Vladimir Putin has kept frequent contact with Donald J. Trump as Russian soldiers, aircraft, and warships continue to bombard eastern Ukraine, targeting not civilians but Western-sponsored bioweapons laboratories that zigzag the countryside like a child’s connect-the-dots puzzle, a Mar-a-Lago source told Real Raw News.Our source emphasizes he is reporting only what Putin has told Trump; he is not attesting to the veracity of Putin’s statements, and Trump, he said, has yet to independently verify Putin’s claims. ~~~~~~~~~~~~~~
(Trad: La nostra fonte sottolinea che sta riportando solo ciò che Putin ha detto a Trump; non sta attestando la veridicità delle dichiarazioni di Putin e Trump, ha detto, deve ancora verificare in modo indipendente le affermazioni di Putin.)
On Thursday Trump reportedly took a third telephone call from Putin and was told the Russian military had obliterated 13 bioweapon facilities across Ukraine. Some were subterranean and struck several times to ensure their destruction.
Putin contended the West—the American NIH, France’s Institute of Health and Medical Research, and Germany’s Center for Infection Research–had funneled billions of dollars into the labs under the pretense of research grants. He claimed to have evidence, which he would eventually make public “when the world is willing to listen.”
According to Putin, Ukrainian President Volodymyr Zelenskyy knew about the laboratories and had received kickbacks in exchange for letting them operate clandestinely and without official oversight.
“Putin told Trump he gave Zelenskyy many warnings to dismantle the labs, as far back as February 2020, and warned he’d do it himself if Zelenskyy didn’t comply. He admitted to minor collateral damage, but told Trump that Zelenskyy had only himself to blame, for putting the people of the Ukraine in danger,” our source said.
Putin also namedropped Israel. He said the Israeli Health Ministry and the MOSSAD ran a biolab on Snake Island, a land mass that belonged to Ukraine, located in the Black Sea, near the Danube Delta, with an important role in delimiting Ukrainian territorial waters.
On Thursday, a Russian Slava-class cruiser approached Snake Island and warned the inhabitants to surrender at once or be fired upon. “We are a Russian warship, proposing you put down arms to avoid bloodshed and unjustified deaths. In worst case, you will be hit with bomb strike,” the Russian’s warning continued for five minutes. The occupants replied: “Fuck you, Russian warship.”
The Slava cruiser opened fire, pummeling and razing the island’s structures until only dust and rubble were left in the wake of the attack. There were no survivors.
Putin said to Trump that the biolab on Snake Island had been involved in researching a weaponized type of airborne rabies that, if aerosolized, could have ravaged the earth with nearly a 100% mortality rate.
“He assured Trump he’d taken precautions to guarantee all pathogens were hit hard and effective enough to render them inert. He wouldn’t say if he used thermobaric ordnance, but that seems a likely possibility,” our source said.
Make no mistake, President Trump. We’re not hitting cities. If we were, more than one building in Kyiv would be hit, and there’d be no electricity, no water, no nothing. We’re burning the trash,” Putin purportedly told Trump.
Traduzione in italiano nel VIDEO seguente: ⤵️
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A noi non resta che sperare che la fonte del giornalista inglese Baxter sia davvero affidabile come dice e che tutto quanto affermato sia vero…
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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia MC Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]
Negli ultimi due anni abbiamo imparato, nostro malgrado, a conoscere molto bene i diversi esponenti del settore sanitario italiano. Dalla mattina alla sera, infatti, tra un virologo in ed un infettivologo, molti programmi in tv ci hanno assillato con teorie contrastanti e previsioni catastrofiche. Ma quanto ha fruttato fino ad oggi il servizio di questi personaggi?
Tra procuratori e cachet, ecco che spunta il tariffario
Come funziona il circuito delle comparsate ce lo spiega la Repubblica. Il giornale – che decisamente non si può definire “no-vax” – ha infatti divulgato alcune interessanti informazioni: Le redazioni dei programmi contattano virologi ed esperti a loro discrezione, mentre i procuratori delle virostar supportano l’organizzazione delle partecipazioni in tv. Gli stessi si occupano degli eventuali compensi riconosciuti agli ospiti fissi, in studio o in collegamento, nei programmi di fascia serale. Si va dal semplice rimborso spese, al gettone di presenza, alla remunerazione specifica per il tipo di intervento richiesto in onda. L’ammontare di queste note spesa? Tra i 300 e i 2.000 euro, IVA esclusa. (Continua a leggere dopo la foto).
Compensi tramite le agenzie
Molte delle virostar sostengono di non ricevere alcun compenso in forma “diretta”, ecco però che la Repubblica svela alcuni nomi delle varie agenzie che si occupano dei loro interessi:
A Elastica, agenzia di comunicazione ed eventi che ha in scuderia anche scrittori, registi, imprenditori, giornalisti, si appoggiano Roberto Burioni, Roberto Battiston e Ilaria Capua.
Roberto Burioni, virologo del San Raffaele, è stato il volto primario della pandemia sulla Rai a Che tempo che fa. Per le sue lezioni di pochi minuti su varianti e vaccini, senza mai subire alcun contraddittorio, il professore avrebbe stipulato un contratto di esclusiva tv con la società che produce la trasmissione, esterna alla RAI.
L’agente di Ilaria Capua, direttrice del Centro di Eccellenza One Health in Florida, smista l’agenda di interviste e interventi in collegamento dal centro satellitare dell’università americana. La virologa è stata onnipresente nella prima fase della pandemia a DiMartedì, dove è tornata ancora l’anno scorso alternando le partecipazioni a In Onda e Otto e mezzo, sempre su La7.
Sempre su La7 Antonella Viola, direttrice dell’Istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza, è stata presenza fissa con un gettone elargito a compenso della sua attività di divulgazione. Indiscrezioni hanno parlato di una certa “Gabriella Nobile Agency” per la gestione delle attività televisive ma l’immunologa ha spiegato: «È una cara amica dai tempi delle scuole medie che mi ha dato una mano quando il telefono ha iniziato a squillare incessantemente».
Alcune virostar si chiamano fuori dai compensi
Andrea Crisanti, microbiologo all’università di Padova reduce dall’acquisto nel vicentino della maestosa Villa Priuli Custoza – vicenda che ha scatenato pruriti polemici e accuse di lucro – ha invece racconta di non aver mai fatto comparsate a pagamento. Anzi, ha detto, «per evitare situazioni equivoche, mi sono imposto di non guadagnare neanche un quattrino con la pandemia. Mai preso soldi per il Covid».
Matteo Bassetti, infettivologo del policlinico San Martino di Genova, ha ricordato più volte di andare in trasmissione “come tutti i narcisisti” “non per fare un reality, ma per fare divulgazione scientifica”, andandoci quindi gratis.
Massimo Galli, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, ha dichiarato qualche settimana fa: «Partecipo gratis. Ho un agente? Assolutamente no». Questa la sua la risposta a Checco Zalone sul palco di Sanremo.
Dalle ospitate in tv alcuni hanno tratto poi altri giovamenti: Walter Ricciardi, igienista alla Cattolica e consulente del ministro Roberto Speranza, è finito nel direttivo di Azione, il partito di Carlo Calenda. Anche Bassetti, “centrista liberale”, ci pensa: «Mai dire mai, ma comunque lo farei solo come tecnico», dichiara il virologo. Non esclude un futuro nella politica nemmeno il virologo Fabrizio Pregliasco («sono un democristiano, come approccio»). Chiudono a questa possibilità invece Burioni («Ho già declinato l’offerta di Matteo Renzi») e Crisanti («Ho detto no a Pd e Cinque Stelle»).
L’interrogazione parlamentare di Italexit
Gianluigi Paragone, già a suo tempo, aveva sollevato qualche dubbio sulle remunerazioni dei virologi da salotto, tanto da fare un’interrogazione alla Rai in qualità di cittadino, di Sentore della Repubblica e di membro della Commissione di Vigilanza. La risposta? “Per quel che riguarda i compensi la prestazione professionale non è a carico di Rai, è comunque stata retribuita secondo gli standard previsti dal mercato per figure della competenza del professor Burioni”. Quindi alla fine, da chi viene pagato Burioni, semplicemente non lo han detto.
Analfabetismo funzionale è forse l’emergenza più grande in Italia e dalla quale dipendono a cascata tutte le altre emergenze…
In Italia, infatti, secondo una indagine di Piaac-Ocse condotta nel 2019, e riportata da Truenumbers, circa il 28% della popolazione tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Significa che non sa né leggere né scrivere? No. Vuol dire invece che alcune persone non sono in possesso delle abilità necessarie a comprendere a pieno e usare le informazioni quotidiane, che abbiamo costantemente attorno.
Nel dettaglio, secondo i dati dell’indagine vi è un 5,5% che comprende solo informazioni elementari, contenute all’interno di testi molto brevi, caratterizzati da un vocabolario base. Un altro 22,2%, invece, si limita alla comprensione di testi misti (sia cartacei che digitali) purché siano corti abbastanza.
È uno dei dati peggiori in Europa, che oltre a danneggiare la persona stessa, influisce sul progresso tecnologico.
Le vicissitudini attuali (ad es. pandemia Covid, Green Pass, ecc.) stanno evidenziando quotidianamente alla luce del sole, la problematica sociale sommersa, ignorata e accantonata dell’analfabetismo funzionale che funziona solo a vantaggio dei mass-media e classe politica.
Il problema è dannatamente serio, attuale e drammaticamente esteso come un tumore e pertanto sono necessarie urgenti contromisure. Per affrontare con successo il fenomeno dell’analfabetismo funzionale occorre, in primis, restituire il giusto valore a due elementi fondamentali: la famiglia e la scuola.
Proteggendo i valori intrinseci della famiglia e restituendo la dignità al corpo scolastico: bidelli, insegnanti, studenti tutti tesi a convergere le forze per indirizzare la Scuola al piacere di imparare facendo domande, stimolando la curiosità e conseguentemente il pensiero critico.
Lo strumento più valido è senza dubbio la lettura che stimola il cervello ai quei processi necessari per sviluppare comprensione, riflessione e sintesi, tutti fattori necessari per stimolare e sviluppare, giorno dopo giorno, la capacità cerebrale umana più potente e pertanto temuta anche dal World Economci Forum: il PENSIERO CRITICO!
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In Ucraina, il Governo ha chiamato alle armi i civili per contrastare l’invasione russa: cosa succederebbe in Italia? I civili sarebbero chiamati a combattere? Ecco gli scenari.
27 Febbraio 2022 – Redazione Co.Te.Li
Gli italiani possono essere chiamati in guerra? In molti, in queste ore, se lo stanno chiedendo. Con la guerra in Ucraina che continua ad aggravarsi, infatti, sale la preoccupazione in tutto il mondo per la drammatica ipotesi di un’estensione del conflitto ad altri Paesi, Italia inclusa. L’ipotesi che fa più paura è quella di una vera e propria Terza Guerra Mondiale.
Se dovesse davvero esplodere un conflitto di proporzioni mondiali, la posizione dell’Italia è netta: combatteremmo al fianco degli Stati Uniti e, più in generale, della NATO.
L’Italia ripudia la guerra. Lo dice l’articolo 11 della nostra Costituzione, lo ha ricordato in un’informativa alla Camera dei deputati il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che ha sottolineato la condanna, “con assoluta fermezza”, all’invasione russa in Ucraina. Se i cittadini di Kiev, i civili, sono stati chiamati alle armi per difendere il Paese dall’aggressione, cosa succederebbe in caso di un’entrata in guerra dell’Italia? Chi può essere chiamato alle armi? Ecco cosa può succedere.
I casi in cui l’Italia può entrare in guerra
L’Italia ripudia la guerra, come previsto dall’articolo 11 della Costituzione, ma questo non significa che non possa prenderne parte. La nostra Carta non accetta che il conflitto possa essere “uno strumento di offesa alla libertà degli altri popoli” o usato “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.
Qual è l’eccezione? La Costituzione accetta lo scenario della guerra quando, “in condizioni di parità con gli altri Stati”, serva a “limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Ed è sostanzialmente ciò che ha portato l’Italia a entrare nella Nato (ecco come funziona).
Ovviamente, l’Italia può essere costretta a entrare in guerra nel caso in cui venga attaccata.
Chi sarebbe chiamato a combattere in caso di guerra in Italia
Nel caso in cui l’Italia entrasse in guerra, i civili sarebbero chiamati a combattere come chiesto in Ucraina dal presidente Zelensky? Anche in questo caso occorre leggere la Costituzione:
articolo 52, comma 2: “Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”.
Nessuno è immune o può chiamarsi fuori, soprattutto se l’Italia venisse attaccata militarmente: l’art. 52 della Costituzione sancisce, come scritto prima, che: «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». In questa delicatissima materia nulla è lasciato al caso, o ai pubblici proclami, come le false “lettere di presentazione al distretto militare” per le classi dal 1990 al 2003, che circolano in questi giorni. Al contrario, le leggi vigenti specificano chi può essere chiamato alle armi in caso di guerra.
Ed è qui che entra in gioco la legge che ha riformato il servizio di leva, la numero 226/2004, che ne ha fatto decadere l’obbligo: ad oggi, infatti, entrare nelle forze armate è un atto volontario. Il periodo può andare da 1 a 4 anni, con la possibilità di diventare effettivi al termine di tale periodo.
In caso di guerra l’obbligo può essere ripristinato? La risposta è nell’articolo 1929 del codice dell’ordinamento militare, sulla “sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino”. Il secondo comma stabilisce che:
il Consiglio dei ministri può deliberare a favore del ripristino dell’obbligo del servizio di leva, certificato poi dal decreto del presidente della Repubblica;
i casi in cui è previsto tale ripristino sono: personale volontario in servizio insufficiente; impossibilità di colmare le vacanze di organico in funzione delle predisposizioni di mobilitazione”.
Chi sarebbe chiamato alle armi, allo stato attuale, in caso di guerra?
Esercito;
Marina militare;
Aeronautica militare;
Carabinieri;
Guardia di Finanza;
chi ha cessato il servizio presso uno di questi corpi da non oltre 5 anni.
Per nessun esponente di questi corpi è possibile rifiutare la chiamata alle armi, a meno di impedimenti legati alla salute.
Chi non verrebbe chiamato a combattere in caso di guerra in Italia
L’articolo 1929 del codice dell’ordinamento militare, però, esclude anche alcune categorie dalla chiamata alle armi, anche in caso di guerra:
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L’Italia schiera il generale Figliuolo. Sarà lui, già commissario per l’emergenza Covid, a coordinare la missione italiana che andrà a rafforzare il contingente Nato nei Paesi limitrofi all’Ucraina. A svelarlo il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè. “Il generale Francesco Figliuolo non interverrà sul terreno, dove ci saranno i comandanti dei diversi contingenti – precisa sulle colonne del Giornale – il suo ruolo di guida del Comando operativo di vertice interforze è logistico, metterà insieme le truppe“.
Mulè spiega il ruolo dei nostri militari italiani in questa guerra, iniziata con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Loro “andranno a rafforzare il contingente Nato per presidiare i paesi limitrofi all’area di crisi che fanno parte del Patto Atlantico“. Secondo Mulè non possiamo farci trovare Impreparati di fronte a un possibile inasprimento della crisi. Questo però non significa che i militari italiani saranno autorizzati a entrare in Ucraina. Tutt’altro: “In nessun modo i militari italiani sono autorizzati a entrare in Ucraina”.
Il deputato di Forza Italia spera ancora che tutto questo possa finire. Mulè è convinto che “non ci si deve rassegnare, bisogna ancora aver fiducia nella diplomazia.
“Dopo gli accordi di Helsinki del 75 sulle sfere d’influenza non si è più aperto un dialogo, ora si deve portare a un tavolo, facendo tacere le armi, tutti gli attori per riconoscere le ragioni dell’uno e dell’altro e tornare allo spirito di Helsinki 75 e di Pratica di Mare”. I rischi ci sono anche per l’Italia. Mulè ricorda come per gas e grano, tutte le materie prime che importiamo da Russia e Ucraina ci saranno sicuramente rincari. liberoquotidiano.it
Il Paese ha sistemi alternativi per i pagamenti interni e sarebbero più colpiti i Paesi sanzionatori.
L’esclusione della Russia dal circuito di pagamenti Swift è una delle misure sul tavolo per punire il paese dopo l’invasione dell’Ucraina, ma la sanzione potrebbe non essere così efficace come si pensa per le sue ramificate implicazioni sul sistema degli scambi internazionali, tanto da poter diventare un’arma a doppio taglio.
A fare il punto sull’argomento è uno studio pubblicato nei giorni scorsi dall’Ispi, l’Istituto per gli studi di politica internazionale, firmato da Luca Fantacci e Lucio Gobbi. La Russia, puntualizzano gli autori, si sta già di fatto preparando a questa eventualità, avendo sviluppato dal 2014 a questa parte dei circuiti alternativi di pagamento che attenuerebbero gli effetti negativi della sanzione, che anzi potrebbe finire per ritorcersi contro i paesi occidentali.
Lo Swift (Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunication) è un consorzio internazionale di banche con sede in Belgio che collega attraverso una rete informatica circa 11.000 istituzioni finanziarie in oltre 200 paesi di tutto il mondo. Il consorzio fu costituito nel 1977 per evitare che l’infrastruttura dei pagamenti internazionali fosse monopolizzata dall’americana Citibank e ha sempre agito come una società privata. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 però gli Stati Uniti ne chiesero l’accesso per rintracciare la rete di finanziamento dei fondamentalisti islamici.
L’importanza dell’uso di Swift in un quadro sanzionatorio è emersa nel 2012, quando su pressione degli Usa venne disconnesso il sistema bancario dell’Iran, nell’ambito delle misure studiate per fermarne il programma nucleare. Swift blocca non solo i paesi ma anche gli intermediari che, in violazione delle sanzioni, effettuino transazioni con i soggetti colpiti, diventando così un’arma economica potente.
Il caso russo presenta però caratteristiche diverse. Già nel 2014, con l’invasione in Crimea, alcune banche locali sono state inserite dagli Stati Uniti in una lista nera. La banca centrale russa sviluppò allora un proprio sistema di pagamento, Mir, che intermedia circa il 25% di tutte le transazioni nazionali con carta, ma che è difficilmente utilizzabile all’estero.
In seguito il governo russo ha sviluppato un’altra rete di pagamenti, il System for Transfer of Financial Messages (SPFS) che nel 2021 ha intermediato circa 13 milioni di messaggi tra i più di 400 intermediari finanziari aderenti al sistema (tra cui Unicredit e Deutsche Bank) per un totale pari al 20% dei trasferimenti nazionali. Nel caso in cui le banche russe fossero disconnesse da Swift il sistema finanziario russo potrebbe appoggiarsi inoltre al sistema di pagamento interbancario transfrontaliero cinese (CIPS), gestito dalla People’s Bank of China, che ha utenti in oltre cento Paesi.
Nel 2014, ricorda lo studio dell’Ispi, quando l’Europa chiese che la Russia fosse sconnessa da Swift le autorità russe stimarono che il provvedimento avrebbe comportato una riduzione del Pil del 5%. “Oggi – si afferma – il quadro è diverso. Grazie a Mir, i pagamenti interni al Paese non sarebbero colpiti. E anche gli effetti sulle relazioni esterne sarebbero parzialmente attenuati dal ricorso a Spfs e Cips. Tanto che lo stesso Medvedev, che nel frattempo è diventato vicepresidente del Consiglio di Sicurezza, ha dichiarato che le transazioni finanziarie ‘diventeranno più difficili, ma non sarà una catastrofe’.
In compenso, l’esclusione di un Paese da Swift avrebbe ripercussioni sugli Stati che comminano le sanzioni. Il blocco dei pagamenti in entrata e in uscita imporrebbe un’interruzione non soltanto dei traffici commerciali, ma anche delle transazioni finanziarie. Perciò l’ipotesi di un’esclusione della Russia ha suscitato la preoccupazione delle banche europee, in particolare di quelle francesi e italiane, che sono esposte complessivamente per circa 50 miliardi di dollari ugualmente ripartiti fra i due Paesi e che, nell’evenienza di un blocco, non potrebbero ottenere il pagamento di quei crediti. Un blocco indiscriminato rischierebbe così di tradursi in una moratoria dsui debiti esteri della Russia”.
Inoltre, come ricorda il Wall Street Journal, le valute digitalizzate della banca centrale o altri token come il bitcoin potrebbero essere accelerati per svolgere un ruolo più importante nei pagamenti globali.
Alla lunga, l’utilizzo del sistema dei pagamenti come arma – conclue lo studio Ispi “rischia di essere costoso per i Paesi che la utilizzano assai più che per quelli che la subiscono: il ricorso sistematico a questo strumento, non solo colpisce tanto gli uni quanto gli altri, ma incentiva la ricerca di alternative e finisce per minare alla radice l’utilizzo del dollaro come moneta internazionale e l’assetto geopolitico che su tale egemonia monetaria si regge”.
La difficoltà di procedere in questo senso è stata confermata oggi da un portavoce del governo tedesco, secondo cui sospendere la Russia avrebbe un impatto enorme sulle transazioni per la Germania e le imprese tedesche in Russia. La Germania non è l’unico paese ad avere riserve sull’esclusione della Russia da Swift, ha spiegato, affermando che anche l’Italia e la Francia ne avevano alcune.
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Oggi vi proponiamo un editoriale pubblicato su Analisi Difesa il 24 marzo 2014, ma che abbiamo ritenuto quanto mai attuale. giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea. Dal 1988 Gaiani si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui “Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane” e “Immigrazione, la grande farsa umanitaria”. Dall’agosto 2018 al settembre 2019 ha ricoperto l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza del ministro dell’Interno.
Quei nazisti che piacciono tanto a Ue e Nato
Chi l’avrebbe mai detto che avremmo visto l’Unione Europea e la Nato mobilitarsi in Ucraina per soccorrere nazisti, anti semiti e movimenti che discriminano gli omosessuali? Venerdì scorso l’Unione Europea si è affrettata a garantire l’associazione a un governo ucraino imposto “dalla piazza” che ha spaccato in due il Paese ed è composto da ministri di partiti che non hanno vinto elezioni nazionali buona parte dei quali si richiamano apertamente all’ideologia nazista. Quell’Europa sempre pronta a censurare atteggiamenti discriminatori e razzisti nei confronti di popoli, culture e orientamenti sessuali, quella Ue che ha sollevato l’allarme per l’affermazione politica di Alba Dorata in Grecia, che si scandalizza per e iniziative di Casa Pound, Forza Nuova e persino della Lega Nord ha garantito al governo ucraino un rapidissimo processo di associazione all’Unione che ci costerà subito una dozzina di miliardi di euro (nostri) e in futuro chissà quanto altro denaro. Soldi con cui (perché nessuno lo dice?) si poteva alleviare la drammatica austerity greca o consentire all’Italia e ad altro Stati di alleggerire la pressione del rapporto deficit/Pil imposta da Bruxelles.
Rompuy, dopo aver affamato greci e ciprioti, ridotto al disastro le economie del sud Europa scambiandosi sorrisini di scherno circa l’Italia (che il prode Matteo Renzi ha incassato senza neppure farsi prestare da Beppe Grillo un sonoro “vaffa”) ci impongono di adottare l‘Ucraina. Un Paese che, come ha ricordato su Il Giornale Gian Micalessin, ha “un debito di 410 miliardi dollari, un rapporto deficit/Pil all’8 per cento e casse così vuote da non riuscir a trovare neppure i 25 miliardi di dollari per arrivare a fine anno. Un’Ucraina a cui dovremo allungare 15 miliardi di dollari per rimpiazzare i prestiti russi e regalare un bel po’ di gas per consentirle di sopravvivere senza quello del “cattivo” Putin”. Possibile che a tutti partner le cose stiano bene così? Possibile che nessun movimento o ong per i diritti umani si indigni per l’ingombrante presenza nazista nel governo ucraino? Il Fronte National di Marine Le Pen è reazionario e i nazisti di Svoboda e Pravij Sektor sono “freedom fighters”? Eppure quando l’Ue stanziò 11 miliardi di aiuto a Kiev il vice ministro degli Esteri italiano, Lapo Pistelli, aveva fatto notare a Radio 1 Rai “che se l’Europa avesse offerto il 20% di quella cifra per il risanamento e lo sviluppo dell’area mediterranea, penso a Egitto, Libia, Tunisia, avremmo avuto sicuramente meno turbolenze. Quindi voglio vederci chiaro su questa proposta di Barroso” aveva concluso Pistelli. Ci faccia sapere cosa ha saputo o dedotto ma a noi pare che a Germania intenda far pagare alla Ue il suo programma di “annessione” politica ed economica dell’Ucraina. Progetto condiviso da Polonia e anglo-americani che puntano però a mettere in scacco la Russia e taglia farla fuori dall’area europea. Fanta politica ?
nel quale l’accademico di origine polacca ed ex Consigliere per la sicurezza nazionale dell’amministrazione Carter chiarì senza esitazioni il ruolo dell’Ucraina. “ Senza l’Ucraina, la Russia cessa di essere un impero eurasiatico. Tuttavia, se Mosca riprende il controllo su Ucraina, con i suoi 52 milioni di persone e grandi risorse, nonché l’accesso al Mar Nero, la Russia ritrova di nuovo automaticamente i mezzi per diventare un potente Stato imperiale, che attraversa l’Europa e l’Asia.” Per perseguire un obiettivo di così vasta portata si può anche fare comunella con i nazisti che affiancano il più presentabile partito Patria della filo-americana Iulia Timoshenko. Come conciliare tanta accoglienza ai “camerati” ucraini con le perplessità dei nostri “partner“ europei e le preoccupazioni per le “derive fasciste” quando in Italia vinceva le elezioni il centrodestra con Alleanza Nazionale? Quel sincero democratico di Elio Di Rupo, vice premier belga nel 1994, si rifiutò di stringere la mano a Pinuccio Tatarella, ministro del primo governo Berlusconi, perché esponente di un partito ex fascista. Oggi che è premier, il socialista e gay dichiarato Di Rupo stringerà la mano ai tanti ministri ucraini di area neonazista? A quanto pare a Bruxelles (e soprattutto a Berlino e Varsavia) sono tutti amici, anzi “camerati” dell’Ucraina alla faccia dei principi sui quali si basano tutte le leggi che da noi limitano la libertà di espressione (istituite anche in Italia) per punire persino le parole e non solo i comportamenti “discriminatori”. Di fatto l’Unione Europea abbraccia i nazisti ucraini così come in questi anni ha tollerato l’estremismo musulmano e le discriminazioni sociali e di genere praticate all’interno delle comunità islamiche che vivono in Europa.
Come spiegare l’appoggio senza riserve che Nato e Ue hanno accordato al governo ad interim ucraino in cui hanno un peso enorme partiti come Svoboda (Libertà) costituito col nome più esplicito di “Partito Nazionale e Sociale dell’Ucraina” o il Settore Destro e Una-Unso (Assemblea nazionale ucraina-Auto difesa del popolo ucraino). Movimenti il cui accesso al governo d interim di Kiev è stato garantito dalle armi e dalla violenza non certo da libere elezioni. Le ideologie e i programmi politici formulati apertamente da questi movimenti non sarebbero legali in Europa ma evidentemente nell’ambito del progetto di sottrarre l’Ucraina all’orbita russa e assestare un duro colpo strategico ed economico a Mosca anche i nazisti possono diventare utili alleati da difendere mobilitando le forze della Nato. Un’operazione che la propaganda Occidentale cerca di presentarci con note di linguaggio che tendono a semplificare i fatti e a nascondere la matrice ideologica del “nuovo che avanza” in Ucraina. Con la complicità o l’assenso tacito di molti grandi media i fatti di Maidan vengono presentati come il risultato di una “rivoluzione popolare” a Kiev e ai partiti politici che comandano oggi in Ucraina spesso non viene attribuita l’etichetta di neonazista, razzista o neofascista che i media non risparmiano mai a movimenti presenti in Occidente ben più blandi sul piano ideologico.
propagandistica sembra essere quello di ricreare un clima di Guerra Fredda, che ne ricalchi gli schemi nonostante questi siano “scaduti” da un bel pezzo, per consolidare il consenso a quella che potremmo chiamare “operazione Maidan” e far passare sotto silenzio e senza contrasti interni all’Occidente l’assimilazione dell’Ucraina in Ue e Nato. Una campagna propagandistica che sta avendo successo come se esistesse ancora la Cortina di Ferro, l’URSS e il Patto di Varsavia. Curioso che in questa vicenda la censura dell’Occidente vada a rivolta al “nazionalismo” dei russi ma non a quello ucraino e sia stata rimossa dai media la cancellazione del russo dalle lingue ufficiali del Paese decisa dal nuovo Parlamento di Kiev nel quale non erano più presenti i deputati russi o russofoni. Intendiamoci, quanto a propaganda anche la Russia non scherza enfatizzando proprio la presenza di partiti nazisti a Kiev ma non si può negare che in Occidente, forse per nascondere la natura autoritaria della nuova leadership, l‘attenzione mediatica è stata subito spostata sulla Crimea sottolineando l’illegalità di un referendum che di certo è stato unilaterale ma ha però fotografato e rappresentato la volontà popolare della penisola. Difficile in caso contrario spiegare il 97 per cento dei voti a favore del distacco da Kiev o il fatto che 16 mila dei 18 mila soldati ucraini presenti in Crimea hanno cambiato uniforme e oggi operano agli ordini di Mosca. Certo la posizione della Ue è coerente con la sua tradizionale ostilità a tutto ciò che ha a che fare con la volontà popolare forse perché tutti i popoli che hanno avuto la fortuna di poter votare se aderire o meno a Ue ed Euro hanno detto no e gli unici due chiamati ad approvare la Costituzione europea (francesi e olandesi) l’hanno respinta.
ci dovrà pur spiegare il “valore aggiunto” dei nazisti ucraini, digeribili e persino attraenti per una Ue di solito schizzinosa di fronte a movimenti con simili ideologie. La migliore conferma che dietro alla “rivoluzione” ucraina si nasconde un duro attacco alla Russia è rappresentata proprio da questo inspiegabile entusiasmo dell’Occidente (per meglio dire dei Paesi che lo guidano) per il governo ad interim ucraino che ha appena costituito una Guardia Nazionale composta in buona parte dai “gruppi di autodifesa” formatisi durante la protesta del Maidan e che verrà impiegata per compiti di sicurezza, ordine pubblico controllo delle frontiere e antiterrorismo. Se verrà impiegata, come sembra, nelle province orientali popolate per lo più da russi e filo-russi il rischio è che si scateni contro le comunità e gli attivisti filo russi. Eventualità di fronte alla quale, lo sappiamo già, Putin non starà a guardare.
Ma vediamo un po’ più da vicino alcuni dei nostri nuovi amici nazisti ucraini che occupano molti ministeri e ruoli di rilievo. Il vicepremier è Oleksandr Sych che, come ha ricordato Anna Mazzone su Panorama.it, il 4 febbraio scorso affermò in Parlamento che “la dittatura fascista è il modo migliore per governare un Paese. Svoboda, che nel suo programma vuole vietare l’aborto anche in caso di gravidanze dovute a stupri, alle ultime elezioni ha ottenuto il 10 per cento dei voti ed esprime oggi diverse chiave dell’esecutivo di Kiev. Incluso il ministro della Difesa, Igor Tenjukh e il Segretario del Consiglio nazionale di sicurezza e difesa, Andriy Parubiy. Svoboda esprime anche i ministri dell’Ambiente (Andriy Mokhnik), dell’Agricoltura (Igor Shvajka) e della pubblica istruzione (Sergej Kvit). Incarichi che non sembrano suscitare allarmi in Europa benché nel programma del partito figurino il bando dei partiti comunisti, lo sviluppo di un arsenale nucleare e l’obbligo di indicare sui documenti l’appartenenza etnica e religiosa. Però vuole anche l’adesione dell’Ucraina a Nato e Ue, sarà per quello che in Occidente nessuno rifiuta di stringere la mano ai suoi esponenti. Ihor Miroshnychenko, deputato al Parlamento di Kiev sostiene che “l’omosessualità sarà bandita perché è una malattia che aiuta a diffondere l’Aids”. Dopo le censure che Barack Obama, molte cancellerie occidentali e del movimento gay internazionale rivolte a Vladimir Putin durante le Olimpiadi di Sochi accusandolo di non essere “gay friendly” contro Miroshnychenko non si è mosso neppure un Vladimir Luxuria.
Il “rivoluzionario” ucraino deve risultare essere inoltre molto più simpatico di Carlo Giovanardi considerato che non risultano proteste delle organizzazioni per i diritti dei gay davanti alla sede della Commissione Europea. Come ricorda Franco Fracassi in un documentato articolo sul sito Megachip, nel libro “Nazionalsocialismo” Miroshnychenko illustra l’ideologia di Svoboda includendo tra i “vate” che ispirano il partito Joseph Goebbels e altri gerarchi nazisti. Non c’è da stupirsi che il Centro Simon Wiesenthal ha definito Svoboda “uno dei cinque partiti più anti semiti del pianeta” ma c’è da meravigliarsi che in Europa nessuno se ne sia accorto. Non dimentichiamo infine Dmitri Jarosh, leader dei neonazisti del “Pravij sektor” che si è candidato a presidente della Repubblica e non ha mai lesinato le lodi ai camerati greci di Alba Dorata. Da Europa e Nato sono considerati amici e alleati anche i militanti nazionalisti e antisemiti di Una-Unso, acronimo di “Assemblea nazionale ucraina-Auto difesa del popolo ucraino”, movimento che esprime il ministro della Gioventù e dello Sport, Dimitri Bulatov noto per aver inviato volontari a combattere i russi in Cecenia. Solo fino a ieri li avremmo definiti fiancheggiatori e complici dei terroristi islamici. Oggi sono partner europei.
[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia MC Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]
«Il Green Pass ha l’unico senso di motivare le persone a vaccinarsi, per cui al momento non serve più a molto». Guido Rasi, immunologo, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata e consulente del generale Figliuolo per la campagna vaccinale, fa il punto sullo stato della pandemia nelle ultime settimane in un’intervista alla Stampa.
Per il professore «il certificato può essere tolto a giugno». E la quarta dose non è necessaria: «Il richiamo di massa in questa situazione non ha senso». Insomma, parole ottimistiche che confermano la piena uscita dall’emergenza Covid. Lo riporta HuffPost.
Anche Matteo Bassetti, tre giorni fa, si e’ espresso allo stesso modo. Dal 31 marzo stop al Green Pass, “non ha senso mantenere questo strumento dopo la fine dello stato di emergenza, non ci sono motivazioni sanitarie. Se il certificato verde rimarrà in vigore sarà solo per una decisione politica. il Green pass ha avuto un ruolo fondamentale per favorire la vaccinazione. Un risultato ampiamente raggiunto, in quanto “dalla sua introduzione abbiamo guadagnato il 30% di vaccinati in 5 mesi. A fine marzo quindi avremo un 95% di popolazione vaccinata e, se si aggiunge la fetta di popolazione guarita dal virus, probabilmente possiamo affermare di aver raggiunto l’immunità di gregge”.
AL DANNO SI AGGIUNGE LA BEFFA. FUORI DA QUESTA EUROPA. A RIMETTERCI, ANCHE IN QUESTO CAOS BELLICO, È SOPRATUTTO L’ITALIA
La guerra mette a rischio anche le esportazioni agroalimentari lombarde in Russia e Ucraina per un valore complessivo di circa 100 milioni di euro in un anno. È quanto stima la Coldiretti Lombardia in base a una proiezione su dati Istat riferiti al 2021, con le vendite che in Russia valgono oltre 77 milioni di euro e in Ucraina circa 36 milioni di euro.
Gli effetti del conflitto ucraino – denuncia la Coldiretti – rischiano di cancellare tutto il Made in Italy a tavola dai mercati di Mosca e Kiev con le esportazioni agroalimentari italiane che nel 2021 hanno complessivamente superato il miliardo di euro, aggravando ulteriormente gli effetti dell’embargo deciso da Putin con il decreto n. 778 del 7 agosto 2014, e da allora sempre prorogato, come risposta alla sanzioni decise dall’Unione Europea, dagli Usa ed altri Paesi per l’annessione della Crimea. Un blocco che è già costato alle esportazioni agroalimentari tricolori 1,5 miliardi negli ultimi 7 anni e mezzo.
Il Decreto di embargo tuttora in vigorecolpisce – sottolinea la Coldiretti – un’importante lista di prodotti agroalimentari con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, provenienti da Ue, Usa, Canada, Norvegia ed Australia. L’agroalimentare – spiega la Coldiretti – è, fino ad ora, l’unico settore colpito direttamente dall’embargo che ha portato al completo azzeramento delle esportazioni in Russia dei prodotti Made in Italy presenti nella lista nera, dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano, dal prosciutto di Parma a quello San Daniele, ma anche frutta e verdura.
Al danno diretto delle mancate esportazioni in Russia si aggiunge – continua la Coldiretti – la beffa della diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy, realizzati in Russia come parmesan, mozzarella, robiola, o nei Paesi non colpiti dall’embargo come scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano e gorgonzola di produzione Svizzera e reggianito di origine brasiliana o argentina.
Nei supermercati russi si possono trovare fantasiosi surrogati locali che hanno preso il posto dei cibi italiani originali, dalla mozzarella “Casa Italia” all’insalata “Buona Italia”, dalla robiola Unagrande alla mortadella Milano. Il danno – conclude la Coldiretti – riguarda anche la ristorazione italiana in Russia che, dopo una rapida esplosione, ha dovuto rinunciare ai prodotti alimentari Made in Italy originali. (ITALPRESS).
26 Febbraio 2022 – Di Marcello Pamio (Disinformazione.ti)
RIASSUNTO (PER CHI NON SA E GIUDICA) DELLE DINAMICHE TRA RUSSIA E L’OCCIDENTE.
1) Forze ucraine di matrice neonazista, di origine golpista, uccidono quotidianamente la popolazione di origine russa in Donbass dal 2014. Il mondo occidentale, l’ONU e i media tacciono.
2) La Russia chiede garanzie legali. Zero risposte.
3) NATO, USA e UE finanziano impunemente l’Ucraina. L’ONU tace.
4) La Russia chiede all’Ucraina di impegnarsi a rispettare gli accordi di Minsk 1 e 2 e di smettere di attaccare i russi nel Donbass. L’Ucraina lo ignora e Francia e Germania restano in silenzio.
5) La Russia chiede che la NATO non si estenda ai suoi confini, e che non si unisca all’Ucraina o alla Georgia. L’Europa risponde che hanno tutto il diritto di fare quello che vogliono. Non rispondono alle garanzie legali che la Russia ha concordato con gli Stati Uniti all’inizio degli anni ’90.
6) Gli Stati Uniti, mentre inviano più di 300 tonnellate di armi lunghe in Ucraina e miliardi di dollari alle forze armate ucraine, minacciano costantemente la Russia di sanzioni.
7) Nel 2020 e nel 2021 è stata approvata all’ONU una risoluzione che condannava il nazismo, il neonazismo e il fascismo in tutte le sue forme. Gli Stati Uniti e l’Ucraina hanno votato contro. Quasi tutta l’Europa si è astenuta. Silenzio da parte dell’ONU.
Conclusioni: hanno chiuso tutte le opzioni diplomatiche alla Russia, ignorato tutte le sue richieste legali e dimenticato i civili di lingua russa del Donbass.Ora che Putin sta prendendo in mano la situazione con un fatto compiuto, sono scioccati.