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‘Cgil’
FONTE: La Pekoranera
L’immagine del capo gabinetto – mai termine fu più calzante – di Trieste con il braccio teso nel saluto romano che, in nome di una legge immaginaria, ordina di sparare acqua su lavoratori seduti e pacifici fa letteralmente rabbrividire.
Quest’episodio, insieme a fumogeni lanciati ad altezza uomo a gente inerme e nelle scuole, la dice lunga quanto l’antifascismo sia strumentale nel nostro Paese. Esattamente come il pacifismo a intermittenza: a seconda di chi lancia le bombe.
Nessun quotidiano ha espresso indignazione. Nessun tuttologo-opinionista si sta stracciando le vesti per la perdita di diritti acquisiti, come avviene quando qualche imbecille, nostalgico del “ventennio”, permette di dare aria ai denti, o permette ad altri imbecilli di scrivere pagine intere sul rischio dell’immediata resurrezione del Duce, per dar vita ad una ipotetica «Pasqua del Fascio Littorio».
Ed eccovi tutti accontentati: siamo caduti in un altro “Ventennio”, solo che le camicie non sono nere, hanno sfumature rosse e Benito Mussolini continua a giacere in una cripta a Predappio.
Dopo che i neo fascisti romani hanno assaltato la sede della Cgil, con autorizzazione al corteo da parte della polizia, sono finiti i fiumi d’inchiostro intrisi di retorica nausebonda che da circa ottant’anni è un ottimo alibi per nascondere le trame di palazzi, gli inciuci, e le varie porcate di chi continua ad avere la presunzione d’insegnare la democrazia, ignorando norme internazionali, europee e la Costituzione.
Ieri si è capito chiaramente dove sta il famigerato fascismo. Sta nei palazzi dove si predica la libertà, e l’antifascismo, strumentale, è utile per intorbidire le acque che celano un regime autoritario, sempre più simile a quello dei compagni cinesi eredi politici di Mao Tze Tug.
Provate ad immaginare, per qualche secondo, se il capo gabinetto della questura triestina avesse usato modi e termini per una dimostrazione indetta dalla sinistra e qualche sindacato!
Il mondo, con inquietudine, si sta domandando cosa sta succedendo in Italia. Fortunatamente gli italiani stanno iniziando a capirlo.
«Nulla di peggio del fascismo degli antifascisti» scriveva Pier Paolo Pasolini sulle pagine del Corriere della Sera, nell’ormai lontano 16 luglio 1974, in Scritti Corsari.
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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]
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È un punto di non ritorno credo. Quello che vedo intorno a me è difficile persino da descrivere per quanto sia angosciante e al contempo ignorato dai più.
A prescindere da quello che uno possa pensare su una data questione, al di là delle proprie scelte personali, esistono dei fatti oggettivi che non possono essere ignorati e vanno analizzati lucidamente.
Non si vedeva da decenni uno stato che era in grado di far sparire nel silenzio decine di migliaia di persone che protestano. A prescindere da quello che sostengono quelle persone, il fatto che si siano ignorate queste manifestazioni (mentre venivano trasmessi servizi su tg nazionali con persino inviati sul posto per raccontare di sgomberi di rave non autorizzati) dovrebbe fare venire un brivido nella schiena a chiunque.
Viviamo in uno stato che ha deciso di applicare un ricatto paragonabile solo a certe leggi fasciste e questo lo dicono anche filosofi e politologi come Agamben.
Questo ricatto, di fatto, viola leggi e trattati che hanno molto più valore legalmente parlando, e discrimina di fatto milioni di persone sulla base di una scelta legale e permessa, sulla carta, dallo stato stesso.
Circa il 20% dei lavoratori italiani non vuole il green pass. Il venti per cento.
Dopo mesi di manifestazioni, centinaia di migliaia di persone scese in piazza pacificamente e inascoltate, diritti erosi, ricatti, adesso si sono accesi i riflettori. Adesso che si è usata violenza.
È un copione che conosciamo, Cossiga Docet. Un copione che ancora funziona evidentemente: infiltrare i movimenti per politicizzarli e avere una scusa per reprimerli.
L’assalto alla sede della CGIL è da manuale. Quello che non è da manuale è vedere che a 20 anni dal G8 c’è ancora chi ci casca.
Il discorso di Landini all’indomani di questo fatto è da copione: un inno alla resistenza, all’antifascismo, alla difesa dei diritti del lavoro. Gli stessi principi che avrebbero dovuto far muovere i sindacati per proteggere i lavoratori da quello che sta accadendo, ma finora non pervenuti.
L’appello alla mobilitazione generale dopo questo evento è la ciliegina su una torta di escrementi.
La risposta generosa e partecipata a questo appello da parte di chi non ha mosso paglia contro quello che sta succedendo, invece, è il sintomo finale di una metastasi in corso da tempo. Il suo auspicare a una riforma generale del lavoro dopo questo specifico fatto è da brividi, per chi sa leggere tra le righe.
Proclami da una parte e violenza dall’altra, tutto purché il copione silenzi quello che succede nelle piazze, le ragioni dei manifestanti e le manganellate prese da giovani, vecchi, mamme.
Ma, anche volendo fare gli ingenui e senza considerare la palese infiltrazione delle manifestazioni pacifiche (sforzandoci parecchio), la destra fa solo quello che sa fare da sempre: cavalcare il malcontento di gente esausta e lasciata sola da organizzazioni governative e non, comprese più colpevolmente quelle di sinistra e per la difesa dei diritti. Ma cavalcare non significa rappresentare e quindi associare le piazze ai fascisti, anche in questo caso, sarebbe per usare un eufemismo, ingenuo e miope.
Il vero attacco alle sedi dei sindacati non è quello studiato a tavolino da quattro fascisti che rappresentano lo 0,01% del paese, ma quello che sta avvenendo da molto tempo, globale, massivo che ha spogliati i sindacati dei loro ruoli e in maniera molto più subdola rispetto a quello che è successo ieri, ma come al solito ci si sveglia solo quando si è attaccati da fascisti che si dicono apertamente fascisti, senza nessuna valutazione sociale sul perché e in quale contesto si sia arrivati a questo, anche perché questo vorrebbe dire fare un’autocritica che le varie organizzazioni “di sinistra” non possono permettersi. E quindi ora è il momento della retorica e di slogan antifascisti, di difesa del lavoro e dei diritti.
Quando invece, nel silenzio censorio dei media, ci sono decine di migliaia di persone in piazza contro un fascismo mascherato da democrazia che erode i diritti e attacca il lavoro discriminando circa il 20% dei lavoratori, non si fa volare una mosca, anzi.
Questo è solo pericoloso e vile collaborazionismo. Non solo, è una fotografia perfetta di come i fascismi, così come successe in passato, possano subdolamente emergere sulle onde di applausi e mobilitazioni di certi apparati che si proclamano antifascisti.
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[Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, tra cui le fondatrici Marzia Chiocchi di Mercurius5.it e Monica Tomasello di CataniaCreAttiva.it, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]
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