente occultata dall’enciclopedia del web.

Ora la pagina Wikipedia dedicata al rogo di Odessarisulta bloccata, questo significa che le modifiche possono essere fatte solo dalla stretta cerchia di rollbacker, di utenti convalidati e autoverificati. Si tratta di un ristretto gruppo di persone, spesso nascoste dietro l’anonimato e generalmente scelte dagli amministratori. Ecco come la storia può essere oggi facilmente manipolata da una fondazione con sede a San Francisco.

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1 Aprile 2022 – Redazione

Luciana Lamorgese vuole evitare che le pattuglie rischino incidenti. Insorgono i sindacati degli agenti: «Ci impediscono di fare il nostro mestiere». Ma ormai l’andazzo è quello: via libera ai delinquenti. Nel Comasco sospese le ricerche di un evaso: «Troppo costose».

C’erano una volta le pantere della polizia che sfrecciavano per le strade di Milano e Roma, all’inseguimento di banditi e terroristi. Sono scene che sono state celebrate nei film polizieschi degli anni Settanta con attori come Luc Merenda o Tomas Milian. Negli Stati Uniti sono nate storiche serie televisive che riprendevano i poliziotti alla caccia di ladri e assassini, sempre con il classico lampeggiante sul tetto delle auto. Come non ricordare lo storico inseguimento del 17 giugno 1994 quando la Nbc interruppe una partita di basket per raccontare la fuga dell’attore statunitense Oj Simpson lungo l’autostrada Interstate 405 di Los Angeles? Sono episodi che hanno fatto la storia delle forze dell’ordine. In Italia queste scene potremmo non vederle mai più. Di sicuro sarà sempre più difficile trovarle in Lombardia o a Milano. E la questione rischia di diventare un problema serio per il rispetto della legalità e per la caccia ai delinquenti.

Nei giorni scorsi, infatti, il Compartimento lombardo della polizia stradale ha diramato una circolare dove viene «fortemente consigliato agli operatori in pattuglia in caso di inseguimenti di veicoli, di «limitarsi» ad annotare le informazioni riguardanti il veicolo in fuga e diramarle ad altre pattuglie per attivare le ricerche». Su carta intestata del ministero dell’Interno di Luciana Lamorgese vengono quindi messe in evidenza nuove direttive e viene scritto nero su bianco che, nel caso in cui qualcuno non si fermi a un posto di blocco, «la reazione del personale deve essere attenta e ponderata tenendo conto «in primis» dell’esigenza di salvaguardare la sicurezza di tutte le persone che circolano su strada, compito primario della polizia stradale». Sembra quasi che il Viminale non si fidi più del suo personale. E c’è il rischio di fornire un assist ai delinquenti che ora potrebbero approfittare della mancanza di autorevolezza delle pattuglie della stradale. Perché poi si legge che la pattuglia «dovrà, in caso di fuga dell’automobilista, annotare il numero di targa, modello del veicolo e direzione di marcia e contattare immediatamente la sala operativa che diramerà i dati a tutte le altre forze di polizia presenti sul territorio per il rintraccio dei fuggitivi».

A lanciare l’allarme sulla pericolosità della circolare è il Sap, il sindacato autonomo di polizia. Gianpiero Timpano, segretario nazionale Sap, proprio ieri ricordava come «gli operatori ben conoscono i rischi, anche normativi, di un mestiere sempre più difficile da esercitare, ma abbiano altrettanto chiaro il servizio che devono garantire al Paese. La consapevolezza di doversi preoccupare maggiormente delle responsabilità piuttosto che delle insidie dei malfattori di turno è davvero mortificante; vorremo preoccuparci di assicurare i delinquenti alla giustizia e non delle conseguenze interne». Insomma quanto recita la circolare lombarda è già noto agli agenti di polizia che sono formati a questo scopo. Continua Timpano, «le forze dell’ordine prive di autorevolezza e di serenità operativa non possono assolvere il loro compito istituzionale e non impediranno che taluni soggetti, oltre a fuggire impunemente, compiano reati ben peggiori di quelli previsti dal Codice della strada». Ma perché questo divieto? Nella circolare vengono elencate le numerose conseguenze penali («che scaturiscono da un comportamento imprudente»), amministrative, disciplinari, erariali («i danni che riportano i veicoli di servizio») e persino quelle etico morali («ferimento o decesso delle persone coinvolte»), nella quali si può incorrere «nel caso in cui il tentativo di bloccare la marcia dei malintenzionati dovesse generare «danni collaterali»», come ricorda il Sap.

Il tema è dirimente. Se ne dibatte da tempo in polizia. Negli ultimi anni ci sono stati alcuni casi di inseguimento finiti male, ma non sono certo la regola. Il più recente è quello della ragazza di 14 anni che morì a Roma. Era in macchina con il padre che si scontrò con una volante che a sua volta inseguiva una Punto con a bordo dei sospetti rapinatori di una tabaccheria.

Ma poi ci sono anche i rischi per i mancati inseguimenti. Il 12 marzo nel comasco sono state sospese le ricerche di un evaso, Massimo Riella, che era fuggito dal carcere di Como. Il motivo? Costava troppo un massiccio spiegamento di uomini e mezzi per le ricerche. Alessandro Corbetta, consigliere regionale della Lega, definisce «controversa la nota diffusa dal dirigente della polizia stradale» anche perché «le forze dell’ordine e la Polstrada per evitare le conseguenze nelle quali si incorre nel caso in cui il tentativo di bloccare i malintenzionati dovesse generare «danni collaterali» – secondo quanto affermato – dovranno evitare di compiere il proprio lavoro per il quale sono già consapevoli dei rischi, anche normativi».

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