22 Maggio 2022 – Redazione – di Alessandro Rico ( La Verità)
Contagi, ospedalizzazioni e intensive sono più probabili tra chi ha tre dosi rispetto a chi ha completato il ciclo primario. I vantaggi della «terza dose» soltanto per gli over 60: eppure Roberto Speranza & C. insistono sulle iniezioni.
Ormai è un’evidenza granitica: sotto i 60 anni, chi ha la terza dose se la passa peggio di chi non ce l’ha. Lo dicono i numeri trasmessi dall’Istituto superiore di sanità: nel regno di Omicron, il bazooka del booster sta rapidamente perdendo la sua potenza di fuoco. Tutto ciò dovrebbe indurre esperti e ministero a ricalcolare il rapporto rischi/benefici dell’iniezione, soprattutto in vista dell’ulteriore campagna autunnale di richiami. E invece, al momento, il mantra delle punture a cadenza quadrimestrale, ringalluzzito dalla promessa di farmaci aggiornati, resta il pilastro della strategia italiana. Alla faccia delle decisioni scientifiche, basate sui dati, che invoca ogni volta Roberto Speranza.
Veniamo alle ultime, clamorose rilevazioni, che riguardano gli under 60. Dal report dell’Iss, aggiornato al 18 maggio, vanno tratte tre conclusioni che dovrebbero far drizzare le antenne a chiunque fosse davvero interessato a calibrare le politiche in base agli scenari.
1 Chi ha ricevuto la terza dose si infetta molto di più di chi si è vaccinato solo con due dosi da oltre quattro mesi. Tra 40 e 59 anni, addirittura, gli italiani con il booster si contagiano di più anche dei non vaccinati.
2 Chi ha ricevuto la terza dose finisce in ospedale di più di chi si è vaccinato con due dosi da meno di quattro mesi – e questo vale sia tra 12 e 39 anni, sia tra 40 e 59.
3 Chi ha ricevuto la terza dose finisce in terapia intensiva di più di chi si è vaccinato con due dosi, indipendentemente dal fatto che esse siano state somministrate da oltre o da meno di 120 giorni.
Sorvoliamo sul terzo punto: per fortuna, gli ingressi in rianimazione, tra il primo aprile e il primo maggio, sono stati talmente pochi che sarebbe inutile costruirci sopra una tendenza statistica. Concentriamoci, semmai, sui primi due elementi di riflessione.
Da 12 a 39 anni, l’incidenza dei casi di Covid, dal 15 aprile al 15 maggio, è stata di 2.912 infezioni ogni 100.000 persone tra i non vaccinati, 1.218 tra i vaccinati da oltre quattro mesi, 3.054,4 tra i vaccinati più recenti e 2.892,1 tra i vaccinati con la terza dose. Da 40 a 59 anni, l’incidenza è stata di 2.429,4 casi tra i non vaccinati, 1.493 tra i vaccinati da oltre 120 giorni, 2.712,9 tra i vaccinati da meno di 120 giorni e 2.683,6 tra chi si è sottoposto al richiamo. È un chiaro segnale che lo schermo offerto dal medicinale tarato sul virus di Wuhan, in presenza di Omicron e delle sue sottovarianti, si è enormemente indebolito. E che nemmeno la spintarella del terzo shot lo consolida in modo decisivo. I più attenti, allora, domanderanno: come mai, se lo scudo vaccinale è diventato una groviera, gli inoculati con due dosi da più tempo sembrano essere quelli più al sicuro? La protezione, a questo punto, non dovrebbe essere evaporata?
Una possibile interpretazione è che quanti, tra gli under 60, pur avendo porto il braccio da oltre 120 giorni, non sono ancora corsi all’hub per il richiamo, siano per la maggior parte individui che si sono infettati con Omicron dopo la doppia puntura. Costoro, dunque, beneficiano oggi dell’immunità naturale, peraltro maturata in rapporto al ceppo virale prevalente. E, a ipotetica parità di stile di vita – i limiti imposti dal green pass sono decaduti e nessuno è in lockdown volontario per paura d’infettarsi – resistono meglio agli attacchi del Sars-Cov-2.
Un discorso analogo – ed è un aspetto impressionante – vale per i conteggi dei ricoveri in area non critica. In questo caso, i non vaccinati si dimostrano senza dubbio più vulnerabili dei vaccinati a vario titolo. Tuttavia, gli under 60 che si sono lasciati inoculare oltre 120 giorni fa risultano meno a rischio sia dei vaccinati recenti, sia di quelli con il booster. Tra 12 e 39 anni, l’incidenza delle ospedalizzazioni, nei vaccinati meno recenti, è di 6,2 ogni 100.000 persone; in quelli più «freschi» è di 16,3; in quelli «tridosati» è di 10,1. Nella fascia anagrafica 40-59 anni, l’incidenza varia dai 10,4 ricoveri tra i vaccinati da più di quattro mesi, ai 15,7 tra i vaccinati da meno di quattro mesi, agli 11,8 tra i vaccinati con booster. Ancora una volta, chi si è vaccinato da poco, nel contesto Omicron, ha le armi spuntate. Soprattutto, la terza puntura non aggiunge nulla alle due eseguite prima di gennaio. Anzi, ha un impatto negativo.
A dirla tutta, già a febbraio La Veritàsottolineava come, dai documenti dell’Iss, risultasse che gli under 40 con tre dosi pativano più ospedalizzazioni dei vaccinati con due shot. L’Iss aveva spiegato il paradosso ricordando che, in quella classe d’età, ad aver ricevuto il booster erano stati i fragili. «Con il tempo», prometteva l’ente, «le stime di efficacia riferite a questa popolazione risentiranno meno di questo fattore di confondimento». Ebbene: la terza iniezione l’ha avuta anche chi scoppia di salute. Ed è successo il contrario di quel che prevedeva l’Iss. Non solo il «fattore di confondimento» non è scomparso, ma l’anomalia si è estesa alla categoria anagrafica immediatamente successiva, quella dei cittadini con età compresa tra 40 e 59 anni.
Anche a voler ignorare la questione degli effetti collaterali e il giallo sull’eccesso di morti under 40, ce ne sarebbe abbastanza per ammettere che qualcosa non sta funzionando. Per smetterla di rincorrere i più giovani e sani con la siringa, concentrandosi sugli over 60 – sui quali il richiamo, invece, fa il suo dovere.
Tanto, le inoculazioni delle terze dosi sono già di per sé al palo: da inizio mese non sono mai arrivate a 11.000 al giorno; venerdì si sono fermate a poco più di 5.000. Evidentemente, nascondere la polvere sotto al tappeto non basta: gli italiani, l’antifona, l’hanno capita da soli.
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