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‘Pelle’

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di Marzia MC Chiocchi

La moda nacque principalmente per la necessità di coprirsi, e anche con precise funzioni di distinguere le varie classi sociali. Nei secoli, è stata prerogativa delle famiglie ricche, sopratutto per l’alto valore dei tessuti e dei coloranti usati, che venivano estratti dal mondo minerale, animale e vegetale.

L’abito ha da sempre rappresentato qualcosa di straordinario ed unico, capace di trasmettere emozioni e sensazioni in chi lo guarda e lo indossa. Ma, buona parte della moda, negli ultimi anni, non sembra rappresentare tutto questo al meglio.

La Fast Fashion

La globalizzazione è entrata prepotentemente anche in questo settore, come rilevato da studi economici e medici. Domanda e profitto, per stare al passo, hanno creato la cosiddetta Fast Fashion (moda veloce) che produce e vende capi economici, proponendone sempre di nuovi a ciclo continuo e a basso costo.

Sebbene appetibile sul mercato, intorno alla Fast Fashion c’è inconsapevolezza, sugli eventuali rischi per la loro salute. Dai rapporti sull’ambiente, l’industria della moda veloce sarebbe la seconda più inquinante al mondo per lo scarico di coloranti e sostanze chimiche utilizzate per la produzione.

Problemi alla pelle

Esempio di dermatite

Gli studi forniti dai dermatologi italiani, parlano di problemi alla pelle in aumento, ed in particolare di dermatiti. Da una classifica in percentuale, l’8% delle malattie dermatologiche italiane, dipenderebbe dal contatto con l’abbigliamento, di cui il 69,1% a causa degli accessori e il 14% delle calzature. Senza considerare i casi sospetti, non ancora accertati, che riguardano il 30%delle persone affette da malattie della pelle.

In questi anni sono cambiati coloranti e tipi di tessuto, e la nostra pelle, sottoposta a sostante tossiche, si sta ribellando, procurando dermatiti e forme allergiche che, entrando nel sangue, rimarranno per sempre nell’organismo, rendendolo così sensibile da svilupparne anche altre nel corso della vita.

Le sostanze più pericolose

Sostanze chimiche in laboratorio

Tra le sostanze più pericolose presenti nei capi d’abbigliamento, per i dermatologi, vi sono:

– La Colofonia, residuo solido ottenuto dalla distillazione della resina di varie conifere, da cui si ricava la trementina usata per produrre coloranti. La possiamo rilevare nei cerotti, nastri adesivi, colle, cosmetici, makeup up, matite, stick per labbra.

– Ammine aromatiche derivate dall’ammoniaca.

– Formaldeide. Negli abiti viene usata come antimuffa, e per evitare le pieghe sul tessuto. È sostanza facilmente identificabile quando, toccando la stoffa percepiamo una patina tra le dita. Risulta quindi fondamentale lavare i vestiti appena acquistati, preferibilmente senza ammorbidente in quanto, spesso, la formaldeide è presente anche in questo prodotto.

– Organostamici. Utilizzati per la produzione di poliestere.

 Ftalati. Composti chimici per la produzione, il modellamento e la flessibilità delle materie plastiche. Usati per le stampe in rilievo di maglie e felpe. Sono interferenti endocrini, che potrebbero alterare lo sviluppo ormonale.

I rischi per i bambini

Tanto più dannosi, se entrano in contatto con la pelle dei bambini, maggiormente a rischio perché tendono a sudare di più, favorendo la penetrazione degli allergeni a livello cutaneo. Per questo, dovrebbero indossare capi meno colorati, o, in ogni caso, meno frequentemente.

Alla luce di tutto ciò, dovremmo fare attenzione non solo a quello che mangiamo, ma anche a quello che indossiamo. I pericoli, infatti, arrivano anche dall’esterno, perché la nostra pelle non è una muta da sub, che funge da isolante, ma una spugna.

In ogni caso occorre rassicurare i consumatori, senza creare allarmismi. Le sostanze chimiche sono presenti in molti capi di vestiario ma non in tutti, e comunque è importante che le quantità siano a norma e non superino le percentuali di legge.

Scarsa informazione sulle etichette

Etichette per abitu

Le tutele per il settore tessile, In Italia e in Europa, esistono, però sono frammentarie. Oltre alle normative, una forma di controllo, dovrebbe essere rappresentata dalle etichette, ma non sempre è così, perché queste nascondono spesso insidie e raccontano troppo poco del vestiario. Più in generale, indicano solo il tipo di tessuto, la provenienza, e nient’altro.

In base ai dati forniti dall’ Import, il 15%dei capi che entrano nel nostro Paese, non avrebbe etichetta, e il 44% l’avrebbe sbagliata.

Sfruttamento in Asia

Nei paesi poveri i bambini vengono avviati al lavoro minorile incontrollato

Molte delle catene italiane ed europee producono nel continente asiatico, in Paesi con scarse normative sul settore. Buona parte dell’abbigliamento proveniente da quei luoghi – come capi supercolorati, blu o neri, molti elastici della biancheria intima, calze e gli oggetti metallici – presenterebbe dei rischi per la salute. Inoltre, il cotone, nonostante sia una fibra naturale, provenendo dall’Asia, potrebbe presentare sostanze allergiche, perché coltivato con pesticidi e insetticidi in quantitativi per noi fuori legge.

La Fast Fashion, così, si basa su cicli di produzione continui sempre più ravvicinati, per esportare più collezioni annuali a prezzi di concorrenza. Di fronte ad una tale situazione è quindi impensabile credere di confezionare l’abbigliamento seguendo percorsi sostenibili, che invece hanno un alto valore di mercato. Possiamo affermare, per questo, che il cinismo di determinati settori della moda è ancora più colpevole perché consapevole.

Shopping in aumento con la Fast Fashion

Lavoratori sfruttati e costretti a lavorare in condizioni precarie

Con l’avanzare della moda veloce, in termini di numeri, ogni anno, acquistiamo il 40% di abbigliamento in più rispetto a venti anni fa.

Il 97% viene prodotto nei Paesi in via di sviluppo, dove lavorano molti bambini dai dodici anni di età in su. Nel mondo, circa quarantamilioni di persone lavora solo nel settore tessile.

Quattromilioni solo in Bangladeshdistribuiti in circa cinquemila fabbriche per vari marchi occidentali. Gli operai sono costituiti per la maggior parte da donne, con salari minimi di tre dollari al giorno, che lavorano in luoghi fatiscenti anche a rischio crollo, mettendo in pericolo la propria vita.

Avido business anche quello della moda, che concentra la ricchezza in poche mani, ottenendo enormi ricavi, senza predisporre tutele per i più deboli e bisognosi. Ignora il valore della vita, e riduce migliaia di persone in una sorta di schiavitù moderna. Un business, anche questo, che è l’esempio lampante della globalizzazione fuori controllo.

Il buon esempio italiano

Marchio di alta qualita’

Ma nella nostra Italia, c’è anche del buono. I distretti del Nord-Ovest, Biella e dintorni, nonostante abbiano visto la chiusura di numerose piccole/medie aziende del tessile, stanno ancora resistendo grazie alle famiglie storiche che, da generazioni, producono filati.

Esse stanno percorrendo una strada in controtendenza, puntando solo all’altissima qualità, tutelando il filato, la tessitura e il prodotto, insieme ai lavoratori. Grazie alle loro possibilità economiche, le grandi famiglie, i cui nomi riecheggiano in tutto il mondo, con il vero Made in Italy, hanno investito in ricerca e tecnologia, per esportare il cashmere e la vigogna migliori, riservate solo agli acquirenti certamente più facoltosi, ma tutelando la filiera e i posti di lavoro di intere famiglie.

In conclusione, spendere poco per vestirsi bene, cambiando spesso abito, è diventata la norma per gran parte delle persone, e questo, problematiche e rischi sopraelencati a parte, è adesso il motivo del successo della Fast Fashion. La vera qualità quindi esiste, ma è riservata a chi se la può davvero permettere.

Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.I.), che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale]

https://cataniacreattiva.it/la-salute-minacciata-anche-dai-vestiti-che-indossiamo/

di Lucia Giuliano

In questo bailamme neo culturale e scientista, forse è meglio recuperare alcuni fondamentali concetti dell’immunologia, che sono rimasti sempre uguali nonostante le mode e le nuove tendenze. Si, perché il nostro bravissimo sistema immunocompetente continua a lavorare sempre alla stessa maniera, in barba a chi si è inventato una nuova scienza, fantasiosa e  forse pure avveniristica.

Cominciamo a discutere sul fatto che mamma natura ci ha donato alcuni efficaci sistemi di barriera, che farebbero impallidire le odiose transenne davanti alla bocca, messe lì solo a confinare i “ rivoluzionari disobbedienti” delle improbabili regole attuali.

La pelle: con il suo corredo di peli, film lipidico e batteri, costituisce da sempre il primo efficacissimo rimedio contro eventuali “ malintenzionati patogeni” che impunemente volessero venire a contatto con il nostro organismo.

I detergenti e i disinfettanti utilizzati a “fermare” il virus del covidelirio, risultano essere come un missile sparato su una comunità di indigeni nella foresta, per uccidere un leone. Il leone scappa, gli abitanti muoiono e della comunità non resta altro che un cumulo di macerie. Mai tanta stupida presunzione ha potuto determinare tanti inutili danni.

Ma andiamo avanti…forse qualcuno dimentica pure, come il naso distanziato opportunamente dal viso (e non  solo per mera estetica), è dotato di rudimentali ma efficacissimi mezzi di blocco: tra queste, le vibrisse e le secrezioni ricche in IgA secretorie (la famosa vernice delle mucose, cit. di reminescenze universitarie) prodotte dall’intestino, che va approviggionando pure mucose bronchiali, congiuntivali ecc. Le mucose con le loro secrezioni, imbrigliano moltissime particelle sospese nell’aria, che vengono  poi allontanate alla velocità di 15/16 Km orari da un “ vento endogeno“, attivato da un riflesso nervoso che è lo starnuto, seguito ovviamente da una buona e salutare “ soffiata di naso” dentro il kleenex. Simile meccanismo hanno la bocca e le cavità annesse con le loro secrezioni, ed i riflessi scatenanti come i colpi di tosse.

Oggi, purtoppo, questi rudimentali meccanismi che hanno servito efficacemente i loro proprietari, sono stati rottamati da un surrogato inutile e nocivo qual è il pezzo di carta o di stoffa stampigliato sul muso a mò di bavaglio, ed e’ curioso quanto divertente, vedere a passeggio persone imbavagliate che portano a spasso i loro cani senza museruola, mentre lo starnutire o il tossire in pubblico, può far rischiare da una semplice occhiataccia della ligia  signora di turno (talvolta anche armata di bastone), agli  arresti per procurata epidemia o attentato alla salute pubblica. Forse, le nuove proposte di legge in merito, dovrebbero proporre la stesura di un nuovo “Galateo in epoca Covid “ fino all’ estensione nel codice penale di crimini contro l’umanità.

La regolazione della temperatura, il cui innalzamento, è uno dei metodi più efficaci per “estinguere nel fuoco dell’inferno” la maggior parte dei microrganismi, è stata messa alle porte dalla tachipirina, perché per qualcuno è certamente meglio nascondere un sintomo senza controllare la malattia, e sperare senza agire. Ai miei tempi, quelli della vera medicina, si lasciava il paziente a febbricitare al fine di studiare la famosa “curva termica” caratteristica insieme ad altri sintomi e segni del corpo, per fare la diagnosi al paziente durante la prima visita, direttamente a letto. La manifestazione di un miglioramento della stessa era l’indice del buon funzionamento terapeutico. Oggi quello che noto in tante persone, è che la febbre fa più paura che essere rinchiusi nella gabbia del leone (cit. quello scappato prima), per non parlare poi del controllo di altri efficacissimi strumenti di difesa (di tortura per qualcuno) quali l’acidità gastrica (spesso disturbata dagli antiacidi), la quale dissolverebbe la maggior parte degli organismi ingeriti, oltre a garantire ovviamente le corrette funzioni digestive.

Ma quando finalmente il mostro ha eluso con effetto al cloroformio tutte le prime sorveglianze, al di là delle barricate si appalesano in seconda linea i primi servizi speciali di pattugliamento:

I macrofagi fanno parte dell’immunità cellulare aspecifica, e poiché il loro motto è “da qui non passa lo straniero” se si lasciassero semplicemente in pace a fagocitare i nostri piccoli nemici ce la potremmo cavare un po’ meglio e senza troppe “discussioni”..

Stessa cosa vale per le cellule “Natural Killer” (linfociti NK) , per i mastociti, i basofili, gli eosinofili,  le cellule dendritiche e i neutrofili.. che con meccanismi differenziati assolvono a questo ingrato compito miliardi di volte nel corso della nostra vita mentre oggi sonnecchiano immobili e distratti nelle loro garitte in compagnia dei buoni ed efficientissimi  fattori bioumorali quali interferone, lisozima e complemento.

Ma una volta superata la prima e la seconda linea, esisterebbero ancora due classi particolari di linfociti atti a riconoscere e neutralizzare una presenza nemica e cioè i linfociti B (produttori di anticorpi) ed i Linfociti T in qualità di regolatori e controllori del sistema immunitario.

E’ noto come la vaccinazione  abbia determinato un implemento della durata e della qualità della vita nell’uomo  e nelle altre specie animali, ma forse non tutti fanno caso al fatto che, tale metodica, è stata inflazionata negli anni, ed abusata per ingrossare i portafogli dei produttori di farmaco che hanno mille interessi, fuorchè la salute di noi tutti. Anzi, deve essere reso noto come numerose patologie siano state create “ad hoc” , al fine di determinare la necessità del farmaco. E non parlo solo di malattie virali, ma pure metaboliche, psichiatriche ecc..

Non essendo questa la sede di tale discussione, per la quale mi riservo l’eventuale stesura di un articolo mirato, lascerei  qui solo un input per una breve ed  autonoma  riflessione sulla precocità di inizio delle vaccinazioni (a soli due mesi di vita) e l’abnorme quantità di vaccini inoculati in un’unica dose di esavalente… (un minuto di silenzio).

Ricordo, inoltre, come non sia stato mai possibile creare un vaccino su virus ad RNA (infatti nulla è stato prodotto ad esempio per i noti HCV ed HIV). Tale difficoltà è dovuta sostanzialmente alla particolare mutagenicità di tali virus e per tali intendo i virus ad RNA  come nel caso del SARS-COV-2.

Ogni immissione di nuovo farmaco sul mercato, deve seguire mirabolanti peripezie di lunghi controlli per testarne l’efficacia e la tollerabilità, oltre che l’autorizzazione di un preposto comitato etico. Per un vaccino le cose si complicano ulteriomente.

Le fasi di studio sono così sostanzialmente suddivise:

Studi di Fase I: ove partecipano alcune decine  di volontari e che hanno lo scopo di confermare nell’uomo la sicurezza del preparato già  dimostrata nelle fasi preliminari della ricerca di base, nonché valutarne la tollerabilità ovvero misurarne la  frequenza e gravità degli effetti collaterali.

Studi di Fase II: partecipano centinaia di volontari, e lo  scopo è  di confermarne ulteriormente il profilo di sicurezza e tollerabilità del vaccino, oltre a dimostrarne l’immunogenicità, ossia  la sua capacità di indurre una valida risposta immunitaria.

Studi di Fase III: qui vi  partecipano migliaia di volontari. Quasi sempre questi studi  sono condotti in numerosi centri di ricerca (multicentrici) ed ancora una volta  hanno l’obiettivo di confermare definitivamente la sicurezza, la tollerabilità e l’immunogenicità del vaccino su una popolazione molto ampia di soggetti.

Le risposte degli studi di fase, una volta conclusi in maniera positiva, vanno ulteriormente acquisite e valutate da agenzie regolatorie preposte a livello nazionale (AIFA) ed internazionale ( es FDA)  affinchè il vaccino possa ottenere l’autorizzazione al suo utilizzo. Ma anche dopo la sua autorizzazione all’utilizzo, il nuovo vaccino, così come tutti i nuovi farmaci, viene tenuto sotto controllo per rilevare effetti collaterali e/o problemi eventualmente sfuggiti agli studi clinici precedenti, perché questi si possono manifestare molto raramente o anche nel lungo/lunghissimo termine, o solo in condizioni particolari. Dopo la commercializzazione del vaccino, è possibile valutare la sua efficacia sul campo (effectiveness) intesa come la capacità non solo di stimolare una buona risposta del nostro sistema immunitario ma di prevenire le malattie causate dal microrganismo contro il quale il vaccino induce la risposta.

Balza immediatamente agli occhi come, ogni fase a partire dalla seconda e le precedenti alla prima,  siano state acrobaticamente “saltate”  e come oggi ci troviamo, in nome di un volere opportunista,  all’interno di un preoccupante fenomeno sociale gestito da una politica perversa e in malafede, inducendo letteralmente una distorsione della realtà attraverso quella della governance operativa, dove le cure veramente efficaci, semplici,  innocue ed economiche, sono state bandite! Dove muore ogni contraddittorio con la scienza più sana ed i professionisti più competenti, a favore di una narrazione univoca premeditata ed attuata da menti diabolicamente geniali.