“I Pacifisti. Avrei voluto che tutti coloro che ora si ergono a “paladini della Pace”, i nuovi pacifisti, fossero venuti con me nel Donbass in questi anni, a vedere cosa è successo in tutti questi 8 lunghi folli anni, le distruzioni, i cimiteri e le chiese scoperchiate, le fosse comuni, avrei mostrato loro i bambini trucidati nelle foto appese nel Museo degli Angeli in una piccola cittadina della repubblica di Donezk, avrei tradotto in simultanea i racconti della gente comune per strada, avrebbero visto le lacrime negli occhi dei vecchi che mai dimenticherò.
Avrebbero visto la forza e la dignità del popolo del Donbass, che nonostante la guerra che il governo filo-nazista ucraino (messo al potere dagli Stati Uniti d’America, appoggiati dall’UE) ha scatenato contro di loro SOLO per il fatto che era per l’amicizia con la Russia e voleva vivere secondo i suoi principi.
Avrebbero visto gli stenti della gente in condizioni di blocco economico, di tubature di gas, acqua saltate in aria a causa dei bombardamenti ucraini, le case mezze rotte con le finestre coperte di cellophan e i tetti sfondati. Tutti ora in Italia, sono diventati pacifisti, d’improvviso scoprono che la guerra è “male e distruzione”. Non solo il popolo, ma tutti i capi politici nostrani, i cantanti in prima fila contro la guerra. E non importa se non conoscono nulla di Russia, Ucraina, nemmeno sanno dove si trovi il Donbass.
Questi “pacifisti” in 8 anni non hanno MAI alzato un dito, MAI protestato nelle piazze italiane, sui social. SILENZIO assoluto, ovattati nel loro rammollito confort. Protetti dalla cappa di censura e dittatura ideologica dell’Ue.
L’Unione Europea traccia con metodi fascisti un solco sempre più profondo con la Russia. Superba, piena di sé, razzista nei confronti dei russi, malata di russofobia si è trasformata in un mostro. Per il suo degrado morale, l’Europa non è capace di capire la Russia. Facendo finta di condannare la guerra, è l’Europa che dichiara guerra alla Russia. Chiude completamente lo spazio aereo a tutti gli aerei russi, a ogni tipo di velivolo, charter, privato, che sia appartenente o registrato o sotto il controllo della Russia. Poi tutte le sanzioni nel campo finanziario per strangolarla. Quaranta associazioni europee di giornalisti premono per vietare il canale russo russa Today nell’Unione Europea per solidarietà con all’Ucraina.
La Ue è arrivata a VIETARE la libertà di parola ai russi. La voce dei giornalisti russi, viene bollata già a priori come “portatrice di disinformazione”. Basta ascoltare quanto dichiara un giornalista ex militare che sceglie le notizie da pubblicare per Rai 2, le notizie dalla Russia non le prende nemmeno in considerazione “perché sono tutte false.” Quindi ai canali russi va definitivamente chiusa la bocca.
In Italia a Milano il sindaco caccia il Maestro russo perché si è rifiutato di fare una dichiarazione pubblica di condanna di Putin. Anche il pensiero la Ue dirige e punisce se non si conforma al Pensiero Unico. Come i fascisti.
La Russia va punita con metodi barbari, incivili e disumani. E dove eravate voi “pacifisti”, quando gli Stati Uniti hanno distrutto paesi interi, massacrato i legittimi capi di stato, ucciso milioni di persone e agli americani nemmeno una sanzione!
L’Unione Europea che insieme agli americani ha bombardato Belgrado, ha smembrato la Jugoslavia, chi le ha dato questo diritto? L’Italia in primo luogo, nessuna “mea culpa” e nemmeno una sanzione. Dove eravate??
Adesso tutti contro la Russia. Almeno tacete e occupate il tempo a studiare prima di aprire bocca. Chiedetevi perché in questo nuovo mondo, disegnato e occupato dalle Forze del Male, vi abbiano formattato il cervello a tal punto da non riconoscere dove sta la Verità, il Bene.”
_________________________ Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia MC Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]
L’Italia ha già aperto le porte a chi sta scappando dalla guerra, ma è evidente che, per fornire l’ accoglienza ai profughi ucraini, occorra un piano nazionale con un coordinamento in grado di fornire soluzioni rapide. Per questo motivo, il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, ha proposto di utilizzare i beni (case, palazzine e altri stabili) confiscati alla criminalità organizzata e alla mafia. Cosi l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità, ha avviato il censimento dei beni confiscati in gestione, che possono essere destinati in tempi brevi, anche in via temporanea, per accogliere gli ucraini”.
“Con la collaborazione delle prefetture – aggiunge – l’Agenzia diretta dal prefetto Corda individuerà inoltre gli immobili trasferiti ai Comuni ma non ancora utilizzati, idonei per essere impiegati nell’ambito della rete di protezione e tutela per fronteggiare l’emergenza umanitaria”.
Tutto questo deve far riflettere su una questione tutta italiana. Perché il ministro Lamorgese, grande genio dei movimenti ondulatori, non ha pensato di predisporre l’utilizzo di questi beni, anche per le numerose famiglie italiane in difficolta’, per colpa della crisi che sta attanagliando il nostro Paese?
La Gran Bretagna ha respinto circa 300 cittadini ucraini che cercavano di raggiungere il Paese dal porto francese di Calais. Lo riferisce la BBC. Sono 589 i profughi arrivati dall’inizio della guerra a Calais, secondo quanto riferito dalle autorità prefettizie locali: di questi, 286 sono stati respinti dalla Gran Bretagna.
Alcuni cittadini ucraini a Calais hanno raccontato alla BBC di aspettare da una settimana l’ottenimento di un visto secondo lo schema di ricongiungimento familiare previsto dalla Gran Bretagna. Sono 17.700 gli ucraini che hanno fatto richiesta di visto a Londra ma sono solo 300 quelli che finora lo hanno ottenuto. Ieri il premier britannico Boris Johnson ha affermato che la Gran Bretagna è «un Paese molto generoso» ma che vuole mantenere il controllo sugli arrivi.
Nei confronti dei profughi ucraini, la linea del governo di Boris Johnson sinora è stata più restrittiva di molti altri Paesi europei, Italia inclusa, che ha accolto o accettato l’arrivo di quasi 12mila rifugiati. Questo perché Londra per ora ha permesso l’arrivo di profughi solo se parenti di cittadini ucraini già regolarmente residenti Oltremanica e non persone in fuga senza un legame con qualcuno che vive nel Regno Unito.
Boris Johnson ha sottolineato che, in ogni caso, per i profighi non ci sarà un liberi tutti, e che “ci saranno controlli e una selezione”.
Il partito conservatore è spaccato. Tra quelli, come Sir Edward Leigh, che sostengono come “la mia circoscrizione elettorale abbia già dato per quanto riguarda l’immigrazione dei Paesi dell’Est e bisogna stare attenti alla coesione sociale”, alla deputata tory Caroline Nokes che invece chiede di attivare subito, e senza filtri, trasporti “Ukrainetransport”, ispirati a quelli che salvarono migliaia di bambini ebrei che, sui treni “Kindertransport”, riuscirono a fuggire in Regno Unito dalla Germania di Hiter.
Donne e bambini che si ricongiungono ai loro familiari che lavorano in Italia. Chi è in fuga dalla guerra sarà ospitato nei Centri di accoglienza straordinaria.
Ci sono gli ucraini – soprattutto donne e bambini – che si ricongiungono ai loro familiari che lavorano in Italia e poi ci sono altri, in fuga dalla guerra, che dovranno essere ospitati nei Centri di accoglienza straordinaria (i Cas, che attualmente ospitano circa 5mila persone complessivamente) che saranno attivati dalle prefetture e nel Sistema di accoglienza ed integrazione Sai gestito con i Comuni (26mila gli ospiti attuali).
Al momento il flusso è gestibile senza ricorso a soluzioni di emergenza, ma è destinato ad aumentare e quindi le prefetture stanno organizzando appositi piani per farvi fronte. Le modalità dell’accoglienza sono state definite dal decreto legge approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 25 febbraio e da una circolare del Viminale sottoscritta il 3 marzo.
In Friuli Venezia Giulia i profughi ucraini riceveranno 28 euro al giorno come i migranti della Rotta balcanica e come tutti i richiedenti asilo. Percepirannol’indennizzo sotto forma di “pocket money” a patto chefacciano richiesta di accoglienza agli enti locali preposti, che si sono attivati nelle ultime ore. È escluso, quindi, dalla contribuzione economica chi è arrivato in regione, trovando accoglienza da familiari e parenti.
I fondi
Il decreto stanzia 91,4 milioni di euro per il 2022 e 44,9 milioni l’anno per il 2023 e per il 2024 “per far fronte alle eccezionali esigenze di accoglienza dei cittadini ucraini”. Si calcola in circa 10mila euro all’anno il costo per ciascun ospite. I POSTI – La circolare indica che verranno attivati 5mila ulteriori posti nei Cas, con un costo dell’accoglienza stimato nell’ordine dei diecimila euro l’anno a persona e 3mila nel Sai. E’ stata estesa inoltre ai profughi ucraini la riserva di posti (complessivamente 5.000) del Sai già prevista e finanziata per gli afghani evacuati la scorsa estate.
Donne e bambini
Il Viminale sottolinea che le soluzioni di accoglienza dovranno tenere conto della peculiarità delle persone in arrivo, prevalentemente donne e bambini.
La protezione temporanea
Il decreto stabilisce che gli ucraini potranno accedere alle strutture di accoglienza anche senza status di richiedente protezione internazionale o degli altri titoli previsti dalla normativa. La direttiva europea sulla Protezione temporanea in discussione oggi a Bruxelles garantirebbe agli ucraini in fuga di soggiornare nell’Ue per un periodo di un anno rinnovabile senza attivare le procedure di asilo, Intanto le migliaia di persone già arrivate in Italia sono potute entrare senza visto. Possono soggiornare liberamente per 90 giorni, passati i quali, senza la direttiva europea, per restare dovrebbero presentare richiesta di permesso di soggiorno o di protezione.
Cas e Sai
Nelle strutture d’accoglienza – i Cas in genere sono gestiti da cooperative che vincono un bando di affidamento – gli ospiti hanno vitto e alloggio, pocket money (nella misura di 2,5 euro al giorno), ricarica telefonica, servizio di assistenza linguistica e culturale, sostegno socio psicologico, assistenza sanitaria, da effettuare presso i presidi sanitari territoriali o medici di base, orientamento al territorio, percorsi formativi per l’apprendimento della lingua italiana.
L’Europa ha deciso di armare la resistenza ucraina di fronte all’invasione russa. Ma il viedirettore de La Verità sottolinea le sue perplessità su una strategia che non porterà a nulla di positivo per l’Europa e, in particolare, per l’Italia.
Siamo favorevoli a che gli ucraini possano stare in pace e stare tranquilli – ha detto Borgonovo in collegamento con L’Aria che tira – ma quelli a cui stiamo dando le armi sono gli stessi che hanno compiuto il massacro di Odessa nel 2014. Ci sono quelli che andavano nelle regioni del Donbass e non è che ci andavano tanto per il sottile. L’Unione europea ha fatto finta di niente per 8 anni, dagli accordi di Minsk in avanti Se noi all’improvviso cambiamo atteggiamento perché abbiamo deciso che dobbiamo andare alla guerra totale poi dobbiamo essere consapevoli che ci saranno conseguenze. La guerra non finirà domani e la popolazione continuerà a essere a rischio. E saremo a rischio anche noi perché l’escalation potrebbe essere pesantissima. E poi lo scopo qual è? Deporre Putin e sostituirlo con un fantoccio tipo Eltsin? O addirittura con uno peggiore?”
“Ci dimentichiamo che sono stati 20 miliardi all’Ucraina anche per finanziare le armi e i sommovimenti interni. Quando si destabilizzano i Paesi per fare gli interessi della Nato questo va bene. L’Europa non ha fatto assolutamente niente”.
Il green pass rientra nella categoria dei certificati amministrativi e dunque è autocertificabile. Ne parliamo con l’Avvocato Angelo Di Lorenzo, presidente dell’ALI (Associazione Avvocati Liberi)
Il Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa (D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000) stabilisce che tutti i cittadini che entrano in contatto con le pubbliche amministrazioni e con gli esercenti di pubblici servizi (poste, banche, trasporti, etc.) possono sostituire i certificati amministrativi formali concernenti stati, qualità personali e fatti, con dichiarazioni sostitutive dei certificati medesimi, che hanno la stessa validità temporale dell’atto che vanno a sostituire.
Il certificato verde covid-19, ribattezzato dalla Legge 11/22 con il nome mediatico green-pass, rientra nella categoria dei certificati amministrativi di cui all’art. 1 lett. f) DPR 445/2000, definito come il documento rilasciato da una pubblica amministrazione avente funzione di ricognizione, riproduzione o partecipazione a terzi di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici o comunque accertati da soggetti titolari di funzioni pubbliche.
Il green pass è un certificato (digitale o cartaceo) rilasciato da una Pubblica Amministrazione per l’accertamento, attestazione e l’informazione a terzi dell’avvenuta vaccinazione da anti-SARS-CoV-2 o dell’avvenuta guarigione da COVID-19 o dell’effettuazione di test di screening con esito negativo al virus SARS-CoV-2 nelle 48 ore precedenti o, infine, dell’avvenuta guarigione dopo la somministrazione del vaccino, ma diciamolo subito che esso non è un certificato medico o sanitario, in quanto non rilasciato da medici o da sanitari i quali, invece, dopo aver formato il certificato medico vero e proprio (il referto di tampone negativo o di vaccinazione o di guarigione) trasmette i dati del referto alla pubblica amministrazione attraverso un’operazione materiale di inserimento nel sistema informatico “Tessera Sanitaria” che li raccoglie, li archivia e, sulla base della loro elaborazione, rilascia un certificato amministrativo (il green pass appunto).
L’art. 40 DPR 445/2000 stabilisce che le certificazioni amministrative “sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati. Nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi i certificati e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47″.
A questi due articoli corrispondono due tipologie di certificati sostitutivi, ossia:
– L’art. 46 D.P.R. 445/2000, rubricato “dichiarazione sostitutiva di certificazione” – anche detta autocertificazione – consente di autocertificare gli stati, le condizioni e le qualità tassativamente indicate nel lungo elenco della norma (es. nascita, residenza, iscrizioni ad albi, esistenza in vita, etc.).
L’art. 47 D.P.R. 445/2000, invece rubricato “dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà”, stabilisce che “fatte salve le eccezioni espressamentepreviste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà“, ossia mediante una dichiarazione sottoscritta dall’interessato e presentata personalmente insieme alla copia di un documento di identità, oppure trasmesse via fax, tramite un incaricato, oppure a mezzo posta.
Ed è esattamente questo lo strumento normativo da utilizzare per autocertificare il green pass, ossia lo stesso strumento utilizzato sino all’aprile 2021, quando la normativa pandemica pretendeva dal cittadino di autocertificare dei presupposti legali richiesti per “uscire di casa”, a condizione che non ci fosse una condizione di salute sospetta, quale una temperatura corporea superiore a 37.5°, presenza di sintomi, di quarantena, isolamento o contatti con positivi, anch’essi debitamente autocertificati.
Che l’autocertificazione sia utilizzabile per sostituire il certificato amministrativo green pass lo dimostra non solo l’esistenza della legge che lo ammette, ma anche l’intero plesso della normativa pandemica del governo Conte-bis (che la richiedeva con dpcm e decreti legge che pubblicavano fac-simile sui siti istituzionali di alcuni ministeri), salvo poi cadere nell’oblio con l’avvento del green pass utilizzato dal governo Draghi, senza però che fosse esclusa espressamente per legge – come prevede l’art. 47 comma 3 DPR 47/2000 – la possibilità di sostituzione del certificato amministrativo con l’autocertificazione.
Che l’autocertificazione sia utilizzabile per sostituire il certificato amministrativo green pass lo dimostra non solo l’esistenza della legge che lo ammette, ma anche l’intero plesso della normativa pandemica del governo Conte-bis (che la richiedeva con dpcm e decreti legge che pubblicavano fac-simile sui siti istituzionali di alcuni ministeri), salvo poi cadere nell’oblio con l’avvento del green pass utilizzato dal governo Draghi, senza però che fosse esclusa espressamente per legge – come prevede l’art. 47 comma 3 DPR 47/2000 – la possibilità di sostituzione del certificato amministrativo con l’autocertificazione.
Anzi, al contrario, l’attuale esecutivo – dopo un rapido passaggio nel d.p.c.m. “capienze” dell’ottobre 2021 ove affermava che “a legislazione vigente” il green pass non sarebbe autocertificabile -, con l’art. 6 decreto-legge n. 5 del 4.2.2022 si è prevista l’espressa possibilità di autocertificare la condizione di negatività degli studenti in regime di autosorveglianza, facendo un tampone antigenico in autosomministrazione (cioè “a casa”) e autocertificando l’esito, a dimostrazione che se l’autocertificazione viene utilizzata per la p.a. – nella specie la scuola – per l’esercizio del diritto, allo stesso modo deve essere utilizzato per esercitare ogni diritto subordinato all’accertamento tamponale (green pass base).
In conclusione, a legislazione vigente il certificato amministrativo green-pass, non essendo un certificato medico (non autocertificabile ai sensi dell’art. 49 DPR 445/2000) ed in assenza di espressi divieti normativi, può essere sostituito nei rapporti con la P.A. e con i gestori dei pubblici servizi attraverso la dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio di cui all’art. 47 DPR 445/2000.
Come si autocertifica il green pass, l’ALI ha predisposto un modello?
Si effettua con la dichiarazione di cui all’art. 47 DPR 445/2000 con cui si dichiara di non versare in condizioni di salute compromesse, di non avere 37,5°, di non essere in quarantena, di non avere avuto contatti diretti con positivi, di non avere sintomi che possano far sorgere il sospetto di un contagio ed, in ultimo, di essersi autosomministrato il test antigenico rapido nelle precedenti 48 ore con esito negativo.
L’autosomministrazione del test antigenico rapido può essere fatta in autonomia, purché nelle 48 ore precedenti e preferibilmente con strumenti validati in commercio, meglio se acquistati in farmacia conservando lo scontrino.
Tale autocertificazione potrà essere esibita al posto del green pass per accedere a tutte le attività per le quali è richiesto il green pass base, corredando l’autocertificazione con una copia del documento di identità.
Avvocati Liberi ha pubblicato sul proprio sito: ⤵️
un fac-simile di un’autocertificazione di cui all’art. 47 DPR 445/2000 facilmente scaricabile ed editabile al seguente link:
Vale anche per il super green pass?
Per il super green pass il discorso è differente.
Come detto, il presupposto di un legittimo utilizzo dell’autocertificazione è la dichiarazione di fatti veri.
Dunque non può autocertificarsi di non essere tenuto all’obbligo vaccinale se over 50, se sanitario, se insegnante o appartenente alle forze dell’ordine, come peraltro non corrisponderebbe al vero autocertificare di aver effettuato la vaccinazione o di essere guarito quando ciò non sia mai accaduto.
In sostanza non è possibile utilizzare l’autocertificazione per eludere l’obbligo vaccinale senza incorrere nelle sanzioni penali di cui all’art. 76 DPR 445/2000.
Al di fuori del falso, anche in questo caso, sarà possibile autocertificare il possesso del super green pass qualora il dichiarante ne sia effettivamente in possesso.
Potrebbe sembrare all’apparenza inutile autocertificare un certificato di cui si possiede l’originale, ma il risvolto invece è di enorme rilevanza perché dimostrerebbe ancora una volta l’inutilità di un lasciapassare amministrativo che in base alla legge può e deve essere sostituito ma che, invece, per abitudine culturale e psicologica di molti, sembra sia divenuto l’unica chiave per poter aprire le porte di una esistenza dignitosa.
L’autocertificazione del super green pass farebbe venir meno anche la forza cogente dello strumento, il quale è stato candidamente definito come il mezzo per indurre la cittadinanza a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, ma che perderebbe in un sol colpo la propria ragion d’essere qualora si ammetta, come è doveroso in base alla legge, la possibilità di sostituirlo con una propria dichiarazione solenne e formale.
Infine si rileva l’enorme utilità dell’autocertificazione nei casi in cui, per qualsiasi motivo, un soggetto abbia maturato il diritto al rilascio del super green pass ma questo, per ragioni non a lui imputabili e comunque riconducibili a lungaggini o disservizi della p.a., non venga immediatamente rilasciato dopo la guarigione, dopo la vaccinazione o dopo la presentazione di una esenzione (oggi anch’essa divenuta digitale in virtù del DPCM 4.2.2022).
C’è da dire che il soggetto vaccinato, guarito o esentato matura immediatamente il diritto ad esercitare le attività soggette al lasciapassare nell’esatto momento del verificarsi delle condizioni di fatto (vaccinazione; guarigione o esenzione), sicchè egli non può essere limitato nemmeno un minuto in più a causa di disservizi della p.a., di dinieghi, di abusi, di lungaggini, difficoltà tecniche o ritardi colpevoli degli operatori sanitari nel rilasciare i referti o caricare i dati nel sistema informatico, e proprio la frequenza di questa casistica può essere risolta con l’autocertificazione di avere (non il super green pass, ma di aver maturato) tutte le condizioni giuridiche per ottenere il rilascio del certificato rafforzato e, così, esercitare le attività cui si ha pienamente diritto.
Come si può reagire dinanzi a un rifiuto?
Davanti al rifiuto scattano diverse forme di protezione, posto che il pubblico dipendente o l’esercente di servizi pubblici è obbligato ad accettare la presentazione dell’autocertificazione, e non può rifiutarsi.
L’art. 43 DPR 445/200 prevede che le amministrazioni pubbliche e i gestori di pubblici servizi sono tenuti ad acquisire d’ufficio le informazioni oggetto delle dichiarazioni sostitutive di cui agli articoli 46 e 47 e ad accettare la dichiarazione sostitutiva prodotta dall’interessato, mentre l’art. 74 DPR 445/2000 qualifica il rifiuto del pubblico funzionario di ricevere l’autocertificazione come una violazione dei doveri d’ufficio.
Sempre l’art. 74 cit. prevede ulteriori ipotesi di violazioni dei doveri d’ufficio in caso di rifiuto dell’accettazione delle autocertificazioni di cui all’art. 46 e 47 (già di per sé punibile) ed, in particolare, la richiesta di esibizione del certificato amministrativo che si andrebbe a sostituire con l’autocertificazione (lett. a), dunque integrandosi una doppia violazione del pubblico dipendente o dell’esercente di pubblici servizi che, da una parte, non accetta l’autocertificazione e, dall’altra, chiede il certificato amministrativo che si doveva sostituire con l’autocertificazione non accettata.
C’è da dire che di questi tempi il diritto non viene “messo a terra” nella società civile, ove si registrano storture ed abusi di ogni tipo, ma ciò non significa che la violazione quotidiana dei diritti e della legge è superata per volontà di un impiegato dello stato, delle poste o della banca: anche questi soggetti devono rispettare la legge e debbono assumersi la responsabilità, civile-penale-disciplinare, per il loro operato. Quindi quando a un cittadino munito dei requisiti legali per esercitare un proprio diritto od un’attività qualsiasi verrà impedito di accedere nei luoghi di lavoro, di svago o privato dei servizi essenziali (posta, banca, tribunali, etc.), l’impiegato dovrà – se non vuole continuare a subire gli abusi – non solo segnalare all’organo disciplinare la violazione, ma potrà anche sporgere una denuncia-querela per la violenza privata, per l’abuso di ufficio e per l’interruzione del pubblico servizio nei confronti dell’avente diritto impedito e, inoltre, se il fatto sarà foriero di danni economici o preclusioni (si pensi all’appropriazione delle pensioni non corrisposte dalle Poste ad anziani, oppure alla scadenza del versamento di imposte o tasse con F23; oppure alle more per i ritardi di pagamenti; o alle decadenze da impugnazioni, da ricorsi o da notificazioni con il mezzo postale, etc) il singolo impiegato potrà essere convenuto in giudizio civile per il risarcimento del danno.
Avvocati Liberi, nella medesima sezione del sito ove è pubblicata il modello di autocertificazione, ha pubblicato anche dei fac-simile della segnalazione disciplinare ex art. 74 DPR 445/2000 nonché un fac-simile di denuncia-querela ex art. 610-323-340 c.p. oltre che una bozza di un atto di citazione dei dipendenti pubblici e gestori di servizi essenziali davanti al giudice di pace per il risarcimento del danno che il cittadino può introdurre da solo, senza l’assistenza di un avvocato e senza l’assunzione dei relativi costi (un po’ come è possibile fare per impugnare una multa).
Inoltre, per quanto riguarda ciò sta avvenendo negli uffici postali ed in alcune banche, Avvocati Liberi ha predisposto una diffida preventiva che ogni cittadino può inviare ai gestori di questi servizi essenziali, scaricandola liberamente al seguente link ⤵️
Ci sono rischi per chi autocertifica e, se sì, quali sono le conseguenze?
Si rischia quello che si rischiava prima: ossia la falsità in atti.
L’art. 76 DPR 445/2000 punisce chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso, tenendo presente che “le dichiarazioni sostitutive rese ai sensi degli articoli 46 e 47 sono considerate come fatte a pubblico ufficiale”.
La solennità dell’autocertificazione è sancita dalla necessità di inserire nell’autocertificazione la dichiarazione di essere consapevoli delle sanzioni di cui all’art. 76 DPR 445/2000 in caso di mendacio, perché il dichiarante non può e non deve dichiarare cose non vere.
Se il dichiarante utilizza l’autocertificazione in maniera impropria, inveritiera o strumentale sarà pertanto punito dall’art. 76 cit. con le pene degli articoli 482-483-493 del codice penale aumentate da un terzo alla metà.
Ciò posto, a meno che non siano falsamente compilate, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà escludono sempre i reati di falso perché questi richiedono il dolo e, dunque, la coscienza e volontà di dichiarare un fatto non vero.
Se si è convinti di essere negativi, di non avere sintomi, di non essere in quarantena o non aver avuto contatti diretti con contagiati e se si è fatto un test antigenico rapido come previsto dall’art. 9 comma 2 del D.L. 52, e lo si dichiara, un eventuale accertamento contrario dovrebbe dimostrare che il dichiarante sapeva di essere positivo (magari perché aveva fatto un test) o era in quarantena (esistendo un provvedimento regolarmente notificato) e nonostante ciò abbia dichiarato il contrario, ma fuori di questi casi, l’aspetto psicologico del dichiarante non potrà mai dirsi doloso, semmai erroneo, o viziato da un errore o ignoranza sul un fatto che esclude la colpevolezza del reato.
Il premier ha annunciato la fine dello stato d’emergenza al 31 marzo ma non la fine delle restrizioni, tra cui il green pass. Secondo lei è possibile? Se sì su quali basi giuridiche?
A mio parere non esiste alcuna base giuridica – semmai fosse esistita anche prima – per giustificare la proroga di misure restrittive delle libertà fondamentali, dell’uguaglianza e della dignità umana, a fortiori in assenza di una condizione straordinaria di necessità ed urgenza.
Nella quasi totalità della casistica giurisprudenziale dell’era pandemica, la magistratura ha giustificato le misure restrittive (lockdown; d.a.d.; coprifuoco; mascherine; zone colorate; green pass base o rafforzato; sospensione dal lavoro e dalla retribuzione; limiti alle cure sanitarie; limiti alla ricerca, alla cultura, alle manifestazioni, alla circolazione, al culto e cerimonie, all’iniziativa economica; allo sport, alla proprietà; obbligo vaccinale generalizzato, etc.) in quanto misure temporanee, proporzionate ed adeguate a contrastare l’emergenza sanitaria, terminata la quale dovrebbero immediatamente cessare anche le restrizioni e le misure assunte per farvi fronte.
Del resto tutti i provvedimenti normativi a base pandemica, ma proprio tutti, sono stati emessi in conseguenza “della dichiarazione dello stato di emergenza” con il dichiarato intento di “contenere la diffusione del virus”, tanto che tali presupposti e finalità ne hanno costituito la ratio giustificatrice oltre che soglia di ammissibilità, sicchè sarebbe giuridicamente abnorme mantenere misure incidenti così gravemente sulla vita delle persone e sui loro diritti naturali una volta venuti meno i presupposti su cui si basava la loro introduzione.
Di fronte a una sanzione, quali strade possono percorrere i cittadini?
Se si manterranno, anche dopo la fine dello stato d’emergenza, alcune restrizioni, soprattutto quelle più odiose e divisive per la società (green pass e obblighi vaccinali generalizzati), noi di Avvocati Liberi – ma mi auguro facciano lo stesso tutti gli avvocati italiani che abbiano ancora nell’animo un elevato livello di senso democratico, di giustizia e la solidarietà sociale – impugneremo e contesteremo in ogni sede – giudiziaria e non – la persistenza di misure costituzionalmente aberranti, ingiuste, giuridicamente illecite e socialmente odiose, oltre che dannose per la ripartenza economica del paese.
Anche i cittadini però sono chiamati alla loro parte, e non solo i “consumatori” delle attività o dei servizi, ma anche gli esercenti e i datori di lavoro, che devono tornare a rispettare la legge fondamentale, i diritti altrui e gli interessi di produttività delle proprie aziende, con la consapevolezza che le sanzioni eventualmente irrogate per violazioni di norme illegittime dovranno essere fatte oggetto di impugnazione per farle annullare in giudizio.
Abbiamo già moltissimi precedenti di annullamenti delle sanzioni, per lo più multe, comminate per violazioni sulla disciplina delle mascherine, del distanziamento, del coprifuoco, etc, e la gran parte di quelle impugnate (in particolare dalla metà del 2021) sono state archiviate dai Prefetti e, quand’anche confermate in prima battuta, demolite dai giudici di pace.
Ultimamente registriamo anche un profluvio di sentenze, provenienti da ogni tipo di giurisdizione (amministrativa; civile; penale), che hanno accertato l’illegittimità delle sanzioni di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione dei lavoratori, o che hanno sollevato questioni di costituzionalità degli obblighi vaccinali.
Inoltre sono state emesse pronunce che hanno dichiarato l’illegittimità dello stato di emergenza e delle misure restrittive, quindi non ci vuole molto a comprendere che non si tratta di opinioni personali o di visioni ideologiche, quanto di statuizioni di Tribunali italiani. Ora non resta che prendere consapevolezza di ciò, di rendere esecutive le sentenze e trasportarne i principi nella coscienza sociale la quale, quando avrà compreso l’illegittimità giuridica di tali misure, non potrà fare altro che ignorarle e considerarle tanquam non esset.
Il vero snodo da superare consiste nella scissione dell’analisi giuridica di uno strumento con l’utilizzo che se ne fa, perché ogni discussione su questi temi è macchiata dal pregiudizio e dalla pretesa di accettazione incondizionata di una verità e di una giustizia trattata come “atto di fede”, in una presa di posizione su aspetti ideologici o politici che nulla hanno a che fare con la sanità o con il diritto.
La Russia “è certamente interessata a garantire che i negoziati con Kiev siano efficaci”, ma non può sottolineare quanto sia stato “scioccante” vedere che la decisione di inviare armi letali all’Ucraina sia stata presa mentre iniziava il primo round di trattative. In un’intervista all’Adnkronos, l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov, spiega quali sono le linee rosse per Mosca nel negoziato e denuncia l’invio di armi da parte dell’Occidente, armi che saranno usate “per uccidere i militari russi”.
“Le trattative sono iniziate. La nostra posizione, come delineata dal presidente Vladimir V. Putin, è la seguente – ricorda Razov – Status neutrale e non nucleare dell’Ucraina, sua smilitarizzazione e denazificazione, riconoscimento dell’appartenenza alla Russia della Crimea e sovranità delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. Abbiamo ripetutamente e ragionevolmente spiegato ciascuna di queste posizioni. Siamo certamente interessati a garantire che i negoziati siano efficaci”.
All’ambasciatore russo “pare” però “scioccante, in questo contesto, che la decisione di fornire armi letali all’Ucraina sia stata presa proprio nel momento in cui le delegazioni russa e ucraina erano sedute al tavolo del primo round di negoziati a Gomel. Di fatto quelle armi saranno usate per uccidere i militari russi, il che, sarete d’accordo, aggiunge ulteriori complicazioni alle relazioni tra Stati”.
La posizione di Sergey Razov, ambasciatore russo a Roma
“Inoltre – accusa Razov – è difficile prevedere in quali mani finiranno queste armi e contro chi potranno essere utilizzate. Come sapete, decine di migliaia di armi leggere sono già state distribuite alla popolazione civile, compresi elementi criminali ucraini rilasciati dal carcere, che potrebbero svolgere un ruolo in Ucraina e in altre zone di conflitto”.
“La Russia respinge categoricamente le accuse di crimini di guerra”. Lo dice in un’intervista all’Adnkronos l’ambasciatore russo a Roma, Sergey Razov, commentando l’avvio di un’inchiesta preliminare da parte della Corte penale internazionale dell’Aja sui crimini di guerra che sarebbero stati commessi dalle forze russe in Ucraina.
“Per inciso, né la Russia né l’Ucraina sono membri del tribunale penale internazionale dell’Aja – premette l’ambasciatore – Richiamo l’attenzione sul fatto che negli ultimi otto anni, durante i quali nel Donbass sono state uccise 14.000 persone, compresi i civili,nessuna delle 5.588 denunce presentate dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani alla Corte europea per i diritti umani è stata accolta. Il doppiopesismo e il pregiudizio sono evidenti”.
«Credo che nessuno possa avere dubbi sul mio sentimento anti russo, però questa volta sono piuttosto perplesso e più ‘putiniano’ che non ‘zelenskyano’. Sono più dalla parte di Putin che non da quella di Zelensky». Esordisce così il Generale Paolo Inzerilli, Capo di Stato Maggiore del Sismi e per 12 anni comandante della Gladio, struttura militare segreta appartenente alla rete internazionale Stay-behind creata per contrastare una possibile invasione nell’Europa occidentale da parte dell’Unione Sovietica.
“Io ho due pallini, la storia e la geografia – spiega il Generale -, ma in genere la gente evita di ricordare ciò che è successo nel passato. La Russia, fin da quando era zarista, è sempre stato un Paese a disagio perché si è sempre sentita circondata, in qualche modo bloccata, sentivano di non avere libertà di movimento. Con l’Unione Sovietica era lo stesso, perché è stata creata la Nato contro l’eventuale espansionismo sovietico. La situazione, dunque, si è tramandata. Tutto quello che sta succedendo adesso, perciò, è sempre dovuto al fatto che la Russia, non più Unione Sovietica, ha paura, si sente circondata da Paesi ostili. E il presidente dell’Ucraina, Zelensky, a mio parere fa una dimostrazione di forza quando in effetti tutto quello che la Russia ha chiesto è la dichiarazione ufficiale di non ingresso dell’Ucraina nella Nato e la demilitarizzazione del Paese. Ecco, non mi sembrano richieste assurde, ma Zelenskynon ne vuole sapere».
L’assurdità, per il Generale Inzerilli, sta altrove: «Un paio di settimane fa – dice – si è riunito il Consiglio atlantico della Nato, e i mass media, riportando una dichiarazione del segretario generale Stoltenberg fatta prima della riunione, hanno scritto ‘Stoltenberg gela l’Ucraina’, nel senso che secondo il segretario generale non c’era in agenda nessun argomento che riguardasse l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. È dunque Zelensky che vuol far vedere di essere in gamba, bravo, super indipendente, costi quel che costi, il che per un Capo di Stato mi sembra leggermente folle. Ma se gliel’hanno detto ufficialmente che al momento non se ne parla, perché non se n’è stato buono e tranquillo, senza agitarsi, invece di fare scoppiare questo caos? L’esercito russo contro quello ucraino… Viene da ridere». Per l’ex capo della Gladio, però, c’è un altro punto importante. «Prima che iniziasse il conflitto, gli Stati Uniti dissero che se la Russia avesse invaso l’Ucraina, loro, come Stati Uniti e non come Nato, sarebbero intervenuti per difenderla. Poi hanno cambiato le dichiarazioni, cominciando a parlare di invio di aiuti, che significa quattrini, ed è ben diverso. Ecco perché – afferma senza indugio il Generale – valutando la situazione attuale mi sento più russo che ucraino, perché penso sempre che il compito di un presidente di un Paese è prima di tutto quello di salvare la pelle dei cittadini e non di compiere gesti di forza per una libertà che in pratica esiste e che invece secondo Zelensky non esiste. Per quel che mi riguarda oggi il problema di questa guerra si chiama Zelensky».
Ai lavoratori pubblici sospesi dal servizio perché non in regola con l’obbligo vaccinale spetta comunque la metà della retribuzione. Lo sottolinea il TAR del Lazio, con l’ordinanza 1234/22 depositata in seguito al ricorso avviato da un dipendente del Ministero della Giustizia. Il TAR si è espresso in merito alla sospensione dal servizio e dallo stipendio fino all’avvio o al completamento del ciclo vaccinale primario, o della somministrazione della dose di richiamo.
Ecco cosa dice la sentenza
L’ordinanza del TAR impone adesso al Ministero di elargire la metà della retribuzione al personale sospeso in attesa dell’udienza pubblica di merito della Consulta prevista per il prossimo 6 maggio, durante la quale sarà discussa la costituzionalità della norma che ha introdotto l’obbligo vaccinale.
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Considerato che il ricorso richiede approfondimento di merito, in relazione ai profili di doveroso bilanciamento di valori costituzionali, tra la tutela della salute come interesse collettivo – cui è funzionalizzato l’obbligo vaccinale – e l’assicurazione di un sostegno economico vitale – idoneo a sopperire alle esigenze essenziali di vita, nel caso di sospensione dell’attività di servizio per mancata sottoposizione alla somministrazione delle dosi e successivi richiami, c.d. booster – tenuto conto che la sospensione è dichiaratamente di natura non disciplinare e implica la privazione integrale del trattamento retributivo. Ritenuto, pertanto, di accogliere l’istanza cautelare, nel senso che al ricorrente sia corrisposto un assegno alimentare pari alla metà del trattamento retributivo di attività.
Sindacati all’attacco
L’ANIEF ribadisce l’impegno a chiedere il medesimo pagamento della metà dello stipendio, in attesa della decisione della Consulta, accogliendo le richieste di tutto il personale sospeso che ha aderito ai ricorsi al TAR o che vorrà aderire ai ricorsi al Presidente della Repubblica entro il 15 marzo. Sarebbero ancora in 8mila, infatti, i docenti, amministrativi ed educatori che risultano sospesi.
Contrasto fra giudici
Non è la prima volta che si trova discrepanza di vedute tra i giudici amministrativi. Nei mesi scorsi, infatti, hanno sempre confermato la legittimità della sospensione di medici, infermieri e professori contrari al vaccino. Poi, circa due settimane fa, il Tar Lazio, con il decreto 919/22, ha detto stop alla sospensione di oltre venti militari, accogliendo il ricorso contro i provvedimenti dei rispettivi comandi che li avevano momentaneamente estromessi per non aver adempiuto l’obbligo di vaccinazione. Diverso è invece il discorso del giudice del lavoro sui rapporti coi datori privati: è legittimo sospendere il dipendente non vaccinato, stabilisce ad esempio l’ordinanza 2467/21 del tribunale civile di Modena, perché la perdita dello stipendio non è di per sé «irreparabile» ma è un danno risarcibile ex post come tutte le lesioni dei diritti che derivano da rapporti obbligatori.
IN QUESTO FINE SETTIMANA, NEL NOSTRO PAESE ED ANCHE IN MOLTE PIAZZE EUROPEE, NON SONO MANCATE NUMEROSE MANIFESTAZIONI, COSIDETTE PACIFISTE, DAL SAPORE TUTTO IPOCRITA E VOMITEVOLE DOVE, NON PERSONE MA PECORE E PECORONI, HANNO SFILATO CON LE BANDIERE DELLA PACE E ANCHE DEI SINDACATI, PER GRIDARE CONTRO UNA GUERRA DI CUI NON SANNO NIENTE, DI CUI NON SI SONO ACCORTI IN QUESTI ULTIMI 8 ANNI, URLANDO, GRIDANDO E RECLAMANDO, COME DEI FORSENNATI, LA PACE. TRA LA FOLLA ABBIAMO INDIVIDUATO ANCHE I POLITICI, AL FIANCO DI QUEL POPOLO COGLIONE CHE NON SI È RESO ANCORA CONTO CHE LA GURRA E’ FOMENTATA PROPRIO DA LORO, UOMINI DI POTERE! NOI, GENTE COMUNE, SOPRATUTTO DOPO LE SOFFERENZE E LE COERCIZIONI SUBITE IN QUESTI ULTIMI DUE ANNI, AVREMMO DOVUTO GIA’ CAPIRE TUTTO, OLTRE AL FATTO CHE, VANTANDOCI AD OGNI PIE’ SOSPINTO DI AVER RAGGIUNTO MASSIMI LIVELLI D’ISTRUZIONE, AVREMMO DOVUTO IMPARARE A NON FARCI INFINOCCHIARE DA QUESTI QUATTRO BARBAGIANNI. MA NON E’ COSI! I TITOLI DI STUDIO BEN SIGLATI DALLA CHINA SU PREZIOSE PERGAMENE, SVENTOLANO INSIEME ALLE BANDIERE ARCOBALENO, CON UN VALORE PIU’ EFFIMERO CHE CONCRETO E REALE! IN PIAZZA NON DOVREMMO SCENDERE PER MANIFESTARE CONTRO UN POPOLO PIUTTOSTO CHE UN ALTRO, MA DECISAMENTE CONTRO I NOSTRI GOVERNANTI, I POTENTI DELLA TERRA CHE SCATENANO I CONFLITTI! SONO LORO CHE, PERIODICAMENTE, FANNO SCOPPIARE L’INFERNO SULLA TERRA PER AFFAMARE I POPOLI! RUSSIA E UCRAINA SONO LE VITTIME DI UOMINI MALEFICI CHE STANNO BEN PIU IN ALTO DEL SINGOLI CAPI DI STATO! QUESTI ULTIMI, SONO SOLO PEDINE AL SERVIZIO DEL NUOVO ORDINE MONDIALE! NON PARTEGGIATE PER ZELENSKY PIUTTOSTO CHE PER PUTIN! ANDIAMO CONTRO I VERI MANDANTI, STUDIAMO E INFORMIAMOCI SU TESTI E FONTI GIUSTE! SOLO UN PENSIERO LIBERO, CHE VADA OLTRE IL MALDESTRO REVISIONISMO STORICO, PUO’ CRESCERE VERI UOMINI E DONNE, E NON MAMMALUCCHI ERUDITI DA 4 NOZIONI SCOLASTICHE E UNIVERSITARIE DI REGIME! LA CULTURA E’ ALTRA COSA! E NELLE PIAZZE SI DOVREBBE URLARE SOLO SE CONSAPEVOLI DI CIO’ CHE SAPPIAMO E STIAMO FACENDO, NON SEGUENDO LA CORRENTE DI CHI CI VUOL FAR VEDERE LUCCIOLE PER LANTERNE! IN GUERRA COME NELLA VITA NON ESISTONO SOLO BIANCO E IL NERO, MA ANCHE QUELLE SFUMATURE DI COLORE, CHE SPESSO FANNO LA DIFFERENZA! E PER INDIVIDUARLE OCCORRONO ATTENZIONE E ACCORTEZZA! MEDITIAMO!
Marzia MC Chiocchi
LA NOTIZIA ⤵️– FONTE: R2020
25,8 miliardi di euro di spesa militare. 8,3 miliardi di euro per i nuovi armamenti. È un record per il nostro Paese. Cifre mostruose in sé, e ancora più vergognose se si considera il momento storico in cui versa il popolo italiano.
«Ci dobbiamo dotare di una difesa molto più significativa e bisognerà spendere molto di più di quanto fatto finora». Aveva dichiarato Mario Draghi il 29 settembre scorso. Detto fatto. Oggi, secondo i dati riportati dall’Osservatorio Mil€x, «Il Bilancio del Ministero della Difesa per il 2022 sfiora i 26 miliardi di euro con un aumento di 1,35 miliardi, a cui vanno poi aggiunti gli stanziamenti di altri ministeri». Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, mai come in questi anni si è dato da fare per far approvare dal Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo. Nel solo 2021 parliamo di un valore di ben 15 miliardi di euro e un onere complessivo di oltre 30 miliardi di euro.
C’è di tutto: F35, caccia Tempest, eurodroni classe Male, aerei Gulfstream per la guerra elettronica, batterie missilistiche antiaeree per missili Aster, blindati Lince, cacciatorpedinieri lanciamissili classe Orizzonte (prodotti da Fincantieri), navi supporto per le operazioni subacquee… E si potrebbe andare avanti così ancora per molto.
Un giro di soldi e di sangue mai visto. Portato avanti sulle spalle dei cittadini, dai soliti (poco) noti.
Proprio in questi giorni trapela infatti l’ennesimo scandalo. Massimo D’Alema, già Ministro degli esteri e vicepresidente del Consiglio del governo Prodi e presidente del Consiglio dal ’98 al 2000 (quando, con Sergio MattarellaVicepresidente del Consiglio con delega ai Servizi di Sicurezza, in aperta violazione della Costituzione e senza alcun mandato dell’ONU, aveva scaricato sulla Jugoslavia più bombe di quante mai sganciate su una nazione europea dopo la Seconda Guerra Mondiale), sarebbe oggi al centro di un affare miliardario inerente una commessa offerta al governo colombiano di navi, sommergibili e aerei da guerra prodotti dalle aziende di Stato italiane. In particolare da Leonardo, l’ex Finmeccanica presieduta dall’ex banchiere di area Ulivo Alessandro Profumo, tra l’altro indagata per frodi elettorali internazionali e nazionali. Lo stesso che – guarda caso – partecipò alla cena da mille euro a coperto per finanziare la fondazione di D’Alema. Era il 2015, e la cena andò molto bene.
Da quanto riportato dal giornale La Verità, a metà febbraio l’ambasciatrice colombiana a Roma ha chiamato il sottosegretario alla Difesa Giorgio Mulè per comunicargli di aver ricevuto una chiamata da D’Alema (oggi santo protettore di Speranza) che si offriva come mediatore della fornitura per incarico di Leonardo. Alla richiesta di spiegazioni di Mulè, Leonardo nega tutto. Il problema è che l’ex premier, in barba alla legge 185 che vieta l’utilizzo di mediatori nelle forniture di armi e nonostante una trattativa ufficiale già in corso, quell’incarico dalla azienda del suo amico Profumo l’ha ricevuto davvero. Leonardo ha infatti dato mandato allo studio di Miami “Robert Allen Law”, società che in realtà è di copertura di D’Alema.
Insomma, se la cantano e se la suonano, da decenni, e oggi – Con il fumo negli occhi della pandemia, progettata come una vera e propria operazione militare, l’annebbiamento delle menti, lo scontro sociale sempre più acceso, la crisi economica, che avanza imperterrita e le sirene di una nuova emergenza, già annunciata – ancora di più.
In Italia si sta consumando una guerra tragica: è quella di chi ci governa, contro il suo popolo. Le macerie, i morti e i danni, che ora si stanno iniziando a vedere presto saranno talmente evidenti da non poterli più nascondere sotto un tappeto di qualche studio televisivo. La Resistenza è da fare qui e ora, contro questi mostri, che di umano non hanno nulla.
IN CHIUSURA, POSTIAMO UNA FAMOSA POESIA DI TRILUSSA SULLA GUERRA, SCRITTA 108 ANNI FA E MUSICATA NEGLI ANNI SETTANTA DA CLAUDIO BAGLIONI ⤵️
LA NINNA NANNA DELLA GUERRA
Ninna nanna, nanna ninna, er pupetto vò la zinna: dormi, dormi, cocco bello, sennò chiamo Farfarello Farfarello e Gujermone che se mette a pecorone, Gujermone e Ceccopeppe che se regge co le zeppe, co le zeppe d’un impero mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno fra le spade e li fucili de li popoli civili.
Ninna nanna, tu nun senti li sospiri e li lamenti de la gente che se scanna per un matto che commanna; che se scanna e che s’ammazza a vantaggio de la razza o a vantaggio d’una fede per un Dio che nun se vede, ma che serve da riparo ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d’assassini che c’insanguina la terra sa benone che la guerra è un gran giro de quatrini che prepara le risorse pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello, finchè dura sto macello: fa la ninna, chè domani rivedremo li sovrani che se scambieno la stima boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti: torneranno più cordiali li rapporti personali.
E riuniti fra de loro senza l’ombra d’un rimorso, ce faranno un ber discorso su la Pace e sul Lavoro pe quer popolo cojone risparmiato dar cannone!
Trilussa
________________________ [Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di professionisti (insegnanti, economisti, medici, avvocati, ecc.) formatosi con l’unico intento di collaborare per la difesa della libertà di espressione (art. 21 della Costituzione Italiana e art. 11 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea) e per la ricerca e condivisione della verità sui principali argomenti e fatti di rilevanza sia locale che globale]