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12 Aprile 2023 – Redazione

 

Un medico commediante e un ubriacone: così il religioso inglese Thomas Fuller presentava Paracelso in alcune note sulla sua vita scritte cent’anni dopo la sua morte. All’epoca lo scienziato svizzero era ancora una figura molto controversa. La sua messa in discussione del sistema medico tradizionale l’aveva trasformato nella bestia nera dei medici conservatori, per i quali i rimedi chimici e minerali che Paracelso promuoveva erano una truffa. Come scrisse un altro dei suoi avversari, il francese Guy Patin, «Paracelso era il più grande e pernicioso fanfarone, maestro nell’uccidere la gente con la chimica». I rinnovatori, invece, lo videro come un pioniere della medicina chimica che avrebbe poi trionfato nel XVIII secolo.

Theophrastus von Hohenheim nacque tra il 1493 e il 1494 a Einsiedeln, in Svizzera. Trascorse la maggior parte dell’infanzia con il padre, medico e professore di chimica nella scuola mineraria di Villach, nel Sud dell’Austria. Con lui apprese l’arte della medicina e la mineralogia. A soli 14 anni iniziò la vita da studente tipica della sua epoca, spostandosi da un’università all’altra alla ricerca dei professori migliori. Studiò a Basilea, Tubinga, Vienna, Wittenberg e Lipsia.

Tuttavia, è molto probabile che ben presto si sia sentito insoddisfatto dell’insegnamento scolastico impartito in quei centri, basato esclusivamente sui trattati di Aristotele, Galeno e Avicenna. Nel 1516 si laureò in medicina all’Università di Ferrara. Fu allora che assunse il soprannome di Paracelso (ossia superiore a Celso), forse per dichiarare che aveva ormai superato il medico romano Celso e, in generale, la medicina classica.

Dalla Tartaria alla Terrasanta

Negli anni seguenti Paracelso proseguì i suoi viaggi in terre sempre più lontane. Si dice che sia stato nelle Isole Britanniche, nei Paesi Bassi e persino in Russia – dove sarebbe stato catturato dai tartari –, in Egitto, Arabia, Terrasanta e a Costantinopoli. Rientrò in Germania nel momento in cui scoppiò la guerra dei contadini tedeschi (1524). Incarcerato per la sua complicità con i rivoltosi, evase dalla prigione e nel 1526 si stabilì a Strasburgo, dove iniziò a esercitare come medico chirurgo.

Nella città alsaziana Paracelso non tardò a farsi una reputazione e a diventare celebre come medico.Durante i suoi anni vagabondi aveva accumulato una grande esperienza medica, per esempio nella cura delle ferite da guerra durante il periodo trascorso come chirurgo dell’esercito di Venezia. Tuttavia, invece di trattare le ferite con impiastri di muschio o sterco secco – metodi abituali all’epoca –, Paracelso raccomandava di drenarle, estraendo il sangue o il pus, secondo il principio per cui bisognava lasciare agire la natura. Rifiutava anche il tradizionale ricorso a pillole, infusi, balsami o purganti, e al loro posto proponeva medicamenti basati su minerali dalle proprietà curative, come il mercurio, lo zolfo, il ferro, il solfato di rame.

Cure miracolose

La fama di Paracelso come medico si diffuse rapidamente nei territori di lingua tedesca. Un giorno ricevette un messaggio dal celebre stampatore Johannes Froben, che gli chiedeva di fargli visita urgentemente poiché soffriva di una grave infezione a una gamba, forse una cancrena, e secondo i medici l’unico rimedio era l’amputazione. Paracelso accettò di recarsi a Basilea e lì gli prescrisse i suoi medicamenti, evitando l’intervento chirurgico. Dopo pochi giorni, e con grande stupore dei medici, Froben si era rimesso del tutto e addirittura era stato in grado di partecipare alla fiera del libro di Francoforte. Il grande umanista Erasmo da Rotterdam, che era ospite a casa di Froben, il suo editore, scrisse una lettera a Paracelso lodando la sua impresa e approfittò per chiedergli consiglio su come alleviare i dolori di cui soffriva regolarmente.Paracelso gli diagnosticò una calcolosi, all’epoca conosciuta come il “male della pietra”, e gli raccomandò di seguire un trattamento specifico.

I successi di Paracelso spinsero il consiglio di Basilea a offrirgli un posto come medico municipale, carica alla quale era associata la docenza all’università. Nonostante la forte opposizione del collegio docenti e dei medici alla nomina, questa divenne effettiva all’inizio del 1527. A 34 anni, Paracelso aveva davanti a sé l’opportunità di raggiungere una posizione stabile e prestigiosa nella società svizzera, ma il suo carattere battagliero ebbe la meglio. Non appena prese possesso della carica annunciò in modo clamoroso la sua ribellione contro la tradizione medica imperante. Il 24 giugno, giorno di San Giovanni, bruciò il Canone della medicina di Avicenna davanti agli studenti e ai professori sulla porta dell’università. Lesse anche un manifesto nel quale condannava gli insegnamenti di Galeno e Ippocrate, e si offrì di insegnare la sua nuova medicina per due ore al giorno a tutti coloro che volessero assistere alle sue lezioni. Queste, inoltre, si sarebbero tenute in tedesco, non in latino, giacché «la verità si può apprendere solo in tedesco», diceva. Non sorprende, dunque, che molti paragonassero Paracelso a Lutero, il riformatore tedesco che, da professore all’Università di Wittemberg, si ribellò contro la dottrina tradizionale della Chiesa,bruciò le bolle papali di scomunica e rivendicò la predicazione in lingua tedesca.

I professori reagirono espellendo Paracelso dall’Università di Basilea. Poco dopo Froben morì all’improvviso in seguito a un ictus, e ciò rafforzò i sospetti sui suoi rimedi miracolosi. In città iniziarono a circolare violente critiche contro di lui, tra cui un sonetto in cui si denunciavano le fanfaronate di «Cacofrasto» e si consigliava di regalargli una corda perché s’impiccasse. La tensione culminò con un’accusa di oltraggio contro Paracelso, che per evitare il carcere dovette fuggire alla chetichella da Basilea durante la notte.

Medico e alchimista

Negli anni seguenti, Paracelso viaggiò di città in città esercitando come medico mentre scriveva la sue opere. Secondo un suo allievo, Valentinus, scrisse oltre 230 libri di filosofia, 40 di medicina, 12 di politica e 7 di matematica e astrologia, oltre a 66 di magia e di arti occulte. Il suo pensiero aveva molti punti in comune con l’alchimia, che tuttavia lui non praticò. Per esempio, nel Paragranum(1529-1530) stabiliva che le quattro colonne della sua nuova medicina erano la filosofia naturale, l’alchimia, l’astrologia e la virtù. Secondo lui, ogni corpo era composto da tre sostanze: zolfo, mercurio e sale. Per esempio, in un pezzo di legno che brucia, «la parte infiammabile è lo zolfo, il fumo è il mercurio e la cenere è il sale». Lo stesso si applicava al corpo umano, in cui le malattie sono causate da variazioni delle tre sostanze, e per questo motivo prescriveva medicine con componenti chimici. Il principio delle tre sostanze, affermava, «è molto importante, poiché riguarda la ricerca umana della salute, è la sua acqua della vita, la sua pietra filosofale, il suo arcano, il suo balsamo».

Paracelso morì nel 1541 a Salisburgo, a 48 anni, in circostanze misteriose.Si diffuse una storia secondo la quale, durante un banchetto, gli sgherri di alcuni medici rivali lo attaccarono a tradimento e lui cadde battendo la testa su una pietra, il che ne avrebbe causato la morte dopo qualche giorno. Tempo dopo, un esame del cranio mostrò la presenza di una frattura dell’osso temporale. L’ipotesi più probabile, tuttavia, è che sia morto in conseguenza di una qualche malattia, poiché pochi giorni prima della morte aveva lasciato i suoi pochi beni ai poveri della città. I suoi resti furono sepolti nel cimitero della chiesa di San Sebastiano a Salisburgo.

L’etica del medico

Da un punto di vista più intimo, Paracelso dava molta importanza, non meno di Ippocrate, all’integrità personale del medico, al suo agire secondo coscienza. Inoltre, vedeva nel celibato un mezzo che permetteva al medico di dedicarsi totalmente alla cura dei pazienti, anche in caso di malattie contagiose e quindi per lui pericolose. Pare, infatti, che egli fosse casto. Secondo Paracelso le malattie, come la salute, provenivano da Dio, dunque il medico non era altro che colui che faceva avvenire quella guarigione che altrimenti sarebbe venuta direttamente da Dio, se il paziente avesse avuto abbastanza fede.

La donna

Interessante è la dottrina, anch’essa originale, costruita da Paracelso intorno alla donna. Innanzitutto, egli riconosce che anche alcune figure femminili, nella sua vita, hanno contribuito a formare il suo sapere di medico. Distingue nettamente l’anatomia e lo spirito della donna rispetto a quelli dell’uomo. Per lui la donna è matrix (matrice), termine con cui non si intendono solo gli organi riproduttivi, ma la totalità di essa. Quello della donna è un piccolo mondo a parte in cui però è racchiuso il grande mistero della vita, che la mette a stretto contatto con il grande mondo della natura. Mentre secondo la tradizione, a partire da Ippocrate, la donna è solo il recipiente che raccoglie il seme, per Paracelso la capacità immaginativa della donna incinta è decisiva per la formazione spirituale del figlio. Si hanno sue descrizioni dell’anatomia femminile, anche se molto meno dettagliate rispetto a quelle di Vesalio, in quanto basate principalmente sull’osservazione esterna.

Quella di Paracelso è una medicina che pone al centro l’uomo vivo. Egli dava molta importanza a un’attenta osservazione del paziente ed era molto capace nell’immedesimarsi nei suoi disturbi. L’anatomia di Paracelso, infatti, non si basa sulla dissezione come quella di Vesalio, bensì sull’esteriorità, sulla capacità del medico di ricollegare i segni sul corpo all’agente interno causa della malattia. Si può dire dunque che pone le basi della semeiotica. Nei suoi scritti, nel descrivere le parti anatomiche, inserisce contemporaneamente le sue interpretazioni di esse, non distingue ciò che vede da ciò che pensa.

Per quanto riguarda la chirurgia, il fondamento è conservativo e non aggressivo: bisogna solo stimolare la natura ed essa provvederà da sé. Tuttavia, l’uso di anestesie molto blande faceva sì che egli non praticasse vivisezioni e che le sue operazioni fossero dolorose. Si dedicò particolarmente a studi sulla sifilide; secondo la sua teoria la malattia era generata da due fattori connessi: l’influsso astrale, di per sé innocuo, e l’atto impuro, che sorge dalla libido.

Leggere Paracelso presenta una serie di problematiche non facilmente risolvibili. «Egli era medico, astrologo, mago e alchimista e al contempo nemico della medicina, dell’astrologia, della magia e dell’alchimia tradizionali».Tutto ciò che scrisse è influenzato da queste discipline e nello stesso tempo è utilizzato polemicamente contro di esse. In Paracelso, la visione scientifica delle cose si mescola sempre con una più spiritualistica e astrologica. «Il profano che si avvicina a Paracelso non può che rimanere stordito dal miscuglio di scienza e superstizione, filosofia e banalità, genio e follia». Quando tratta di medicina, tratta anche di magia, di alchimia, di astrologia. «Non c’è medicina senza alchimia, non c’è medicina senza astrologia, non c’è medicina senza magia».

Egli afferma: «Sulla Terra c’è ogni tipo di medicina ma non coloro che sanno applicarla»[37]. Non a caso egli stesso, nel Paragranum, afferma che i quattro pilastri della medicina sono la filosofia, l’astronomia, l’alchimia e le virtù. Inoltre il suo Corpus scriptorum è davvero immenso, e pare che egli dettasse le sue pagine a scrittori occasionali. In particolare, la maggior parte delle opere fu dettata al suo pupillo prediletto, Johannes Oporinus, il quale si occupò di pubblicarle dopo la morte dell’autore. Egli è stato definito il Lutero della medicina per il suo spirito di ribellione. In un periodo in cui uscire dai sentieri battuti, in qualsiasi campo, era un’eresia da condannare, Paracelso si gettò in una concezione del tutto autonoma della scienza medica e non esitò a scagliarsi contro le concezioni tradizionali ereditate dal passato e ancora fermamente condivise.

 

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11 Aprile 2023 – Redazione

 

QUANTE VOLTE CI SIAMO CHIESTI COME E QUANDO LA POLITICA SI SIA INTRODOTTA A GAMBA TESA NELLA COMUNICAZIONE DELLA RAI ( ALLA QUALE PAGHIAMO UN COSPICUO CANONE ANNUALE)  IMPEDENDO LA DIVULGAZIONE DELLA VERITÀ NELLA SUA INTEGRITÀ E INTEREZZA, O, IN ESTREMA RATIO, OMETTENDONE IL SUO RACCONTO. NON È SEMPRE STATO COSÌ. TUTTO COMINCIÒ NEL 1975, ANCHE SE LE APPARENTI INTENZIONI DI ALLORA, NON SEMBRAVANO ESSERE QUELLE CHE POI SI SONO RIVELATE! E IN QUESTI TRE ANNI DI PDICOPANDEMICO DELIRIO, IL GIORNALISMO ISTITUZIONALE HA SAPUTO DARE IL PEGGIO DI SE’ SENZA RISERVE!

BUONA LETTURA

Marzia MC Chiocchi

 

 

Spartizione di incarichi e di posizioni di potere sulla base dell’appartenenza politica e a prescindere da requisiti di professionalità e di merito. È un’attività generalmente attribuita ai partiti politici e riguarda soprattutto il mondo dell’informazione. L’espressione, tipica di un fenomeno conosciuto anche in altri Paesi, nasce o almeno si diffonde, in Italia, dopo la riforma del sistema radiotelevisivo pubblico del 1975. Con quel provvedimento si voleva salvaguardare l’autonomia del servizio pubblico radiotelevisivo dal Governo, ponendo la RAI sotto il diretto controllo del Parlamento. Nelle migliori intenzioni del legislatore, le reti e testate radio-televisive avrebbero potuto confrontarsi tra di loro in un regime di libera concorrenza. Si registrò invece il massiccio intervento dei partiti che si esercitò in un vero e proprio potere di nomina dei direttori e dei responsabili delle reti e testate radio-televisive, nonché in una attività di spartizione determinata dal peso di ciascuna forza politica. In quel periodo era notorio che il TgUno fosse di appartenenza democristiana, il TgDue di appartenenza socialista e il TgTre di appartenenza del Partito comunista italiano. La stessa regola valeva anche per le testate radiofoniche: il GrUno al PSI, il GrDue alla DC e il GrTre di area laica e socialdemocratica.

Nella sua peggiore manifestazione la legge si configurò anche come pratica di assunzioni, nomine e promozioni fatte in base all’appartenenza politica dei beneficiati piuttosto che sulla loro professionalità. Pur essendo riferita prioritariamente alla Rai, la regola non risparmiò molti altri settori dell’editoria e del giornalismo in Italia. Ciò rese senz’altro più difficile l’esercizio della professione giornalistica secondo le regole della deontologia professionale, limitò l’autonomia delle singole testate, assoggettò la libertà personale di chi occupava indebitamente un posto di potere alle pressioni di questo o di quel partito, di questo o di quell’uomo politico.
L’espressione è stata parzialmente accantonata nei primi anni Novanta, soprattutto dopo la crisi dei partiti politici seguita all’inchiesta su Tangentopoli. In quel periodo il consiglio di amministrazione della Rai venne ridotto a soli cinque membri nominati dai presidenti di Camera e Senato; vennero unificate le tre testate radiofoniche; si cominciò a parlare di par condicio, cioè di pari dignità di accesso di tutte le forze politiche al mezzo radio-televisivo; cominciò a farsi strada con forza il problema dell’antitrust, cioè delle restrizioni alla concentrazione di testate giornalistiche nelle mani di un solo editore; si accentuò il dibattito sul conflitto di interessi, in seguito all’impegno politico dell’imprenditore Silvio Berlusconi, proprietario di tre televisioni nazionali. Si sentì parlare in quel periodo di ‘delottizzazione’, cioè di progressivo abbandono delle pratiche lottizzatorie.

Oggi si ritiene che la lottizzazione non venga più esercitata con la sistematicità di un tempo. ( A PAROLE SCRIVIAMO NOI ). Nelle nomine e nelle promozioni si tiene tuttavia ancora conto di una certa appartenenza ‘d’area’ che garantisca in qualche modo la maggioranza di Governo e la sua opposizione.
L’affermarsi delle scuole di giornalismo e le assunzioni di giornalisti per concorso possono contribuire ad affrancare dalla lottizzazione l’accesso alla professione dei giovani giornalisti? Mah!!!

Fonte:

Come citare questa voce
Preziosi Antonio , Lottizzazione, in Franco LEVER – Pier Cesare RIVOLTELLA – Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (10/04/2023).
Il testo è disponibile secondo la licenza CC-BY-NC-SA
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10 Aprile 2023 – Redazione

 

Il lunedì dopo la Pasqua, chiamato Pasquetta o Lunedì dell’Angelo, è considerato un giorno di festa e rappresenta un momento importante dal punto di vista religioso. Notoriamente in Italia si è soliti festeggiare in compagnia degli amici, con gite fuori porta, passeggiate in mezzo alla natura e non solo. Ma perché si chiama così e qual è l’origine di questa festa? Scopriamolo assieme in questo articolo!

L’origine del nome e della festa 

La domenica di Pasqua è il giorno in cui si celebra la resurrezione del Signore e rappresenta una delle feste più importanti per i cristiani. Il giorno seguente, il lunedì di Pasquetta o il Lunedì dell’Angelo, è dedicato all’episodio che ci viene raccontato nel Vangelo, secondo cui le donne si recano al sepolcro di Gesù dopo la sua morte. Una volta giunte sul posto, non trovano il corpo del Signore ma un Angelo che le aspetta. In questo momento le donne ricevono la grande notizia con le parole dell’Angelo:

“Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l’ho detto.”

Un messaggio semplice e importante che racchiude in sé la notizia più bella, Gesù è risorto. Un giorno così gioioso non poteva che essere ricordato e celebrato nella religione cristiana ed è per questo che uno dei nomi di questa giornata è proprio Lunedì dell’Angelo, in onore dell’incontro tra le donne e l’Angelo.

Ma questo non è l’unico nome, a volte si sente parlare anche di Lunedì di Pasqua. La ragione è molto semplice. Questa espressione nasce dal fatto che la festa di Pasqua dura otto giorni, l’Ottava di Pasqua. Il lunedì è considerato dunque un proseguo della Pasqua e un suo prolungamento, ecco perché viene chiamato anche Lunedì di Pasqua.

E il termine Pasquetta?

Si tratta di una tradizione popolare. Questo termine infatti è una rivisitazione del nome Pasqua, un vezzeggiativo che indica questo giorno come una piccola Pasqua. Un giorno di gioia e di festa ma non importante come la domenica e per questo si discosta dal suo significato religioso. Oggi rappresenta un giorno ricreativo e festivonella tradizione civile, accompagnato da feste e scampagnate in compagnia degli amici.

Come si festeggia il Lunedì dell’Angelo

La Pasquetta non è una festa di precetto ma viene celebrata ogni anno in tanti modi diversi a seconda della regione. Nei comuni italiani possiamo assistere a cortei e celebrazioni religiose, come ad esempio l’incontro tra Gesù Risorto e Maria, un rituale che accompagna questa giornata nel comune di Mongiuffi Melia a Messina, dove la statua di Gesù Risorto parte dalla Chiesa di San Sebastiano mentre quella di Maria coperta da un velo nero parte dalla Chiesa di San Nicolò di Bari. Quando le due statue si incontrano al “Piano degli Angeli”, il velo nero della Madre Vergine viene sostituito con uno bianco e viene incoronata con i fiori colorati. L’incontro è accompagnato dal canto degli “angeli di Maria”, le voci dei bambini del paese tra i 5 e i 10 anni.

A Santa Venerina, in provincia di Catania, in occasione di questa giornata vengono aperte le tre cappelle in cui si svolgono le celebrazioni eucaristiche: Maria Santissima del Carmelo, Madonna delle Grazie e Santa Venera.

Anche all’estero si festeggia il Lunedì dell’Angelo. In Polonia ad esempio, la tradizione vuole che gli uomini inseguano le donne per fare scherzi d’acqua, mentre negli Stati Uniti si scatena la caccia alle uova nel giardino della Casa Bianca.

Tra tradizioni popolari e religiose, questa giornata ci consente di prolungare i festeggiamenti della Resurrezione di Gesù, con il cuore pieno di gioia per questo grande avvenimento.

 

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10 Aprile 2023 – Redazione

 

Ovidio Marras celebrato su Facebook. In questi giorni che si festeggia il suo 92° compleanno, hanno ripreso a circolare post che ricordano la storia di questo pastore più forte della speculazione edilizia.

Con una grande determinazione nel voler salvaguardare la sua terra. Ovidio Marras non si è fatto intimorire da chi voleva costruire sulla sua terra.

E LA BATTAGLIA L’HA VINTA LUI!

Bisogna tornare indietro sino agli anni Duemila per ricordare la storia. Ovidio, come ogni giorno, porta il suo gregge al pascolo a Capo Malfatano, costa sud-ovest della Sardegna. I terreni sono della famiglia Marras. A un certo punto il pastore si accorge che in quell’area c’è un giro di tecnici che va prendere le misure. Poco tempo dopo viene sistemata una recinzione. Marras sporge denuncia. È solo contro tutti. Nemmeno l’allora sindaco di Teulada, Comune in cui ricade Capo Malfatano, lo appoggia. C’è un business pronto. Una mega colata di cemento da 150mila metri cubi. Con albergo, ville e casette. La società che aveva presentato il progetto era la Sitas, Società iniziative agricole sarde. Un nome che evoca appartenenze isolane.

In realtà dietro c’erano solo l’imprenditoria nazionale, come le famiglie Benetton e Caltagirone e Marcegaglia.

Parte il primo ricorso al Tar. Ci sono voluti sedici anni perché la vicenda giudiziaria si concludesse in Cassazione con la vittoria di questo pastore che ha evitato il mostro edilizio in riva al mare, non distante nemmeno dalla spiaggia di Tuerredda, una delle perle della costa.

Il Resort di lusso doveva sorgere a pochi chilometri a ovest di Capo Spartivento, nel sud della Sardegna. Tre gradi di giudizio prima di arrivare alla Cassazione e vincere definitivamente, lasciando gli avvocati assunti dai vari colossi edilizi con un pugno di mosche in mano.

Come riportato dalla testata Solovela, soddisfatto dell’esito di una battaglia legale che non lasciava presagire nulla di buono, Marras ha dichiarato: “Volevano circondarmi di case, volevano intrappolarmi nel cemento, forse speravano che me ne andassi. Adesso però saranno costretti a buttar giù tutto. Non era accettabile che noi dovessimo andar via da qui, da casa nostra, per far posto ai ricchi. Questo posto è di tutti e io lo dovevo difendere.”

Non solo la spiaggia di Tuerredda è rimasta inviolata, ma anche quello che era stato costruito in precedenza e in prossimità della spiaggia, è stato abbattuto per diretta disposizione della Cassazione.

Ovidio Marras ha salvato Capo Malfatano con la sua determinazione, motivato dall’amore e dall’attaccamento alla sua terra di origine. Ci vorrebbero molti uomini come lui per fermare la costruzione indiscriminata di edifici e strutture in grado solo di alterare gli equilibri del paesaggio e degli ecosistemi naturali.

 

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09 Aprile 2023 – Redazione

La festività cristiana cambia ogni anno per seguire le fasi lunari in un intricato complesso di moti astronomici e convenzioni ecclesiastiche.

Domenica 9 aprile cade la Pasqua per l’anno 2023. La scelta della data della Pasqua è variabile di anno in anno in un modo apparentemente aleatorio. Eppure, le ragioni di questa variabilità sono da ricercare nel cielo. Era il 325 quando si tenne il Concilio di Nicea, nel quale tra le altre cose fu scelto il metodo con cui, da allora in avanti, sarebbe stata scelta la data della Pasqua cristiana. La regola è apparentemente semplice: la Pasqua si festeggia la prima domenica dopo la prima Luna piena di primavera, che nel 2023 cade non a caso il 6 aprile. La realtà, però, è che l’applicazione di questa regola è tutt’altro che semplice e prevede un grande numero di eccezioni e casi particolari.

Il Concilio di Nicea I

fu il primo concilio ecumenico cristiano che si tenne nella città di Nicea, in Bitinia, nella primavera del 325 d.C. Fu convocato e presieduto dall’imperatore Costantino e vi parteciparono centinaia di vescovi da tutto il mondo. Tra le varie decisioni prese in quell’occasione ci fu, appunto, quella sulla scelta della data della Pasqua cristiana.

Nei vangeli, l’ultima cena avviene il giorno prima dell’inizio della Pasqua ebraica, che si festeggia a partire dal quattordicesimo giorno di Nissàn, il settimo mese del calendario lunare ebraico, e per i sette giorni successivi. Come tutti i mesi del calendario lunare, Nissàn inizia con la Luna nuova, il momento opposto alla Luna piena in cui il Sole illumina la faccia nascosta della Luna. Dalla Luna nuova, la porzione della faccia rivolta verso la Terra illuminata dal Sole cresce (Luna crescente) fino a raggiungere la Luna piena 14 giorni dopo, per poi decrescere (Luna calante) fino a fine mese lunare in cui la Luna torna nuova.

La resurrezione di Cristo festeggiata dalla Pasqua cristiana sarebbe avvenuta tre giorni dopo la sua morte, pertanto 17 giorni dopo la luna nuova del mese di Nissàn. La resurrezione veniva festeggiata quindi tre giorni dopo la Pasqua ebraica, senza tenere conto di quale giorno della settimana fosse. Più avanti si decise invece di festeggiarla il giorno dopo lo shabbath, ossia la domenica.

Ma nell’Impero Romano si usava un calendario solare, quello giuliano, e ai romani non andava a genio che la data di una festività così importante fosse sottoposta alle autorità ebraiche. Fu così che al Concilio di Nicea si scelse un metodo per calcolare la data della Pasqua indipendentemente dal calendario ebraico. E pertanto fu stabilito, appunto, che la Pasqua cristiana sarebbe stata la prima domenica dopo il primo plenilunio di primavera.

Una scelta complessa

Si presentavano però alcuni problemi. A iniziare con il fatto che l’equinozio astronomico, il momento in cui ufficialmente inizia la primavera, è variabile. Dipende dall’istante in cui il Sole passa nel punto di intersezione tra l’equatore celeste (il prolungamento dell’equatore terrestre nel cielo) e l’eclittica (il piano su cui orbita la Terra, che è pertanto anche quello del cammino apparente del Sole nel cielo). Siccome i moti terrestri sono tutt’altro che regolari e l’anno non dura esattamente i convenzionali 365 giorni, questo momento può cadere tra il 19 e il 21 marzo, variando ogni anno. Del resto, gli anni bisestili furono introdotti proprio per sopperire alle differenze tra l’anno del calendario e il reale tempo di rivoluzione della Terra attorno al Sole, e furono questi a complicare ulteriormente la faccenda, aggiungendo un’ulteriore variabilità al momento dell’equinozio rispetto al calendario.

Il risultato è che per la scelta della data della Pasqua non si prende in considerazione il reale momento dell’equinozio, ma questo viene convenzionalmente posto al 21 marzo. Inoltre, non è il moto reale della Luna a interessare, ma si parla di “Luna del computo”, di nuovo un intricato insieme di convenzioni.

La Luna del computo

Nel computo, la Luna è nuova 30 ore dopo la congiunzione con il Sole. Tecnicamente la Luna diviene nuova quando è più vicina al Sole nel cielo. 30 ore è il tempo convenzionale affinché la Luna torni visibile a occhio nudo. La Luna piena del computo è 13 giorni dopo la Luna nuova del computo (sopperendo in qualche modo a quelle 30 ore, visto che la Luna piena reale è 14,7 giorni dopo la Luna nuova).

Se proprio il 21 marzo la Luna è piena, ed è sabato, allora la Pasqua sarà il giorno dopo 22 marzo (la Pasqua più “bassa” possibile). Se invece è domenica, il giorno di Pasqua sarà la domenica successiva, ossia il 28 marzo. Questo, probabilmente, fu scelto proprio per evitare di sovrapporre la Pasqua cristiana a quella ebraica (che invece inizia proprio con la Luna piena, quest’anno il 6 aprile). Se la Luna è piena il 20 marzo, allora la successiva sarà 29 giorni dopo, il 18 aprile, e se il 18 aprile è domenica allora la Pasqua sarà la più “alta” possibile, il 25 aprile. Queste date, il 22 marzo e il 25 aprile, sono pertanto i due casi estremi, e la Pasqua sarà sempre compresa tra di esse. Come quest’anno, in cui la Pasqua si festeggia domenica 9 aprile, la prima dopo la Luna piena del computo del 6 aprile, successiva all’equinozio di primavera convenzionale del 21 marzo.

 

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08 Aprile 2023 – Redazione

 

Tra pochi giorni si festeggia la Pasqua: uno dei simboli più riconosciuti di questa festività è il cosiddetto “Uovo di Pasqua”; in questo articolo cercheremo di ripercorrere la sua antica storia.

Le origini dell’uovo di cioccolato sono da ricondurre al re Sole, Luigi XIV. Fu lui che per primo, a inizio Settecento, fece realizzare un uovo di crema di cacao al suo chocolatier di corte. L’usanza di regalare le uova a Pasqua però è più antica e si perde nel lontano Medioevo. La scelta di regalare un proprio uovo non è casuale. Fin dall’antichità questo alimento ha ricoperto un valore simbolico enorme. In alcune culture Terra e Cielo, unendosi, formavano proprio un uovo, simbolo di vita. Per gli antichi Egizi l’uovo era invece l’origine di tutto e il fulcro dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco). Siccome in Primavera la natura risorge, i Persiani amavano poi regalarsi proprio delle uova, simbolo di nuova vita.

Il cristianesimo affianca queste tradizioni e le reinterpreta alla luce delle Nuove Scritture: l’uovo diventa così il simbolo che meglio coglie il significato del miracolo della Resurrezione di Cristo.

L’usanza di regalarsi uova si diffonde a partire dal Medioevo, in Germania. Qui tra la gente comune la consuetudine era distribuire uova bollite, avvolte in foglie e fiori in modo che si colorassero naturalmente. Tra i nobili e gli aristocratici invece si diffuse l’abitudine di fabbricarne alcune di argento, platino o oro, decorate.

Se oggi nell’uovo di Pasqua troviamo una sorpresa è meritò di Fabergé, il creatore delle uova Matrioska. Ma non tutti su questo, concordano. C’è chi ricorda come già nel Settecento dalle parti di Torino c’era infatti l’usanza di inserire un piccolo dono dentro le uova di cioccolato.

Secondo quest’altra interpretazione potrebbero essere stati quindi proprio i Piemontesi, maestri nell’arte del cioccolato, i primi a lanciare la moda delle uova pasquali con sorpresa.

In diverse tradizioni pasquali l’uovo continua a mantenere un ruolo durante tutto il periodo delle festività. Durante il periodo di Quaresima, in virtù del digiuno, le uova vengono spesso non consumate ed accumulate per il periodo successivo. Nella tradizione balcanica e greco ortodossa l’uovo, di gallina, cucinato sodo, da secoli viene colorato, tradizionalmente di rosso, simbolo della Passione, ma in seguito anche di diversi colori, in genere durante il giovedì santo, giorno dell’Ultima Cena, e consumato a Pasqua e nei giorni successivi. Il giorno di Pasqua, in molti riti, si compie la benedizione pubblica delle uova, simbolo di resurrezione e della ciclicità della vita, e la successiva distribuzione tra gli astanti.

Prima del consumo, in particolare nella tavolata di Pasqua, ognuno sceglie il proprio uovo e ingaggia una gara (τσούγκρισμα) con i commensali, scontrandone le estremità, fino ad eleggere l’uovo più resistente. Questo viene considerato di buon augurio. Le colorazioni vengono effettuate attualmente con coloranti alimentari tipici della pasticceria, ma in passato si utilizzavano prodotti vegetali, tra cui la buccia esterna delle cipolle di varietà rossa.

Successivamente, prevalentemente nel XX secolo ma con prototipi torinesi risalenti al Settecento[4], è invalsa la moda dell’uovo di cioccolata arricchito al suo interno da un piccolo dono. Se fino a qualche decennio fa la preparazione delle classiche uova di cioccolato era per lo più affidata a maestri artigiani, oggi l’uovo di Pasqua è un prodotto diffuso soprattutto in chiave commerciale. La preparazione delle uova di Pasqua delle più svariate dimensioni trova inizio anche più di un mese prima del giorno della Pasqua, come effettivamente accade anche per l’albero di Natale nel periodo natalizio. La produzione delle uova di cioccolato, in Italia, è affidato per la maggiore alle grandi ditte dolciarie. Attualmente, però, sembrano trovare ampi campi di diffusione le uova a tema, cioè uova di Pasqua incentrate su un cartone animato, un film o una squadra di calcio.

Ciò nulla toglie alle classiche uova di cioccolato preparate artigianalmente che sono tuttora molto diffuse in vari Paesi. In alcuni di essi, come la Francia, è tradizione istituire in aree verdi delle cacce pasquali al tesoro, in cui le uova, preparate artigianalmente e di dimensioni ridotte, vengono nascoste fra gli alberi e vengono poi ritrovate dai bambini. Tale tradizione sta oggi però affievolendosi per via della diffusione globale dell’uovo pasquale prodotto e distribuito commercialmente.

In molti altri paesi, infine, all’uovo di cioccolato viene ancora anteposto l’uovo di gallina solitamente cucinato sodo. Anche nei paesi di religione ortodossa, tuttavia, permane la tradizione delle uova di gallina, in risposta alla diffusione delle uova prodotte commercialmente, giudicate dagli ortodossi una strumentalizzazione consumistica della Pasqua. In Italia l’uovo sodo come simbolo pasquale è rimasto presente soprattutto accompagnato dalla tradizionale colomba pasquale o durante il pranzo. Anche in Arabia l’uovo di Pasqua rappresenta la resurrezione di Gesù.

Fonte: isinnova.it

La stravagante e bellissima storia delle uova Fabergé

Gioielli imperiali, tesoro mondiale, così è nato il mito di questi accessori incredibili.

A partire dal primo uovo gioiello per l’Imperatrice del 1885, in occasione della Pasqua di ogni anno fino al 1917 (a sola esclusione del 1904 e del 1905, anni della guerra tra Russia e Giappone), l’abile orafo realizzò cinquantasette uova di Pasqua in oro, gemme e metalli preziosi, sempre costruite secondo il meccanismo a scatola cinese, e dunque custodi di sorprese legate alla simbologia imperiale.

Questa tradizione continuò fino alla Rivoluzione d’Ottobre, quando le Uova di Fabergé avevano ormai conquistato popolarità in molte parti d’Europa. Un anno prima, nel 1916, Fabergé rese la sua gioielleria una società per azioni, ma con la vittoria dei bolscevichi essa venne nazionalizzata, e così il gioiellerie fu costretto a scappare prima in Germania e poi in Svizzera. Fabergé rimase profondamente colpito dalla rivoluzione russa, alla quale si oppose strenuamente, e morì pochi anni dopo, nel 1920.

La fama e la bellezza delle sue uova rimane però intatta negli anni: basti pensare che un piccolo ovetto Fabergé fu scelto dalla diva Liz Taylor come ciondolo prediletto per una sua collana, che oggi nelle migliori case d’aste ne vengano battuti rari esemplari a prezzi grandiosi, o che una delle creazioni dell’orafo dell’imperatore è stata protagonista del tredicesimo episodio della saga Agente 007,e del film campione d’incassi Ocean’s Twelve.

Fonte: Harper’s Bazaar

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07 Aprile 2023 – Redazione

 

Il testo è inserito nel libro di Vincenzo Varagona “I segreti del Moby Prince. A 30 anni dalla più grande tragedia” (gennaio 2021)

Due brevi premesse

1. I fatti di cui parleremo si riferiscono ad eventi tragici avvenuti prima dell’esecuzione di Ilaria e Miran: non necessariamente collegati strettamente ma perché avvenuti in un contesto che non doveva avere “elementi di disturbo”.

2. Ogni avvenimento ha un tempo dell’accadimen­to, un tempo del “prima”, un “tempo” del dopo. È necessario connettere questi tre tempi per capire, per raccontare una storia… perché se “E’ difficile sapere che cosa sia la verità è molto facile riconoscere la falsità”(A. Einstein): può aiutare (riconoscere le falsità) per arrivare alla verità.

Il contesto Somalo e il contesto italiano (da fine anni ’70/80) vanno ben tenuti presenti se si vogliono capire le ragioni dell’uccisione crudele di Ilaria e Miran e quelle successive alla loro morte che ne hanno occultato con ogni mezzo le responsabilità italiane e oltre (esecutori e mandanti).

In Italia: tangentopoli e crollo del sistema dei partiti, le stragi di mafia (Falcone e Borsellino 1992, 1993 bombe a Firenze e Roma Milano, 1994 fallito attentato di mafia allo stadio (Report della settimana scorsa svela le connessioni P2 Licio Gelli, mafie criminalità organizzata pezzi di politica per scopi nefasti).

In Somalia la caduta di Siad Barre e la guerra civile che si scatena.

In particolare ci interessano qui alcuni fatti tragici accaduti in Somalia e in Italia che collegano le vicende Somale alle vicende Italiane.

Si sa che la cooperazione italiana in Somalia nel decennio anni 80 ha speso migliaia di miliardi per opere di aiuto allo sviluppo come la stra­da Garoe Bosaso e i sei pescherecci oceanici della società Shifco.

26 settembre 1988 Mauro Rostagno, comunità Sa­man vicino a Trapani, viene assassinato da un com­mando mafioso. Anche di questo delitto non si co­nosce ancora tutta la verità anche se la sentenza del 2018 ha sancito che si è trattato di un delitto di mafia.

Si sa che Rostagno denunciava l’intreccio micidia­le tra mafia, massoneria deviata e politica corrotta, che era stato minacciato; che Tra­pani in quegli anni era punto nevralgico del traffico d’armi con la Somalia ai tempi della cooperazione con Siad Barre.

Che lì è presente Gladio, la struttura segreta dell’intelligence militare, il cui responsabile è il maresciallo Vincenzo Li Causi, del Sismi.

Si sa che spariscono subito una audiocassetta sulla quale avrebbe registrati i nomi di mafiosi e di massoni (fra cui Cardella), e una videocassetta dove avrebbe filmato l’atterraggio di aerei C130 con carichi… “segreti”.

9 luglio 1989 Monsignor Salvatore Colombo, vescovo di Mogadiscio, viene assassinato nella sua cattedrale.

Si sa del suo amore per la popolazione somala e del suo intenso impegno per la pacificazione del paese e per scongiurare la guerra civile.

Il 26 gennaio 1991 Siad Barre è cacciato dalla Somalia.

Si sa che da lì parte la guerra civile che ancora insanguina la Somalia.

10 aprile 1991 In Italia a Livorno è la sera della tragedia del Moby Prince: 140 morti un solo super­stite. Una tragedia ancora senza verità.

Si sa che al porto di Livorno è presente il pesche­reccio “21 Oktobar II”, la nave madre dei sei pesche­recci della Shifco donati dalla cooperazione italiana alla Somalia durante la sanguinaria dittatura di Siad Barre. Un “dono” che ha una storia piuttosto singolare ed allarmante che inizia nel 1979 ( si veda la nota alla fine del testo). Allora, solo “gli addetti ai lavori” co­noscono la 21 Oktobar II, la Shifco, la storia della cooperazione italo somala, della sua contiguità con traffici di armi e di rifiuti tossici.

Ma di certo Ilaria la conosce ancora prima di andare a Mogadiscio la prima volta a dicembre 1992. Nel 1990 la sinistra indipendente inizia la pubblicazione in Parlamento di dossier che svelano la “mala cooperazione” con i paesi in via di sviluppo: avranno come esito l’approvazione della legge istitutiva della commissione bilaterale d’inchiesta con i Paesi in Via di sviluppo (poco prima dello scioglimento delle camere febbraio 1994!). Uno di questi dossier, curato da Ettore Masina, è dedicato per intero alla Somalia (1991): Ilaria lo aveva tra la sua documentazione in ufficio a Saxa Rubra).

Si legge nella premessa:

“L’analisi degli interventi di Cooperazione Italiana in Somalia che viene sviluppata nei

capitoli 3,4, e 5 conduce ad alcuni drammatici “peccati capitali“.

… La Cooperazione ha subito pesantemente la logica di interessi particolari

espressi in Italia da aziende, lobby e gruppi di pressione, che niente avevano a che fare

con i bisogni reali della Somalia. Questa logica ha remunerato interessi illegittimi in

Somalia e in Italia, ha contribuito gravemente ad accentuare la corruzione ed il distacco

definitivo dell’Amministrazione Somala dai bisogni espressi dal paese.

I peccati capitali principali sono descritti e sono anche quelli di cui Ilaria si occuperà nelle sue sette missioni in Somalia (scoprendo la contiguità di questi “peccati” con traffici illeciti e criminali di armi e di rifiuti tossici, radioattivi anche). Si legge:

…la parte più cospicua è costituita dalla strada Garoe Bosaso (260 miliardi).

Questa strada attraversa per lo più le due regioni di Bari e Sanaag, abitata da 200.000-

300.000 persone sparse su una superficie di 20.000 km2, quasi interamente pastori

nomadi che vivono dell’economica del cammello. Sembra perfino comico chiedersi quale

beneficio possano trovare questi da quel magnifico nastro d’asfalto.

il porto di Bosaso, altro progetto concentrato e assolutamente sproporzionato rispetto ad ogni suo futuribile utilizzazione,

…. Progetto Pesca Oceanica (quello dei pescherecci della Shifco): costo totale di circa 100 miliardi.

Le inchieste della Magistratura, le commissioni d’inchiesta e governative che si sono occupate del caso Alpi hanno accumulato una enorme mole di documentazione che dimostra come la cooperazione fosse in realtà “a rovescio”: non partendo dai bisogni della popolazione, la più povera del pianeta colpita, da malattie carestie guerre. Come si può verificare da quanto dichiarato dalla dottoressa Gemma Gualdi che a Milano se ne occupò per prima su delega di Di Pietro.

“….il valore complessivo dell’affare relativo alla fornitura delle prime tre navi era approssimativamente di 30 miliardi mentre quello riferito alle seconde tre navi ammontava a circa 60 milioni di dollari Usa; in realtà il costo dei materiali e delle tecnologie utilizzate e concretamente fornite non superava .. un terzo della somma effettivamente erogata. Pertanto i due terzi del finanziamento sarebbero serviti per altre esigenze… (dall’audizione della dott.ssa Gemma Gualdi alla Commissione bicamerale d’inchiesta 1995, l’inchiesta era stata avviata all’inizio del 1994 e dopo la morte di Ilaria fu trasferita a Roma)

Queste dichiarazioni (ce ne sono anche altre) e il gioco di scatole cinesi attraverso il quale falliscono società (per approdare alla fine alla Shifco, se ne costituiscono di nuove con un mix tra società costruttrici italiane e di gestione somale o miste italiano/somale) ci fanno intuire che, probabilmente, si sta realizzando in quegli anni un riequilibrio di potere tra aree politiche riferite al PSI di Craxi (c’è una foto che immortala Bettino Craxi e Omar Mugne davanti alla 21 Oktober II) e a quelle riferite ad Andreotti oltre alla constatazione severa che anche a tale scopo viene utilizzata la cooperazione italiana (sono gli anni del FAI di Francesco Forte).

Va ricordato “en passant” che una settimana dopo l’esecuzione in Italia il 27 marzo Silvio Berlusconi vince le elezioni: è la fine della prima Repubblica.

….”Questa sorta di prassi a metà tra il politico e l’economico si basava sostanzialmente sull’invogliare gli imprenditori italiani a fornire delle opere e dei servizi nel Paese somalo… In realtà si trattava spesso di opere e servizi che non servivano assolutamente a nulla ma che comunque di fatto venivano finanziate dal ministero degli Affari esteri italiano… è emerso qualche elemento grave in merito al comportamento degli italiani: “…si mangiavano un 30-40 per cento rispetto al valore complessivo dell’affare”…(è sempre la dott.ssa Gemma Gualdi).

Come è noto l’ultima tappa di Ilaria prima di essere uccisa è stato il porto di Bosaso centro economico e finanziario di tutta la regione del nord est della Somalia che, negli ultimi mesi era stato oggetto di “pirateria” (una storia complessa!). Un peschereccio della Shifco, la Farah Omar proprio in quei giorni era sotto sequestro da parte di “pirati migiurtini”: di questo aveva parlato con il sultano di Bosaso; aveva chiesto di poter salire sulla nave forse vi riuscì incontrando anche il capo della Shifco.

C’è l’intervista al sultano di Bosaso (che ci è giunta molto mutilata!). Ma il sultano è stato audito in estremis dalla commissione d’inchiesta e ha fatto rivelazioni sui traffici di armi e rifiuti coinvolgendo la Shifco e raccontando che Ilaria arrivò da lui già molto informata e solo per avere “conferma” dei vari traffici.

Si sa che c’è una storia parallela, una trama che potrebbe incrociarsi con quel viaggio a Bosaso di Ilaria e Miran.

Si sa di un messaggio partito proprio il 14 marzo forse dal comando carabinieri SIOS di La Spezia diretto a un Maggiore in servizio a Balad (il SIOS è il servizio segreto della marina sciolto nel 1997): “Causa presenze anomale in zona Bos/Lasko (Bosaso Las Korey, nda) ordinasi Jupiter rientro immediato base I Mog”… “Ordinasi spostamento tattico Condor zona operativa Bravo possibile intervento”.

Tali presenze anomale a Bosaso potrebbero rife­rirsi a Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Jupiter potrebbe essere Giuseppe Cammisa, il braccio destro di Francesco Cardella, guru della comunità Saman (e amico di Craxi), morto il 7 ago­sto 2011 a Managua, dove si era rifugiato da diversi anni per sfuggire alla giustizia italiana.

Che stava accadendo in quella città il giorno dell’ar­rivo di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin? E chi è Condor?

Si sa d’altra parte che l’intelligence italiana ha mentito sostenendo di non avere nulla a che fare con la città di Bosaso.

Si sa che Cammisa era in quella zona, che l’a­ereo, partito da Gibuti il 16 marzo e che arriva a Bosaso (con a bordo il personale di Africa 70 e for­se anche Cammisa) è lo stesso che avrebbe dovuto riportare a Mogadiscio Ilaria e Miran.

Si sa che i due giornalisti “persero” quell’aereo perché qualcuno ha voluto che lo perdessero (è partito prima dell’orario).

Si sa infatti che in una nota di Alfredo Tedesco, agente del Sismi, del 21 marzo 1994 si legge che Ilaria Alpi era stata minacciata di morte a Bosaso nei giorni precedenti il suo assassinio;

Si sa che in una ufficiale lettera della Farnesina (22 marzo 1994) si legge che Ilaria è stata “trattenu­ta”a Bosaso, se pur per breve tempo, da esponenti di clan locali.

Dunque la sera della tragedia del Moby Prince la 21 Oktobar II stava nelle acque del porto di Livorno. Siamo nel 1991, tre anni prima dell’esecuzione di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin. Tangentopoli scoppierà un anno dopo, così come le stragi di mafia. E’ evidente che solo “gli addetti ai lavori” conoscono la 21 Oktobar II la Shifco, la storia della cooperazione italo somala, della sua contiguità con traffici di armi e di rifiuti tossici di cui abbiamo oggi ampia documentazione che riguarda anche l’insieme dei sei pescherecci donati dall’Italia alla Somalia sui quali Ilaria stava indagando. E dunque anche chi indaga sulla strage di 140 persone (bruciate vive) non se ne occupa, non dà rilievo alla presenza di questo peschereccio in porto: grave “omissione” per autorità istituzionali.

E’ solo dopo la duplice esecuzione di Mogadiscio che si potrà vedere come inquietante la presenza della 21 OktobarII (che risulta a Livorno fin dal 29 marzo 1991 con la presenza del suo capo Omar Mugne).

Ufficialmente la 21 October II si trova lì per riparazioni (dovrebbe quindi trovarsi a secco in officina) eppure – la notte della strage – chiede di essere rifornita di carburante e si mette in navigazione. Tornerà al porto di Livorno il giorno dopo. (C’è una testimonianza che certifica gli avvenuti spostamenti).

C’è anche un’altra particolarità: sembra che il capo della SHifco Omar Mugne (in realtà diventa Presidente della Shifco-Malit proprio qualche mese dopo la tragedia del Moby: 6 settembre) lasci Livorno per recarsi a Reggio Emilia qualche giorno prima della tragedia del Moby mentre il suo braccio destro F. Mancinelli rimane a Livorno. E’ il SISMI a segnalarlo: … “l’ambasciatore somalo Yussuf Ali Osman, l’addetto militare somalo Mohamed Hassan Hussein e tale Mugne Omar hanno soggiornato presso l’albergo Astoria, di Reggio Emilia, nei giorni 6 e 7 aprile, con partenza il giorno 8 aprile… Per il momento non si è avuta notizia dell’incontro dei somali con il Giovannini (un nome che si ritrova spesso per traffici ndr). Il sospetto è che Mugne, l’addetto militare e l’ex ambasciatore siano impegnati nell’organizzazione di un traffico d’armi…”

12 novembre 1993 (Ilaria ha lasciato la Soma­lia il 24 ottobre: è la sua sesta volta) a Balad viene ucciso in un agguato il maresciallo del SISMI Vin­cenzo Li Causi in circostanze misteriose.

Si sa che non c’è una sola versione dell’accaduto, che si parla di “fuoco amico” e che anche per lui non si farà autopsia ma che gli verrà assegnata la medaglia d’oro al valore.

Si sa che Li Causi (si conoscevano con Ilaria) doveva rientrare a Trapani un paio di giorni dopo per testimoniare al processo su Gladio, (la strut­tura “segreta” dell’intelligence militare di cui era responsabile)

1 ottobre 1993 Giancarlo Marocchino viene ar­restato da Unosom, la forza militare internaziona­le di pace, con l’accusa di traffico di armi e altre at­tività illecite e gravi; su intercessione italiana viene liberato, espulso dalla Somalia, portato in Italia e fatto rientrare a Mogadiscio a fine gennaio 1994.

Si sa che era anche accusato di complicità coi fatti del 2 luglio 1993 perché l’abitazione di Marocchino sarebbe stata utilizzata come base di tiro e punto di riarmo contro le forze italiane (nell’evento, noto come combattimento del check point pasta, vengo­no uccisi 3 soldati italiani e feriti 22; almeno 67 so­mali vengono uccisi, oltre 100 feriti). Il comando militare aveva sequestrato nel marzo precedente materiale bellico compresa una parte rilevante di miccia detonante proprio come quella delle tracce rinvenute sulla Moby Prince .

Si sa che la Procura della Repubblica di Roma, PM dott. Pietro Saviotti, fascicolo N. 15148/93 R apre un’indagine su Giancarlo Marocchino e sulle accuse nei suoi confronti.

Si sa anche (dallo stesso fascicolo) che il 22.12.1993, l’ambasciatore Mario Scialoia fa pressioni sul quar­tier generale di Unosom 2 perché Marocchino sia autorizzato a rientrare in Somalia;

Si sa che Scialoja comunica a Unosom l’avvenu­ta archiviazione da parte della Magistratura italia­na delle accuse a carico di Marocchino. Ma è falso perché

Si sa che il 18.1.1994 per UNOSOM il generale Howe firma la revoca del provvedimento di espul­sione mentre Marocchino è già a Nairobi. E rientre­rà a Mogadiscio a fine gennaio 1994.

Si sa che in realtà il PM farà richiesta di archi­viazione solo in data 14/4/1994 (subito dopo il du­plice omicidio di Mogadiscio) ed il GIP pronuncerà il relativo decreto addirittura il 17/7/95!)

L’11 marzo 1994 Ilaria, da poco rientrata dalla ex Yugoslavia dove ha lavorato con Miran Hrovatin, parte insieme a lui da Pisa per la Somalia.

Si sa che il 12 mattina (sabato) arrivano a Moga­discio. Domenica 13 sono a Merca e il 14 mattina a Johar per affiggere una targa in memoria di Cristina Luinetti uccisa il 9 dicembre 1993: si parla di “fuo­co amico”. Rientrano a Mogadisco prima degli altri perché partono subito, per Bosaso.

14 marzo 1994 sera Ilaria e Miran sono già a Bo­saso; vi restano anche il 15 fino al pomeriggio; in­tervisteranno il capitano del porto e il sultano di Bosaso Ali Mussa Bogor. Poi raggiungeranno Gar­do, a metà della famigerata strada Garoe Bosaso dove hanno programmato di rientrare per partire nella tarda mattinata del 16 marzo per Mogadiscio.

Si sa che Bosaso è un porto importante che negli ultimi mesi è stato oggetto di “pirateria”. Un peschereccio della Shifco, la Farah Omar, proprio in quei giorni è sotto sequestro da parte di “pira­ti migiurtini”: di questo Ilaria aveva parlato con il sultano di Bosaso; aveva chiesto di poter salire sul­la nave forse vi riuscì e forse incontrò anche il capo della Shifco Omar Mugne.

Anche nella morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin

Ritroviamo attivati tutti i meccanismi, operati con successo per il Moby Prince, quei meccanismi che non permettono di giungere alla verità che confermano quanto è avvenuto in questi anni dolenti: depistaggi occultamenti, carte false, testimoni e/o persone informate dei fatti che hanno mentito …: il tutto spesso confezionato direttamente e/o con la complicità di parti e strutture dello Stato.

“Menti raffinatissime” sono state e sono in azione fin dai primi giorni dopo l’uccisione premeditata: l’omissione di soccorso, la sparizione del certificato di morte, dei blok notes e di alcune cassette video, la non effettuazione dell’autopsia, la violazione dei sigilli dei bagagli, la costruzione “persistente” della tesi della casualità (tentativo di sequestro finito male, il proiettile vagante …)…….

Testimoni non ascoltati, fascicoli spariti, riscontro esterno dei corpi e le foto scattate sulla nave “Garibaldi” scomparsi, il body anatomy sketching report redatto dall’agenzia mortuaria USA Brown-Root di Huston scomparso, registri di bordo delle navi e degli elicotteri incompleti, informative delle diverse intelligence trasmesse e mai arrivate e/o occultate, contraffatte…….

Si sa che Hashi Omar Hassan è stato condannato in via definitiva a 26 anni di carcere per concorso in duplice omicidio nel 2002 ma che la sentenza di Perugia dove si svolge il nuovo processo (12 gennaio 2017) si conclude con due punti importanti: Hashi è innocente; è stato il classico capro espiatorio (come conclude anche la sentenza del processo di primo grado 1999) e dunque viene rimesso in libertà dopo 17 anni di carcere; il teste principale d’accusa Ahmed Alì Rage detto Jelle ha dichiarato il falso, “coinvolto in un’attività di depistaggio di ampia portata…” , non solo relativo a questa vicenda. Si sa per esempio che l’occultamento del certificato di morte di Ilaria può essere stato alla base di un’attività di depistaggio partita fin dai primi giorni e forse ancora in atto (come trapela nella stessa sentenza e nell’opposizione alla nuova richiesta di archiviazione presentata “come risposta” alla sentenza di Perugia).

il dottor Andrea Fanelli ha respinto la terza richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Roma. E’ importante che le organizzazioni dei giornalisti (Usigrai,Fnsi,Cnodg) siano state riconosciute come parte offesa e quindi che la loro opposizione all’archiviazione sia stata ammessa riconoscendo che “…Ilaria Alpi (giornalista della Rai) ha trovato la morte, unitamente al cineoperatore Miran Hrovatin, nell’esercizio e a causa della sua professione …” (come emerge dall’ordinanza del 4.10.2019).

Una storia dunque tragica che ancora non è finita. Il prossimo 20 marzo sarà il terzo senza Luciana e l’undicesimo anche senza Giorgio: la mamma e il papà di Ilaria Alpi assassinata 27 anni fa in una domenica di primavera a Mogadiscio insieme a Miran Hrovatin.

Il corso della giustizia è stato compromesso, gli assassini e chi li copre hanno potuto contare sul fatto che le tracce si possono dissolvere, che alcuni reperti sono scomparsi o non sono più utilizzabili, che molti testimoni sono morti in circostanze misteriose, che anche pezzi di Stato hanno lavorato all’accreditamento ufficiale di una falsa versione manipolando fatti reali.

Ilaria Alpi, nella sua indagine (si reca in Somalia sette volte in 15 mesi e, prima dell’ultima si reca nella ex Yugoslavia) si imbatte in una rete di traffici illegali internazionali di armi e di rifiuti tossici che interessano oltre alla Somalia altri paesi come la Slovenia e la Croazia (durante la guerra 1991/1995): la società Shifco è uno dei protagonisti come indicato da un’inchiesta dell’ONU e da una notevole mole di documenti dell’intelligence italiana e non solo.

Per quanto riguarda i rifiuti ci sono molti documenti che riferiscono di progetti dal titolo esplicito “Urano1 e Urano2” con le firme dei protagonisti Scaglione Garelli e Giancarlo Marocchino (come si sa chiacchierato imprenditore a Mogadiscio, il primo a recarsi sul luogo dell’agguato, o forse era già lì; e che continuerà e continua ad avere un ruolo chiave e ambiguo in tutte le vicende); progetti in cui è sempre coinvolta la società Shifco.

C’è uno scoop dell’Espresso il 2 giugno 2005 “Parla Francesco Fonti un pentito di ‘Ndrangheta: così lo Stato pagava la ‘ndrangheta per smaltire i rifiuti tossici”. In seguito importanti documenti vengono alla luce grazie alle commissioni antimafia ed ecomafie.

Anche per il Moby Prince, un innocente traghetto passeggeri la storia è piena di omissioni, bugie, depistaggi… vediamone alcuni:

L’Agip Abruzzo stava in una zona “divieto di ancoraggio” e proveniva da Genova e non dall’Egitto: perché si è mentito sulla posizione accertata solo dopo l’inchiesta della commissione?

Che cosa stava facendo là? Sembrerebbe che dovesse trasferire del carburante e in ogni caso bisognerebbe sapere con precisione di che tipo di carburante si trattava (inerte o infiammabile?)

Improvvisamente il Moby cambia rotta: Perché?

Non si è indagato sulle cause che sono probabilmente legate alla tragedia.

Ci può essere stato uno scoppio, un incendio e quali le cause? Non si è indagato e si sono lasciati disperdere i reperti che potevano dare certezze.

Il ritrovamento, ad esempio di tracce di esplosivo militare conosciuto e anche di miccia detonante che si ritroverà in molte altre stragi (si veda 1994 l’anno che cambiò l’Italia). Si vedano in particolare le parole del Procuratore capo di Firenze Pier Luigi Vigna che, in audizione della Commissione bicamerale n. 29 antimafia (presieduta da Tiziana Parenti 1995) ebbe a dichiarare che “…circa un anno prima della strage di Capaci (mi riferisco proprio ad aprile 1991) abbiamo avuto passaggi (si riferisce alla Toscana e a Livorno ndr) molto consistenti di esplosivi e congegni, per accensione di esplosivi, diretti a Catania“ (si riferisce a organizzazioni imperniate sui clan mafiosi dei catanesi).

Non è vero che tutti i 140 passeggeri del Moby sono morti nel giro di mezz’ora stante la violenza dell’incendio. Si può prefigurare un “mancato soccorso” (come è accaduto anche per Ilaria Alpi) se si tiene conto che la collisione con L’Agip Abruzzo è avvenuta alle 22,25 e che i primi soccorsi arrivano solo tra le 2 e le 5 del mattino dopo. Nelle conversazioni dall’Agip Abruzzo dicono di non sapere chi li ha investiti e richiamano i soccorsi sulla petroliera, esclusivamente.

Non c’era la nebbia e non si è trattato di un errore umano o di una distrazione del comandante del traghetto. C’è stato invece grande quantità di fumo sviluppatosi parecchio dopo la collisione e l’incendio che viene descritto come onde gigantesche che si alzano dal mare. La nebbia è spesso un classico che si ritrova, insieme alle nuvole, anche nel caso di Ilaria e Miran e la ricerca delle riprese del satellite USA di quel giorno.

Sul Moby c’è stata una coordinata organizzazione per mettere le persone in salvo: una parte dell’equipaggio (si legge nella relazione della commissione) è stato eroico nel tentativo di mettere in salvo i passeggeri in attesa dei soccorsi (non pervenuti. Ciò è provato dal fatto che una parte dei cadaveri indossava i giubbotti di salvataggio a conferma che forse fu un’esplosione sul traghetto prima della collisione a provocare il disastro. E, come per Ilaria, non si dispose autopsia per accertare la cause della morte di tutte le persone.

E infine Perché una imbarcazione della Shifco ricoverata in banchina per lunghi interventi di riparazione effettuerebbe un pieno di carburante? E dove farà carburante?

Quali sono le manovre portuali che deve eventualmente effettuare?

E perché non vi sono tracce registrate dei suoi movimenti? Eppure la nave non è piccola.

La notte del rogo del Moby Prince è ormai certo che, nel Porto di Livorno, è in corso una movimentazione di materiale bellico.

E’ quanto si legge anche nella relazione della commissione d’inchiesta (2017/2018). La vicinanza con la base USA Camp Darby in piena crisi del golfo potrebbe essere la ragione “della presenza di almeno 5 navi militarizzate USA quella sera …” E ce ne sarebbero almeno altre due: la 21 October II, e una nave “fantasma”, Teresa” (da messaggi intercettati e mai rintracciata; si è pure pensato che fosse “in codice” la 21 October! )

Dove venivano caricate queste armi, questo materiale bellico e di che tipo era?

Potrebbe esserne stata coinvolta la “21 Oktobar II”?

L’ultimo processo della sezione penale della Corte di Appello di Firenze si è chiuso a febbraio del 1998 senza dare risposte, forse senza cercarle con impegno. Alla fine del 2020 è stata respinta, per intervenuta prescrizione, l’istanza dei famigliari delle vittime per il riconoscimento delle responsabilità per il mancato soccorso (causa della morte di 140 persone) come sostenuto nella relazione finale della Commissione d’inchiesta che il Tribunale civile di Firenze ha considerato puramente un documento politico: fatto gravissimo trattandosi di una Commissione d’inchiesta Istituzionale (con i poteri e i limiti della magistratura). Dunque c’è ancora molto lavoro da fare.

Nota un breve riepilogo dell’ambiguo percorso che dalla Sec (la società italiana costruttrice dei pescherecci) porta alla Shifco.

Nel 1979 il ministero degli Esteri attiva il progetto Cooperazione con la Somalia (“Sviluppo Pesca Industriale”), sulla base della legge Ossola che prevede crediti di aiuto a tassi agevolati, e fa in modo che i primi 3 pecherecci destinati al governo somalo siano costruiti dalla Sec (due navi da pesca, più una nave frigorifero). Prima di Renzo Pozzo, presidente della Sec è stato il parlamentare del Psi Giovanni Pieraccini, già ministro della Marina mercantile (1973-74), ministro dei Lavori Pubblici e del Bilancio (1963-68).

Nel 1986, dopo che il “credito d’aiuto” è divenuto “dono”, il Fai rifinanzia il progetto, che prevede la riparazione delle navi (inutilizzate e quindi “arrugginite”), e la costruzione di ulteriori 3 navi (1986-87). Dunque, la Sec costruisce tutti e 6 i pescherecci, che divengono proprietà della Shifco. La gestione delle 6 navi viene affidata alla società Somitfish (Shifco + Cooperpesca dei fratelli Mancinelli), gestita dal noto Omar Mugne.

Nel 1985-86 la Cooperpesca ha comprato azioni della Shifco pagandole 350 mila dollari.

13 febbraio 1988. Renzo Pozzo (Sec) via fax suggerisce all’ing. Mugne di chiedere la restituzione delle azioni della Cooperpesca (azioni comprate in cambio di 350.000 dollari quando i tre pescherecci si trasformano in “dono” al governo somalo: l’Italia li “dona” alla Somalia, che a sua volta li “gira” in parte alla Cooperpesca di Mancinelli). Il suggerimento di Pozzo a Mugne è di dimostrare che la gestione della Somitfish è fallimentare, quindi di azzerare il valore delle azioni in modo da non restituire i 350.000 dollari; e di ridiventare, come Shifco, titolare dei pescherecci.

Aprile 1988. Pozzo acquista a zero lire (attraverso la consociata Joning Fishing) la quota azionaria del 35% della Somitfish per conto e interesse del governo somalo. La Somitfish viene messa in liquidazione, Mugne diventa responsabile del “Progetto pesca” e, su mandato dell’ente somalo corrispondente al Fai, ritira i

certificati azionari che Pozzo aveva acquistato a zero lire.

8 gennaio 1990. Viene costituita la Shifco Malit (Shifco-Mugne, e Paolo Malavasi, figlio di Ennio, della Giza).

Ottobre 1990. Il godimento delle navi passa dalla Shifco alla Shifco Malit. Dopo pochi mesi la Shifco Malit registra un deficit di circa 2 miliardi e il Malavasi vende le azioni alla Sec (quella di Pozzo) recuperando parte delle perdite.

12 giugno 1991. Mugne, per conto della Shifco Malit, conferisce alla Sec la gestione dei pescherecci, stabilendo un compenso del 5 per cento dei ricavi.

6 settembre 1991. Mugne diventa presidente della Shifco Malit.

28 febbraio 1993. Mugne e Pozzo stipulano insieme una revoca di mandato della gestione dei pescherecci alla Sec.

8 giugno 1993. Esce di scena la Sec, e la Shifco Malit viene messa in liquidazione; ritorna tutto alla Shifco di Mugne. Entra l’azienda di Panati nella gestione delle navi, anticipando i soldi necessari a ripianare le perdite della Shifco Malit, che la Sec però si è impegnata a restituire tramite Pozzo.

Il 30 giugno 1993 (dopo che la Sec è uscita di scena) Ali Mahdi, autoproclamatosi presidente della Somalia, richiede all’Italia, tramite l’ambasciata a Mogadiscio, il benestare per consegnare alla Sec la gestione “tecnica e amministrativa” della flotta di pesca oceanica e di trasporto frigorifero, proprietà dello Stato somalo; poi revoca il potere di gestione a Mugne.

Nell’agosto 1993, al comandante della nave da carico della Shifco perviene un fax dal comandante di Unosom 2 che dispone di bloccare lo sbarco in attesa che un funzionario controlli il carico, perché Unosom 2 si sarebbe sostituita allo Stato somalo nella gestione di tutti i beni, e quindi anche delle navi. In conseguenza di ciò si doveva stipulare un contratto Pia-Unosom In realtà, tutto rimane alla Shifco, anzi a Mugne , che se ne va da Mogadiscio portandosi via i pescherecci.

Fonte: Articolo 21.org (articolo di Mariangela Gritta Grainer)

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06 Aprile 2023 – Redazione

 

L’eugenetica è una disciplina che si pone come obiettivo il miglioramento della specie umana giovandosi delle leggi dell’ereditarietà genetica. Nell’immaginario collettivo viene associata alla Germania nazista, con gli esperimenti effettuati nei campi di concentramento, mentre, invece, si tratta di un fenomeno con radici precedenti e ben più profonde.

Il termine fu coniato nel 1883 da Francis Galton, cugino di Darwin e naturalista inglese, che si occupò della trasmissione di caratteri psichici e fisici ereditari, sostenendo che l’intelligenza fosse ereditaria. Le sue teorie erano influenzate dalla selezione naturale dimostrata da Darwin e da Thomas Robert Malthus. Quest’ultimo fu un economista e demografo inglese che sosteneva la necessità di controllare le nascite per mezzo della castità, per garantire alla popolazione un adeguato ammontare di risorse, che con un eccessivo aumento demografico sarebbero potute mancare. Nelle sue teorie fa anche riferimento all’esigenza di un salario minimo per nucleo familiare, raggiunto il quale si potesse avere figli e sosteneva che, al contrario, eventuali aiuti statali per i poveri fossero deleteri per la società, in quanto favorivano la procreazione di tali famiglie.

L’eugenetica si è successivamente trasformata, in diverse parti del mondo, in un favorire la riproduzione di soggetti socialmente desiderabili e di prevenire la nascita di quelli indesiderabili.

Ben prima degli esperimenti di Mengele nei campi nazisti della Seconda Guerra Mondiale, negli Stati Uniti furono condotte delle campagne di sterilizzazione con relative leggi. La prima risale al 1907 in Indiana e poi adottata da altri 29 stati, in alcuni dei quali è rimasta in vigore fino al 1979. Si stima che in questo periodo circa 60000 americani siano stati sterilizzati senza il loro consenso. I destinatari di queste sterilizzazioni erano soprattutto ospiti di manicomi, seguiti da albini, alcolizzati, talassemici, epilettici e immigrati. Divenne famoso il caso di Carrie Buck, internata a 17 anni in un manicomio con l’accusa di debolezza mentale e promiscuità, incinta dopo uno stupro. La donna fece appello contro la sua sterilizzazione, ma la corte suprema si dichiarò favorevole, sostenendo la necessità di impedire a soggetti non sani di procreare. Questo rese le leggi a riguardo, costituzionali, e diede il via alle sterilizzazioni in diversi stati. Il sostegno all’eugenetica era pubblico e ad alti livelli, con finanziamenti, ad esempio, del Carnegie Institution for Science e della fondazione Rockfeller, il sostegno di alcuni presidenti degli Stati Uniti, tra cui Theodore Roosvelt, e l’introduzione di corsi sull’eugenetica in alcune prestigiose università.

Le teorie eugenetiche sulla cosiddetta razza ariana del regime nazista sembrano aver tratto ispirazione dal movimento statunitense, con successiva evoluzione e focalizzazione sull’epurazione, di quelle che venivano ritenute razze inferiori: gli ebrei, i rom, i disabili, gli omosessuali. In principio, però, il programma eugenetico Aktion T4 prevedeva l’eutanasia di persone affette da malattie genetiche inguaribili e handicap mentali, con indubbi punti in comune con il programma statunitense.

Inoltre, in altri paesi europei come la Svezia e la Danimarca sono state introdotte legislazioni simili, in vigore dal 1929 al 1976.

Ancora oggi non conosciamo l’origine di diverse patologie, mentali e non, ma siamo consapevoli che anche i fattori ambientali, e non solo quelli genetici, siano coinvolti. Allo stesso modo, è stato dimostrato, studiando i gemelli omozigoti, che l’intelligenza è un carattere collegato sia a fattori ambientali che genetici. Tralasciando, quindi, l’ovvia condanna in termini etici, di libertà individuale e della crudeltà inflitta in queste pratiche, appare evidente l’insensatezza di queste campagne di sterilizzazione e applicazione dell’eugenetica.

Tuttavia, oggi possiamo considerare un approccio eugenetico, definito “legale”, le diagnosi in gravidanza di malattie genetiche, in cui sappiamo qual è la mutazione cromosomica responsabile, e la diagnosi genetica pre-impianto in cui si può scegliere l’embrione idoneo dopo la fecondazione in vitro. Questa procedura è suggerita in coppie ad alto rischio riproduttivo (in quanto portatori di malattie genetiche) per evitare l’aborto terapeutico successivamente.

I dati attuali rivelano che dall’introduzione della diagnosi pre-natale per la trisomia del cromosoma 21, che causa la sindrome di Down, si è osservata una riduzione del numero di individui affetti da questa patologia. La diagnosi è accompagnata generalmente da possibilità di sostegno psicologico per i genitori e di informazione sull’assistenza che si può ricevere se si porta a termine la gravidanza. Tuttavia, le statistiche attuali riportano che in caso di diagnosi di trisomia la percentuale di interruzioni di gravidanza è pari al 67% negli Stati Uniti, al 77% in Francia, al 90% nel Regno Unito e al 98% in Danimarca.

Nonostante le aberranti pratiche naziste e la pubblica condanna dei crimini contro l’umanità nel processo di Norimberga, le leggi di sterilizzazione forzata sono rimaste in vigore fino alla fine degli anni ‘70. Ciò è avvenuto sia negli Stati Uniti sia in Europa, in paesi che avevano firmato la convenzione dei diritti dell’uomo nel 1950. Questo sottolinea la necessità di avere una strettissima regolamentazione e definizione dei limiti dell’eugenetica, soprattutto in un’era in cui le informazioni genetiche e la possibilità di modificare il genoma umano stanno diventando sempre piu alla portata di tutti.

Fonte: Scientificast (Valeria Cagno)

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03 Aprile 2023 – Redazione

Uno dei Padri della Repubblica, Presidente ancora molto amato dagli italiani

PENSO SEMPRE A QUEST’UOMO CON LA U MAIUSCOLA, AL SUO GRANDE BAGAGLIO DI IDEALI, ALLA SUA DETERMINAZIONE, COMUNE SOLO AI “GIOVINOTTI”, COME LUI AMAVA DEFINIRE I COMBATTENTI PROTAGONISTI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, QUELLI CHE NON SI ERANO RISPARMIATI PER AFFERMARE LIBERTÀ E DEMOCRAZIA, VALORI CHE IL NOSTRO PAESE NON AVEVA CONOSCIUTO IN TANTI SECOLI DI STORIA.

IN UN PERIODO COSI DISGRAZIATO COME QUELLO CHE STIAMO VIVENDO, MI CAPITA SEMPRE PIÙ SPESSO DI RIPENSARE A QUEL LONTANO LUGLIODEL 1981, QUANDO, IN VISITA UFFICIALE A LIVORNO PER IL CENTENARIO DELL’ACCADEMIA NAVALE, PERTINI ONORO’ DELLA SUA PRESENZA ANCHE NOI, ALLIEVI DEL CONSERVATORIO MUSICALE PIETRO MASCAGNI. IO, APPENA QUINDICENNE, EBBI LA FORTUNA DI PORRE DUE DOMANDE AL PRESIDENTE, DI CUI RICORDO LA TENEREZZA CON CUI MI RISPOSE, NASCOSTA DIETRO DUE OCCHI VIVACI E ATTENTI DI CHI, RIMASTO GIOVANE NELLA MENTE E NELL’ANIMA, NON SENTIVA IL PESO DEGLI ANNI E DELLE LOTTE. UN INCONTRO UNICO, DAL SEGNO INDELEBILE, RIMASTO IMPRESSO IN ALCUNE PREZIOSE FOTOGRAFIE, CHE GUARDO SPESSO E CONSERVO CON AFFETTO E GRATITUDINE.

 

 

PER QUESTO, OGGI, HO PENSATO DI DEDICARE UN INSERTO DEL GIORNALE AD UN UOMO DI STATO CHE GIÀ NEL 1949 AVEVA BEN COMPRESO IN CHE CUL DE SAC L’ITALIA SI SAREBBE INSTRADATA, ENTRANDO A FAR PARTE DELLA NATO.

MARZIA MC CHIOCCHI

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Noi siamo contro il Patto Atlantico, prima di tutto perché questo Patto è uno strumento di guerra”. Sono parole di  Sandro Pertini, nel discorso al Senato del 7 marzo 1949 in cui votò contro l’adesione dell’Italia alla Nato. Da socialista spiegò che quel voto era in realtà ispirato anche ad un’altra ragione. “Questo Patto Atlantico in funzione antisovietica varrà a dividere maggiormente l’Europa, scaverà sempre più profondo il solco che già separa questo nostro tormentato continente“.

Pertini parlò della Nato come di una Santa Alleanza in funzione antisovietica, un’associazione di nazioni, quindi, che avrebbe portato in sé le premesse di una nuova guerra “…e non le premesse di una pace sicura e duratura“.

Noi siamo contro questo Patto Atlantico dato che esso è in funzione antisovietica. Perché non dimentichiamo, infatti, come invece dimenticano i vostri padroni di oltre Oceano, quello che l’UnioneSovietica ha fatto durante l’ultima guerra. Essa è la Nazione che ha pagato il più alto prezzo di sangue. Senza il suo sforzo eroico le Potenze occidentali non sarebbero riuscite da sole a liberare l’Europa dalla dittatura nazifascista”
Sandro Pertini

Quella seduta del marzo 1949, segnò di fatto la sudditanza dell’Italia alla Nato, non solo l’adesione dell’Italia alla Nato. Oggi per la Nato l’Italia è pizza, mandolino e armi. Oltre che la più bella tra le portaerei: stesa sul Mediterraneo e in alcune isole tra le più belle di Mare Nostrum, a guardia di un mondo in ebollizione.

Pertini ci aveva visto giusto. Quello che resta l’unico e inimitabile Presidente degli Italiani, seppe incidere e restare nella mente degli italiani con gesti inediti. Fin dalla sua elezione, in un caldissimo giorno di luglio: al Quirinale ci andò a piedi, cordiale e disponibile con tutti. Per tutti i suoi sette anni continuerà a ricordare la Resistenza, non come un disco rotto fermatosi allo stesso punto, ma come un continuo sprone: capire “come” e “per chi” nacque la Repubblica era a suo avviso fondamentale.

Fu un faro, resta un faro. Fosse qui, sarebbe ancora a predicare perchè l’Italia che auspicava ancora non c’è. Cosa avrebbe detto dei privilegi, di un portavoce che guadagna più di un premier, dei conti salatissimi del ristorante di chi oggi governa l’Italia, degli scandali che ancora ammorbano il nostro paese? Dei giovani che fuggono se hanno coraggio e cervello e di quelli che restano a dibattersi senza lavoro e senza certezze? Degli operai defraudati del lavoro? Possiamo solo immaginarlo.

 

Un piccolo prezioso libro uscito a 20 anni dallo scandalo di Mani Pulite ha ricordato i richiami alla moralità di quello che resta il presidente più amato nella stra degli italiani. Il libro dovrebbe essere letto soprattutto dai giovani, perché Sandro Pertini amava parlare a loro e da loro si attendeva una Nuova Italia.

E’ soprattutto ben congeniato:Pietro Perri lavora sulle lettere private e sui discorsi pubblici (alcuni passati alla storia per la loro fermezza) di Sandro Pertini ed ogni brano è subito contestualizzato ma continuamente intrecciato con l’oggi. L’autore sembra guidarci a dire “cosa” Pertini avrebbe detto dei nominati, di un Parlamento svuotato della sua sovranità, dei corrotti e degli affaristi.

Ne esce un testo fondamentale a capire l’origine di tutti i mali. Pertini già dieci anni prima di Mani Pulite parla della mani sporche. Ci sono tutti i mali di oggi, tutto ciò che non è stato fatto, i valori che si sono persi per strada, primo fra tutti l’onestà e la rettitudine, continuamente nel pensiero di Pertini non come predica, ma come esortazione.

Sandro Pertini le possedeva. L’amara constatazione è che siamo rimasti fermi di almeno 50 anni. Possiamo ripartire? Sì, ma non senza ideali. Sandro Pertini, grazie alla rilettura intelligente e all’ordinatissimo lavoro redazionale di Pietro Perri, ce li offre. E’ lì a ricordarci cosa possiamo essere, attraverso le struggenti lettere alla madre (che chiederà la Grazia mentre lui è in prigione e che lui rifiuterà) e attraverso le parole rivolte al cognato Umberto Voltolina.

Sandro Pertini da Savona, classe 1896, politico, giornalista, antifascista italiano, era così: tutto d’un pezzo. Destinato a diventare il Settimo (e in assoluto il più amato) Presidente della Repubblica dal 1978 al 1985, sale al Quirinale nell’anno in cui hanno da poco assassinato Aldo Moro. Il paese è sotto choc, e anche la sua elezione sembra un dei tanti rituali di una Repubblica a pezzi. Ma in realtà fin dai primi passi gli italiani capiranno di poter trovare in lui conforto. Un conforto che cerchiamo anche adesso, a 32 anni dalla sua morte, in pieno vuoto politico e istituzionale.

Grazie Presidente

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02 Aprile 2023 – Redazione

Lo sciroppo d’agave è un dolcificante naturale a basso indice glicemico, che si può utilizzare in sostituzione dello zucchero comune o del miele.

Vediamo insieme i valori nutrizionali, come usarlo in cucina, a cosa fa bene lo sciroppo d’agave e se lo sciroppo d’agave fa “male”.

Agave, cos’è

L’agave è una pianta originaria degli Stati Uniti meridionali e dell’America Latina, appartenente alla famiglia delle Agavaceae. Si tratta di una pianta perenne succulenta dalle foglie carnose, la cui linfa viene utilizzata per la produzione del comune dolcificante noto come sciroppo d’agave, mentre dalla sua fermentazione si ottiene la tequila.

Sciroppo d’agave, composizione

Lo sciroppo d’agave è ricco di glucidi, ovvero, di carboidrati complessi e zuccheri semplici. In particolare, lo sciroppo d’agave è composto da:

  • 23% di acqua;
  • 0,1 % di proteine;
  • 0,4 % di lipidi;
  • 76% di carboidrati;
  • 68% di zuccheri, di cui 12% di glucosio e 55% di fruttosio;
  • 0,2 % di fibre.

Inoltre, nello sciroppo di agave sono presenti anche piccole quantità di:

– Potassio

– Vitamina C

– Fosfati

– Antiossidanti

Sciroppo d’agave: valori nutrizionali e calorie

100 g di sciroppo di agave apportano:

  • 310 kcal;
  • Proteine 0,1 g;
  • Grassi 0,4 g;
  • Carboidrati 76 g;
  • Zuccheri 68 g;
  • Fibre 0,2 g.

Sciroppo d’agave e d’acero, differenze

Lo sciroppo d’acero deriva dalla linfa della pianta di acero, appartenente alla famiglia delle Sapindaceae. Come lo sciroppo d’agave, anche lo sciroppo di acero è un comune dolcificante e rappresenta il classico condimento per i pancakes. Vediamo insieme quali sono le principali differenze tra sciroppo d’agave e sciroppo d’acero:

  • Lo sciroppo d’acero è meno calorico, in particolare, per 100 g di sciroppo d’acero troviamo 260 kcal, rispetto alle 310 dello sciroppo di agave;
  • lo sciroppo d’acero è meno ricco di carboidrati, infatti, ne rappresentano il 67%, rispetto al 76% dello sciroppo d’agave;
  • lo sciroppo d’acero è composto dal 60% di zuccheri, rispetto al 68% dello sciroppo d’agave;
  • lo zucchero principale dello sciroppo d’aceroè il saccarosio e, a differenza dello sciroppo d’agave, apporta pochissimo fruttosio;
  • lo sciroppo d’agave ha un basso indice glicemico rispetto allo sciroppo d’acero.

Sciroppo d’Agave: quali benefici?

Lo sciroppo d’agave, per quanto di origine “naturale”, è un alimento ricco di zuccheri semplici, quindi, va consumato con molta moderazione. Per lo stesso motivo, sebbene presenti degli aspetti positivi, diventano irrilevanti rispetto alle quantità che se ne possono consumare.

Tra gli aspetti vantaggiosi dello sciroppo d’agave, troviamo:

  • Basso indice glicemico;
  • attività antiossidante;
  • presenza di micronutrienti, come vitamina C e folati;
  • presenta un elevato potere dolcificante, quindi, se ne possono utilizzare piccole quantità.

Sebbene lo sciroppo d’agave sia a ridotto indice glicemico, ricordiamo che è ricco di fruttosio e che un consumo eccessivo di fruttosio può sovraccaricare il fegato (l’unico organo in grado di metabolizzare questo zucchero), con conseguente aumento del rischio di:

  • Fegato grasso;
  • trigliceridi nel sangue;
  • diabete 2.

Come e dove si produce lo sciroppo d’agave

Lo sciroppo d’agave viene prodotto principalmente in Messico.

La pianta viene tagliata e pressata per l’estrazione della linfa, che viene poi sottoposta all’azione del calore e/o di enzimi e successivamente filtrata, ottenendo così lo sciroppo d’agave che troviamo in commercio.

 

Lo sciroppo d’agave in cucina

Lo sciroppo d’agave può essere utilizzato in cucina come un normale dolcificante, per dolcificare torte, creme e dolci in generale, oppure come condimento per crepes, pancakes, yogurt con cereali e waffle.

 

Ricette con lo sciroppo d’agave

Tra le principali ricette con sciroppo d’agave, troviamo sicuramente:

  • Pancakes;
  • waffle;
  • crepes

in cui lo sciroppo d’agave o d’acero viene utilizzato come condimento oppure all’interno dell’impasto. In questo caso, quindi, rappresenterà la principale fonte di zuccheri e si può sostituire alla classica marmellata o miele. Inoltre, si può utilizzare al posto del miele in piccole quantità, per dolcificare della ricotta da spalmare su del pane tostato. A chi non piace il sapore acidulo dello yogurt o del kefir, può utilizzare una piccola quantità di sciroppo d’agave per addolcirlo, insieme a della frutta fresca e del riso soffiato. Lo sciroppo d’agave si può utilizzare anche per dolcificare l’impasto di torte o biscotti.

Fonte: Gina Forrisi ( cure naturali.it)

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