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‘Intrattenimento’

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di AGATA IACONO, Sociologa, antropologa, giornalista certificata Wrep Blockchain)

Il famigerato Green Pass, che di fatto ha reso obbligatoria la vaccinazione di massa in Italia senza che le autorità italiane abbiano il coraggio di dichiararlo apertamente per paura di doverne poi rispondere penalmente, non ha nessun valore di controllo dell’epidemia. Il test più  mportante, infatti, è stato realizzato in Olanda ed è fallito miseramente (1000 infettati)

È uno strumento di controllo e discriminazione, nonché il modo per far fallire definitivamente le piccole e medie imprese che vivono di turismo, di ristorazione, di spettacolo, di sport, di cultura e “intrattenimento”.

Ma non solo.

È uno strumento potenzialmente pericoloso perché attribuisce una falsa sicurezza in contesti dove il contagio si diffonde velocemente anche tra vaccinati, come fiere, eventi pubblici con alta affluenza, trasporti.

Genera, inoltre, conflitto di interessi tra chi è costretto a scegliere se vietare accesso alle proprie attività e la necessità di sopravvivere, trasformando di fatto gli esercenti in controllori di Stato sotto ricatto.

Il famigerato Green Pass è anche uno strumento discriminatorio: viola palesemente la Costituzione ma poiché di fatto lo Stato ha privatizzato il suo uso, senza assumersi la responsabilità di rendere obbligatorio un siero sperimentale per sfuggire ai ricorsi, la guerra sarà tra poveri.

Il conflitto sociale ed economico così si sposta sulle categorie “vaccinato e non vaccinato”, laddove il primo percepirà se stesso come un privilegiato e potrà scaricare la sua frustrazione, il suo disagio socioeconomico sul non vaccinato,  discriminandolo e isolandolo, in una sorta di stratificazione funzionale al sistema.

Nessuno, infatti, può essere di fatto esonerato dalla somministrazione della terapia sperimentale per ottenere il passaporto sanitario.

Le sole persone che ufficialmente possono essere esonerate dal vaccino sono per l’Aifa e il Ministero della Salute:

“Chi non tollera il principio attivo del vaccino o i suoi eccipienti”.

Nessuno potrà sottrarsi.

Punto.

Ciò significa che nessuno può sapere se non tollera il vaccino prima di farlo.

Non esistono analisi predittive, anche se, in camera caritatis, immunologi e virologi anche di strutture pubbliche consigliano ad esempio agli utenti in carico che assumono farmaci antivirali di non rischiare che la terapia salvavita venga annullata da altra tecnologia mRNA.

Inoltre, la campagna vaccinale di massa in Italia sta andando a gonfie vele. Adesioni tra le più elevate al mondo.

Il problema, quindi, è l’esitazione vaccinale?

Certamente no.

Più del 50% di vaccinati con entrambe le dosi sono ricoverati per covid in Israele, uno dei fondamentali paesi cavia che ha avuto il tempo di elaborare le conseguenze a più lungo termine.

Le varianti sono colpa dei non vaccinati?

Sembra che proprio la vaccinazione di massa, senza alcuna selezione, stia sviluppando le maggiori mutazioni, d’altronde il virus vuole sopravvivere, si adatta e si vuole riprodurre, com’è sua natura.

Dunque, perché questa insistenza?

Avrete notato che #greenpass è un nome generico e non è stato scelto un nome specifico come vaccination Passport o pass sanitaire? Perchè?

il fine è molto più ampio e si chiama European Digital Identity Framework.

L’obiettivo è creare un’identità europea digitale comune che possa avere attributi omologanti, (oltre alla vaccinazione con i sieri autorizzati da Ema non osiamo prefigurare ulteriori caratteristiche obbligatorie per ottenere il diritto di esistere…).

Con il green pass vaccinale si “educa” la popolazione all’accettazione del principio secondo cui la fruizione di servizi pubblici anche essenziali è subordinata ad una condotta (oggi vaccino).

La condotta resta formalmente una scelta individuale, non più un diritto sociale e costituzionale garantito, che comporta una reazione stigmatizzante ed inabilitante.

Quindi non è più libera scelta.

Questo stigma oggi è rappresentato dal vaccino, ma domani potrebbe essere costituito da qualsiasi caratteristica: non più la razza e il genere sessuale, però, che sembrano diventati schizofrenicamente invece i soli limiti-paravento da sbandierare e per cui è lecito e giusto rivendicare il diritto a respirare.

Risultato: i cittadini, come rane bollite, assumono il paradigma secondo cui la vita sociale è subordinata all’accettazione di regole imposte.

Il sistema costituzionale è stato di fatto svuotato dall’interno introducendo il concetto di “social credit”.

Il Governo Draghi ha reso obbligatorio il green pass per i ristoranti e i bar al chiuso, per gli spettacoli e le palestre, per i congressi, le fiere, i convegni politici e culturali (ma i parlamentari non sono sottoposti a green pass, come sottolinea il presidente della Camera Fico), persino per i parchi tematici o di divertimento per i bambini, negando anche la possibilità di espletare un concorso dopo una vita di studio.

Ma, alla conferenza stampa di Mario Draghi per l’introduzione del green pass, non è stato possibile accedere col green pass.

I colleghi giornalisti, infatti, anche se vaccinati con le due dosi, sono stati costretti a effettuare il tampone e presentarne l’esito negativo.

La dimostrazione plateale dell’assoluta inutilità del Green pass è rappresentata magistralmente dall’iperbolico paradosso del divieto a chi è fornito di green pass di accedere in sala stampa senza tampone negativo.

Che problema dovrebbero avere i politici e i giornalisti ipervaccinati rispetto al contatto con chi ancora non lo è? “Il green pass non è un arbitrio”, tuona Draghi, cercando di mettere le mani avanti, “serve per tenere aperte le attività economiche”.

E chiama praticamente “assassini” i non vaccinati, affermando che sono portatori di morte. Tutto quello che si sta per scatenare in Italia, la guerra tra poveri permanenti mentre generali e banchieri brinderanno per i prossimi decenni è sintetizzata alla perfezione dal grande filosofo e linguista nord-americano Noam Chomsky con questa nota frase:

Il modo più intelligente per mantenere le persone passive e obbedienti è limitare rigorosamente lo spettro di opinioni accettabili, ma consentire un dibattito molto vivace all’interno di tale spettro – incoraggiando persino le opinioni più critiche e dissidenti. Ciò dà alle persone la sensazione che ci sia il libero pensiero in corso, mentre per tutto il tempo i presupposti del sistema vengono rinforzati dai limiti posti nel campo del dibattito.”

(di Agata Iacono)

Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, fra cui anche Marzia Chiocchi di Mercurius5, e Monica Tomasello di Catania CreAttiva, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale.

di Luca Scavone

Roma. Campidoglio. Ore 18.00. Camera ardente di Raffaella Carrà.
Ebbene sì Raffa, oggi hai fatto tanto silenzioso RUMORE.
Il rumore, rispettoso e un po’ melanconico, di chi è cresciuto con il tuo equilibrato varietà, con il tuo pacato far televisione e intrattenimento, con la tua musica fragorosamente vera e dolcemente scatenata.
Oggi, appena aperta la camera al pubblico, almeno mille persone stavan già in attesa di entrare.
Chi portava fiori gialli, dal colore amato da Raffaella; chi ascoltava, a musica sommessa, le sue hit, rubando il sorriso di tutti; nonne con nipoti e figlie, riconoscenti ad una artista italiana di un’Italia che non c’è più; anche tanti latino-americani, i quali, via social e skype, ‘compartivano’ il momento ai familiari lontani e in patria.

Tra i tanti in fila, intervisto Paola, che, in lacrime, dice: ‘vorrei dire grazie a Raffaella, da parte di tutte le donne italiane, perché ci ha fatto capire il valore del corpo femminile e come usarlo, con eleganza e senza mai volgarità’.
Più avanti un uomo annuisce, col piglio di chi ha vissuto i controversi e scintillanti anni 70, e chiosa: ‘Raffaella è anche donna precorritrice dei tempi. Nel 1963 prese parte ad un film controverso sulla resistenza italiana, ‘Il terrorista’. Quasi un prodromo del disincanto del ’68’.
Attendo, insieme agli altri fan, guardandomi intorno: tutti gli altri blogger, corrispondenti e giornalisti, si assiepano sulla fila, quasi a strappare un briciolo di continuazione di spettacolo. Tanti i ricordi: Raffaella era una di famiglia.
Molti ventenni e trentenni attendono silenziosamente rumorosi: ricordano tutti Carramba, la fragorosa risata della Raffa, il suo inarcare le spalle quasi a far plastica la polvere di stelle, la stessa che le aveva donato la regia di Falqui.
Mario Coco, un mio coetaneo, comico e cineasta indie, amante della televisione ben fatta, ricorda che, abitando accanto casa sua per un periodo, aveva potuto tenere una conoscenza con lei cordiale e sincera. Ricorda di un suo invito e della sua delicatezza nello scriversi con uno scambio epistolare. Mario fa anche memoria con dolcezza di una sua chiamata, per scusarsi del non presenziare ad una sua prima a teatro. Modi di fare di un’artista vera.
Mentre sento e vedo tutto questo attorno a me, non posso non fare caso a una cosa, piccola e importantissima allo stesso tempo.
Il leit motiv di questi giorni di saluto a Raffaella sono le scale.
Quelle del Campidoglio, dislocate all’ingresso, ad inzio fila, e protratte, numerose, per giungere all’entrata della camera.
Quelle antistanti la Basilica di Santa Maria in Ara Coeli, in cui si celebreranno le esequie venerdì prossimo.
Scale: le medesime che la Carrà ha dovuto scendere, salendole prima dal dietro le quinte, per fare degno ingresso in palcoscenico.
L’ultima entrata scenica.
L’ultimo palcoscenico: l’ultimo sorriso donato al suo pubblico.
Dal Campidoglio e da una Roma torrida, pari all’entroterra della tanto amata Spagna di Raffaella, è tutto.
Con in cuffia ‘Fatalità’ chiudo l’articolo e vi auguro una vita che sappia di varietà.
Grazie Raffaella.

in coda alla camera ardente in Campidoglio