FONTE: Azzurra Barbuto/ La Finestra di Azzurra/ La Pekoranera
Almeno una quindicina di volte durante le ore diurne, Joao Kisonga, milanese di 37 anni, viene percosso da violenti fitte al petto, alle quali dopo mesi non si è ancora abituato, come neppure alla tachicardia. Neanche la paura è diminuita, poiché, di fatto, Joao ha una diagnosi, conosce il nome del male contro il quale ha combattuto e sta combattendo: PERIMIOCARDITE ACUTA. Ma ciò che ignora sono le ripercussioni sulla sua salute e sulla sua esistenza. E pensare che fino a giugno l’uomo, professionista del basket, scoppiava di salute. Mai una influenza, neanche un raffreddore, esami periodici, essendo donatore di sangue, test del tampone settimanale prima delle competizioni sportive, alimentazione sana e cura del proprio corpo.
Ma com’è che Joao finisce in ospedale lo scorso luglio (pochi giorni prima, il 22 giugno, aveva ricevuto la seconda dose di Pfizer) in pericolo di vita e ne viene dimesso soltanto nel mese di agosto, ossia dopo cinque settimane? I sintomi cominciano subito dopo la seconda dose: febbre, mal di testa, affaticamento, mancanza di forze, dolori al petto, fitte sempre più forti, come staffilate.
Dunque, tutto ha inizio con la vaccinazione contro il Covid-19, sebbene questo sia un tabù e non se ne possa parlare e coloro che patiscono gli effetti collaterali vengano censurati, oscurati, silenziati, nascosti, e venga negato il nesso causale con il celebre verdetto: “nessuna correlazione”.
Invece no. La correlazione c’è. A Joao lo hanno confermato i medici a luglio. Joao lo ha visto scritto sulla sua cartella clinica. Ma poi ogni riferimento al vaccino è stato cancellato e all’atleta è stato detto che, in fondo, ha potuto beccarsi questa terribile infiammazione delle pareti del cuore in altri modi.
«Mi sento preso in giro, beffato. Inoltre provo molta rabbia poiché i miei progetti sono stati distrutti, non mi sono ancora ripreso e trascorrerò quest’anno senza ingaggi sportivi con perdite economiche, dopo avere perso pure l’opportunità di un avanzamento di carriera, infatti a luglio avrei dovuto raggiungere l’Arabia Saudita per lavoro», ci rivela Joao”.
Il giovane ha chiamato il suo cardiologo, che ancora una volta gli ha spiegato che ci vuole pazienza. Il muscolo cardiaco è stato messo in bassa pressione affinché si affatichi meno, risultando ancora infiammato.
«Le domande mi tormentano. Mi sembra come se mi fosse stata sottratta la mia esistenza e nulla sarà più come prima. Mi assicurano che si guarisce del tutto, ma finché non vedo non credo. Altri sportivi dopo la vaccinazione si sono ammalati di miocardite e pericardite e alcuni, pur essendo guariti, non hanno più potuto fare sport a livello agonistico», continua Joao, che ci racconta che in clinica erano ricoverate insieme a lui altre persone con queste problematiche post-vaccinazione.
«Sono un danneggiato dal vaccino ma non è previsto alcun risarcimento. Posso garantire di non avere mai preso il coronavirus, nemmeno da asintomatico, dato che ogni settimana dall’inizio della epidemia mi sottoponevo al test del tampone. Eppure qualche medico mi ha detto che forse questa reazione da parte del mio organismo dipende dal fatto che avessi già sviluppato anticorpi. Allora mi domando: se si ha consapevolezza del fatto che iniettare il vaccino in soggetti che hanno già fatto la Covid possa determinare esisti nefasti di questo genere, perché non sottoporre tutti al test sierologico prima di inoculare l’antidoto?».
Ed ecco il punto, Joao non si rassegna, non comprende proprio questa febbre vaccinale, questa rincorsa folle a fare il più alto numero di vaccini nel minor tempo possibile, senza discernimento, senza distinzioni, pungendo pure i ragazzini, mirando a pungere anche i bambini, pungendo donne incinte e in allattamento, come se il vaccino andasse bene a tutti e fosse salvifico per chiunque. Ne siamo sicuri?
«Ci ripetono che il vaccino rende liberi, ma per me non è stato così. La gente è libera quando viene riconosciuta libera di scegliere allorché si tratta del proprio corpo. Questo è un diritto. Per quanto mi riguarda, lo Stato non tiene alla mia salute. Mi è stato dimostrato che sono un numero, nient’altro che un numero. E il numero è sempre sacrificabile», prosegue Joao, uomo forte, robusto, pieno di dignità, che pure ci confida di avere pianto nelle cinque settimane segregato in ospedale senza la possibilità di ricevere visite, impegnato com’era in un combattimento contro un male che aveva minacciato di strappargli la vita.
«Cosa mi sbalordisce di più? Che individui che dopo la prima dose hanno manifestato effetti collaterali gravi siano stati incoraggiati a fare anche la seconda. Se dovessero propormi la terza o obbligarmi a farla, mi rifiuterei. E penso sia comprensibile. Chi vuole morire?».
Joao vuole lanciare un messaggio importante: «Vaccinare i ragazzini indiscriminatamente è un orrore. Per quale ragione non vengono prima sottoposti almeno ad un test sierologico, che dovrebbe essere garantito e gratuito? Convincono gli adolescenti che il vaccino gli garantirà la parità con i coetanei, l’accettazione, la libertà. Ma non sono validi motivi per sottoporsi ad un trattamento medico».
Il vaccino è intoccabile, vietato metterlo in discussione. Invece discutere è necessario. «Non posso essere di sicuro etichettato come no-vax: ho fatto tutte le vaccinazioni e non vedevo l’ora di fare anche questa, poiché sono impegnato come volontario in una cooperativa che si prende cura di soggetti vulnerabili. Tuttavia insisto: sarebbe una follia imporre l’obbligo, vorrei fare presente al governo che non sono pochi i casi come il mio. Siamo tantissimi, però non risultano perché i medici continuano a scrivere che non c’è correlazione», puntualizza Joao.
«Il danno che ho subito non si può quantificare. Spero che la mia testimonianza possa essere utile. A me sembra che coloro che affermano di preoccuparsi per la nostra salute nei fatti diano prova di fregarsene», conclude Kisonga.
di Azzurra Barbuto – La Finestra di Azzurra
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