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La Redazione

L’attuale presidente Macron è noto recentemente per aver introdotto un obbligo vaccinale oggettivo per i lavoratori nella sanità e assistenza, e surrettizio per tutti gli altri, attraverso divieti draconiani di entrare nei luoghi pubblici. Questo ha portato a proteste in Francia, anche di massa, che vedremo a cosa porteranno, si legge su “Scenari Economici“.

Lo sapete che, agli inizi della sua carriera economica e politica, Macron ebbe dei contatti stretti e fruttuosi con una delle maggiori aziende produttrici di vaccini cioè Pfizer.  Per narrarvelo ci rifacciamo ad un articolo del 2017 che presentava il ruolo del futuro presidente fra Rotschild, Nestlé e Pfizer.

Prima di entrare nei Rothschild, il giovane Macron, divenuto ispettore finanziario dopo aver completato la Scuola nazionale di amministrazione (ENA), venne assunto nel 2007 dall’economista Jacques Attali per entrare a far parte della Commissione per la liberazione della crescita francese. È stato appena creato dal presidente eletto, Nicolas Sarkozy, per suggerire possibili vie di riforma dell’economia. 

Nel suo lavoro di vice segretario conosce personaggi importanti come , l’amministratore delegato di Axa (assicurazioni) Claude Bébéar, il capo di Areva (nucleare) Anne Lauvergeon, ma anche Peter Brabeck, allora amministratore delegato (CEO) di Nestlé.

I due uomini “continuano a vedersi una volta che il rapporto è stato reso pubblico”, osserva Marc Endeweld nel suo libro “L’ambiguo Monsieur Macron”. Tra loro si instaura un rapporto di fiducia, al punto che l’austriaco propone a Emmanuel Macron di entrare a far parte della dirigenza francese di Nestlé». Macron però rifiuta, perché ha altri obiettivi. L’anno successivo, Macron entra a far parte di un’altra commissione, sul futuro delle professioni legali, dove incontra Hans Peter Frick, direttore dei servizi legali di Nestlé.

Nel frattempo, l’ambizioso giovane funzionario Macron è diventato banchiere e non in un posto a caso, ma dai Rothschild, che negli anni 50 avevano avuto come impiegato il futuro presidente Georges Pompidou, e aveva stretti rapporti d’affari con Nicolas Sarkozy prima della sua elezione. Diremmo un luogo di lavoro fortunato.

Assunto come manager, Emmanuel Macron è diventato nel dicembre 2010 il più giovane socio amministratore della potentissima banca d’affari. Ciò non gli impedisce di consigliare il candidato socialista François Hollande quando si imbarca nella campagna presidenziale.

Proseguiamo.  All’inizio del 2012, il colosso farmaceutico americano Pfizer ha messo in vendita la sua divisione di nutrizione infantile. Nestlé si candida, così come l’americano Mead Johnson e il francese Danone. Il gruppo svizzero si rivolge a Rothschild & Cie per gestire la trattativa. Un successo per Macron: Nestlé non era mai stata cliente Rothschild.

I concorrenti diretti di Rothschild, Lazard, sta invece seguendo la Danone, favorita nella corsa. Però Macron ha un contatto diretto con il CEO di Nestlé, Brabeck e lo incontra spesso direttamente. Ad aprile Danone ha presentato una domanda più ricca degli altri a Pfizer e sta per vincere. A questo punto Macron convince Nestlé ad aumentare la propria offerta, convincendo anche il Consiglio di Amministrazione svizzero. Alla fine il colosso svizzero vince offrendo la Pfizer la ricca cifra di 11,9 miliardi di dollari, e a Macron arriva un premio di un milione di euro. Però anche Pfizer non si lamenta del lavoro di Macron, perché porta a casa una cifra che non avrebbe mai pensato d’incassare e sicuramente sarà stata molto grata al giovane che, probabilmente non a casa, inizia la pensare seriamente alla politica proprio dopo quest’affare.

FONTE: ANSA

Questo articolo è condiviso dal Comitato Tecnico Libera Informazione (Co.Te.L.In.), di cui fa parte anche Catania CreAttiva, che vede la collaborazione di diversi giornalisti e blogger, supportati da un team di medici ed avvocati, formatosi con l’unico intento di collaborare per la ricerca e condivisione della Verità sui principali fatti di rilevanza sia nazionale, che europea, che mondiale.

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https://cataniacreattiva.it/macron-il-capocordata-europeo-per-il-vaccino-obbligatorio-ecco-i-suoi-legami-con-pfizer-e-nestle/

Nel modello globale esistono evidentemente alcuni meccanismi ormai usurati. Forse l’Italia è uno di questi? 

di Roberto Roggero

Nel gigantesco circuito della Finanza, che estende i suoi tentacoli a livelli difficilmente immaginabili, solo nove Paesi hanno una propria Banca Centrale che, pur attraverso i gangli del sistema “scatole cinesi”, non faccia capo a nomi come Rothschild, dinastia che, insieme a pochissime altre, alimenta semplicemente tutto. Non esiste quindi una “Banca Rothschild” in Russia, Cina, Venezuela, Iran, Cuba, Ungheria, Siria, Islanda e Nord Corea. Inoltre, Venezuela, Iran e Russia sono anche i primi tre produttori di energia al mondo, considerando i giacimenti di petrolio, carbone e gas. Per il resto, in un modo o in un altro, tutti gli istituti nazionali di credito, definiti quindi per statuto “organismo di uno stato indipendente sovrano”, di fatto non lo sono, dal momento che, direttamente o per conto terzi/quarti/quinti/ecc. sono controllate da Rotschild & Soci. Da considerare poi che le Banche Centrali di Svizzera (in primis), Giappone, Grecia e Belgio, hanno costituito società quotate in Borsa. Da qui si comprende perché certi Stati, con istituto di credito effettivamente statale indipendente, sono costantemente attaccati a diversi livelli, e soprattutto mediaticamente, da holding della comunicazione che al vertice, dopo un contorto organigramma, trovano i soliti noti. 

Il riferimento è in particolare a quello che i media mainstream occidentali hanno battezzato “Asse del Male”, con annessi simpatizzanti e alleati, evidenti o meno. In questi casi, determinati progetti di destabilizzazione, partono dalle pagine dei giornali o da particolari siti internet o reti radiotelevisive, e si comprende quindi, perché i sopracitati nove Paesi siano considerati “il nemico”. 

A questo punto, viste le condizioni socio-economiche di certi Paesi, una domanda sorge automatica: quando una Banca Centrale, e un governo (se non sono la stessa cosa), progettano la politica economica e l’economia politica (che non sono la stessa cosa), stanno pensando ai benefici della gente della strada, o dei propri azionisti? Altrettanto scontata la risposta, che porta a capire perché un Paese come il Belgio possa stare per quasi due anni senza un governo, quando a tutti gli effetti il ruolo del governo è relativo. E si comprende perché un Paese come la Grecia sia in balia della cosiddetta “Troika” (Fondo Monetario Internazionale-Banca Centrale Europea-Commissione Europea). 

Parlando di Commissione Europea, a un cittadino italiano/europeo, interessa presumibilmente il ruolo del proprio Paese, dove la Banca d’Italia sarebbe una istituzione direttamente dipendente dal governo. Sbagliato: la banca nazionale italiana è una società di azionisti, il cui elenco appare oltretutto senza censure sul sito stesso alla voce “partecipanti”. I principali azionisti sono Banca Intesa San Paolo e Unicredit, con il 52%, seguite da Inail e Inps come enti statali (con quote ben poco rilevanti pari al 7%). Il capitale messo in campo dalle due principali banche italiane è però fornito in maggioranza dai soliti noti. 

Veniamo quindi al problema immediatamente relativo: il controllo della circolazione monetaria. Il riferimento alla dichiarazione di Mayer Amshel Rotschild non ha bisogno di spiegazioni, e già dal 1773: “Permettetemi di emettere e controllare la moneta di una nazione, e non mi importa chi fa le sue leggi. La nostra politica è quella non di fomentare le guerre, ma dirigere Conferenze di Pace, in modo che nessuna delle parti in conflitto possa avere guadagni territoriali. Le guerre, e non solo quelle combattute con gli eserciti, devono essere dirette in modo tale che le nazioni, di qualsiasi schieramento, sprofondino sempre di più nel loro debito e, quindi, sempre di più sotto il nostro potere. Pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi”. Non è questione di fare parte o meno della schiera dei “complottisti”, è semplicemente l’evidenza dei fatti. 

Qual’è l’elemento a monte che fa la differenza? Forse un diverso percorso evolutivo riservato a pochi, rispetto alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale? Forse proprio un diverso stadio di comprensione dello sviluppo stesso, per cui una parte dell’umanità non è sufficientemente progredita, giunta però al limite della necessità di un cambiamento. In effetti, il punto è questo: un nucleo di pochi amministra e gestisce qualcosa come mille triliardi di dollari (provate a rappresentare la cifra numericamente…), mentre la maggior parte non ha neanche mai visto una banconota. 

Non è questo il caso dell’Italia, certo. A maggiore ragione dal momento che si conosce il valore del denaro, tale concetto appare ancor più evidente. E l’attuale caso degli accordi conclusi dai governi di tutto il mondo per l’acquisto del vaccino anti-covid, dovrebbe fare riflettere sul volume di denaro mosso dalle multinazionali farmaceutiche. Si provi quindi a ripercorrere l’organigramma di alcuni marchi ormai noti, e si noti cosa o chi appare ai vertici. 

Un altro esempio italiano è Paolo Scaroni, Deputy Chairman di Rothschild Group, già amministratore delegato di ENI e di Enel. Relativamente al caso covid, ha dichiarato: “Ci auguriamo tutti che finisca presto l’epidemia, ma sarà solo per entrare in un altro scenario drammatico…Il tema italiano non è quel che dice Bruxelles, ma quel che pensano i mercati. Dunque quanto ci costa il debito? Bisogna che in parallelo la BCE aumenti l’acquisto dei Titoli di Stato, e per la verità lo sta facendo, indirizzando un grande volume di acquisti nei riguardi del debito del nostro Paese. Altrimenti lo spread andrà alle stelle, con il rischio default. Sul circuito economico e finanziario internazionale, bisogna poi considerare che, in seguito alla pandemia, la Russia avrà peso politico sempre maggiore”. 

L’Italia si trova quindi a questo punto: uno scenario geopolitico ed economico-finanziario in tensione sempre maggiore, con probabili cambiamenti ai vertici politici, che si trovano ad affrontare un debito enorme, di oltre 2.500 miliardi di euro che, per paradosso, costa molto di più dell’effettivo valore nominale. 

A che cosa si deve tutto questo? I fattori sono molteplici, ma non ultimo la crisi del modello economico basato sul sistema Banche Centrali che, in Europa, si trasforma in BCE. Sempre riguardo l’Italia, le quote garantite a Inail e Inps assicurano il sostegno delle politiche previdenziali e del lavoro, anche se un regolamento interno stabilisce che i dividenti non debbano essere superiori al 3% per ogni partecipante al capitale, e quindi il restante 94% dei dividenti, di fatto è proprietà privata. 

Il 52% di Unicredit e Intesa San Paolo è poi costituito da azionisti quali JP Morgan (che controlla anche Monte dei Paschi di Siena), Banco Santander, ABN e AMRO, Blackrock (multinazionale americana che a sua volta ha un piede ben piantato in Atlantia Autostrade e Telecom. Fra gli altri grandi nomi, i tentacoli delle multinazionali straniere si sono ormai radicati in Enel, Banco Popolare, ENI, Fiat, Generali, Finmeccanica, Banca Popolare di Milano, Fonsai, Mediobanca, UBI e di recente, anche Poste Italiane. A questo punto, che cosa rimane di italiano, in Italia? 

La sopra menzionata necessità di cambiamento, per il fallimento del sistema economico occidentale, è nient’altro che la diretta conseguenza di diversi errori di valutazione nel momento di passaggio dalla moneta direttamente collegata alle riserve auree, al successivo corso legale sostanzialmente legato al dollaro, a seguito degli Accordi Bretton-Woods del 1944. Elemento che ha determinato il fallimento del sistema delle riserve di capitali di enti pubblici, e istituti di credito privati e assicurativi, che non regge più l’emissione a prestito e il relativo addebito di nuova moneta. 

A tale proposito, forse non tutti sanno che l’euro è “moneta a debito”, ovvero acquistata dagli Stati membri dell’UE e pagata secondo un valore nominale cui si devono aggiungere gli “oneri finanziari” in Titoli di Stato, che ne aumentano in modo esponenziale il debito stesso, secondo quanto stabilito dagli accordi di Maastricht, per altro non ancora rinnovati, soprattutto nelle attuali fasi cruciali di epidemia da Covid. 

I vari elementi, messi insieme, determinano la non ulteriore sostenibilità del sistema di interazione fra BCE ed emissione di moneta a debito, e anzi, ne aggravano la crisi, in atto da decenni. 

La BCE ha recentemente dichiarato una nuova emissione di moneta, a sostegno dell’emergenza Covid-19, per un totale di 700 miliardi di euro per tutta UE ma, date le premesse, questa massa di denaro dovrebbe essere accreditata, e non addebitata, agli Stati europei. Quello che gli Stati devono riconoscere alla BCE sono i soli costi di stampa del denaro circolante, e semmai i costi operativi per l’emissione, ma non il costo nominale dell’intera quantità monetaria emessa oltre agli oneri finanziari.  

Paesi come l’Italia sono stati costretti a ridurre le spese sanitarie che, in alternativa, sarebbero state fondamentali nella gestione di questa emergenza Covid. L’Italia è stata inoltre costretta a svendere i propri patrimoni nazionali (porti, musei, intere filiere industriali e commerciali) a favore di potenze come Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Arabia Saudita, e alle aziende loro collegate. 

Oggi l’economia trainante su scala mondiale è quella definita “della conoscenza”. Le merci che hanno il maggior valore aggiunto, e sono protagoniste degli scambi internazionali, sono quelle il cui valore è dato non solo, e non tanto, da quello delle materie prime e del valore del lavoro (uomo o macchina che sia) per trasformarli, ma anche e soprattutto dal valore di conoscenza (scientifica, ma non solo) che hanno compreso. Il telefono cellulare, ad esempio, avrebbe un costo irrisorio se il valore fosse dato dalle materie prime che contiene e dal lavoro necessario per assemblarlo. Costa tanto per l’altissima tecnologia informatica che contiene. 

A partire dalla metà degli anni ’80 del secolo scorso il mondo industrializzato si è enormemente allargato. Sulla scena sono apparsi nuovi protagonisti, fra cui la Cina, ma non solo. Almeno una dozzina di Paesi del Sud-est asiatico, e anche altre economie emergenti in Sud America e Africa.

Nel contesto, definito “nuova globalizzazione”, il ruolo dell’Italia è cambiato. Non siamo più il più povero fra i ricchi. Molto più poveri di noi, in termini sia relativi che assoluti, da trent’anni a questa parte ci sono altri competitori. Questo cambiamento di ruolo è stato determinante, perché nella fase precedente, quando eravamo i più poveri fra i ricchi, potevamo sfruttare la leva del basso costo del lavoro per rendere competitive le nostre merci a piccola e media tecnologia. Parliamo dell’industria e dei beni industriali, ma analogo discorso vale per i servizi. 

Si poteva agire diversamente? Certo sì, e di esempi ce ne sono diversi, a partire dalla Corea del Sud, Paese più piccolo del nostro, o dalla Finlandia. A partire dal 1980, la Corea del Sud ha deciso di puntare sull’economia della conoscenza, partendo dall’educazione e dalla ricerca scientifica. Quarant’anni fa il Sud Corea vantava un numero relativo di laureati inferiore a quello dell’Italia, mentre oggi oltre il 70% dei giovani sudcoreani tra i 25 e i 34 anni è in possesso di almeno una laurea, ed è un record mondiale, così come gli investimenti relativi alla ricerca scientifica. Oggi la Corea del Sud è un Paese all’avanguardia nell’economia della conoscenza e il suo Pil è quello che è cresciuto di più dopo quello della Cina. 

L’Italia, invece, vanta il minor numero di laureati fra i giovani di tutta l’area OCSE, con poche eccezioni. Quanto agli investimenti in ricerca e sviluppo, siamo fanalino di coda in Europa, con l’1,3% di investimenti rispetto al Pil, poco più della metà della media europea e mondiale, e meno di 1/3 rispetto a quella della Corea del Sud. 

Il ristagno dell’economia italiana dura almeno trent’anni. Un lasso di tempo a tal punto esteso che per una ripresa in piena regola bisognerebbe ripartire da condizioni di Paese in via di sviluppo. Tema ampiamente discusso da vari economisti negli anni ‘60. Una cosa però è l’analisi di un passato che ben si conosce, un’altra quella di cercare di ipotizzare un futuro prossimo denso di nebbie e incertezze. 

Va comunque riconosciuto che, a vantaggio del nostro Paese, vi è oggettivamente una struttura abbastanza solida e competitiva, che ha il suo fulcro nella capacità produttiva e nel risparmio privato che, pur colpito dal debito pubblico, rimane punto di riferimento del sistema economico. 

Al “comune mortale”, però, tutto questo, alla fine poco importa. Egli è semmai, e giustamente, interessato a che gli vengano offerte possibilità di arrivare ogni mese alla fine del mese, senza far mancare nulla ai propri cari, ben prima di ogni quotazione in borsa, regolamentazione, credito, capitalizzazione, governance, ecc… In una parola, credibilità. 

di Lucia Giuliano

In questo bailamme neo culturale e scientista, forse è meglio recuperare alcuni fondamentali concetti dell’immunologia, che sono rimasti sempre uguali nonostante le mode e le nuove tendenze. Si, perché il nostro bravissimo sistema immunocompetente continua a lavorare sempre alla stessa maniera, in barba a chi si è inventato una nuova scienza, fantasiosa e  forse pure avveniristica.

Cominciamo a discutere sul fatto che mamma natura ci ha donato alcuni efficaci sistemi di barriera, che farebbero impallidire le odiose transenne davanti alla bocca, messe lì solo a confinare i “ rivoluzionari disobbedienti” delle improbabili regole attuali.

La pelle: con il suo corredo di peli, film lipidico e batteri, costituisce da sempre il primo efficacissimo rimedio contro eventuali “ malintenzionati patogeni” che impunemente volessero venire a contatto con il nostro organismo.

I detergenti e i disinfettanti utilizzati a “fermare” il virus del covidelirio, risultano essere come un missile sparato su una comunità di indigeni nella foresta, per uccidere un leone. Il leone scappa, gli abitanti muoiono e della comunità non resta altro che un cumulo di macerie. Mai tanta stupida presunzione ha potuto determinare tanti inutili danni.

Ma andiamo avanti…forse qualcuno dimentica pure, come il naso distanziato opportunamente dal viso (e non  solo per mera estetica), è dotato di rudimentali ma efficacissimi mezzi di blocco: tra queste, le vibrisse e le secrezioni ricche in IgA secretorie (la famosa vernice delle mucose, cit. di reminescenze universitarie) prodotte dall’intestino, che va approviggionando pure mucose bronchiali, congiuntivali ecc. Le mucose con le loro secrezioni, imbrigliano moltissime particelle sospese nell’aria, che vengono  poi allontanate alla velocità di 15/16 Km orari da un “ vento endogeno“, attivato da un riflesso nervoso che è lo starnuto, seguito ovviamente da una buona e salutare “ soffiata di naso” dentro il kleenex. Simile meccanismo hanno la bocca e le cavità annesse con le loro secrezioni, ed i riflessi scatenanti come i colpi di tosse.

Oggi, purtoppo, questi rudimentali meccanismi che hanno servito efficacemente i loro proprietari, sono stati rottamati da un surrogato inutile e nocivo qual è il pezzo di carta o di stoffa stampigliato sul muso a mò di bavaglio, ed e’ curioso quanto divertente, vedere a passeggio persone imbavagliate che portano a spasso i loro cani senza museruola, mentre lo starnutire o il tossire in pubblico, può far rischiare da una semplice occhiataccia della ligia  signora di turno (talvolta anche armata di bastone), agli  arresti per procurata epidemia o attentato alla salute pubblica. Forse, le nuove proposte di legge in merito, dovrebbero proporre la stesura di un nuovo “Galateo in epoca Covid “ fino all’ estensione nel codice penale di crimini contro l’umanità.

La regolazione della temperatura, il cui innalzamento, è uno dei metodi più efficaci per “estinguere nel fuoco dell’inferno” la maggior parte dei microrganismi, è stata messa alle porte dalla tachipirina, perché per qualcuno è certamente meglio nascondere un sintomo senza controllare la malattia, e sperare senza agire. Ai miei tempi, quelli della vera medicina, si lasciava il paziente a febbricitare al fine di studiare la famosa “curva termica” caratteristica insieme ad altri sintomi e segni del corpo, per fare la diagnosi al paziente durante la prima visita, direttamente a letto. La manifestazione di un miglioramento della stessa era l’indice del buon funzionamento terapeutico. Oggi quello che noto in tante persone, è che la febbre fa più paura che essere rinchiusi nella gabbia del leone (cit. quello scappato prima), per non parlare poi del controllo di altri efficacissimi strumenti di difesa (di tortura per qualcuno) quali l’acidità gastrica (spesso disturbata dagli antiacidi), la quale dissolverebbe la maggior parte degli organismi ingeriti, oltre a garantire ovviamente le corrette funzioni digestive.

Ma quando finalmente il mostro ha eluso con effetto al cloroformio tutte le prime sorveglianze, al di là delle barricate si appalesano in seconda linea i primi servizi speciali di pattugliamento:

I macrofagi fanno parte dell’immunità cellulare aspecifica, e poiché il loro motto è “da qui non passa lo straniero” se si lasciassero semplicemente in pace a fagocitare i nostri piccoli nemici ce la potremmo cavare un po’ meglio e senza troppe “discussioni”..

Stessa cosa vale per le cellule “Natural Killer” (linfociti NK) , per i mastociti, i basofili, gli eosinofili,  le cellule dendritiche e i neutrofili.. che con meccanismi differenziati assolvono a questo ingrato compito miliardi di volte nel corso della nostra vita mentre oggi sonnecchiano immobili e distratti nelle loro garitte in compagnia dei buoni ed efficientissimi  fattori bioumorali quali interferone, lisozima e complemento.

Ma una volta superata la prima e la seconda linea, esisterebbero ancora due classi particolari di linfociti atti a riconoscere e neutralizzare una presenza nemica e cioè i linfociti B (produttori di anticorpi) ed i Linfociti T in qualità di regolatori e controllori del sistema immunitario.

E’ noto come la vaccinazione  abbia determinato un implemento della durata e della qualità della vita nell’uomo  e nelle altre specie animali, ma forse non tutti fanno caso al fatto che, tale metodica, è stata inflazionata negli anni, ed abusata per ingrossare i portafogli dei produttori di farmaco che hanno mille interessi, fuorchè la salute di noi tutti. Anzi, deve essere reso noto come numerose patologie siano state create “ad hoc” , al fine di determinare la necessità del farmaco. E non parlo solo di malattie virali, ma pure metaboliche, psichiatriche ecc..

Non essendo questa la sede di tale discussione, per la quale mi riservo l’eventuale stesura di un articolo mirato, lascerei  qui solo un input per una breve ed  autonoma  riflessione sulla precocità di inizio delle vaccinazioni (a soli due mesi di vita) e l’abnorme quantità di vaccini inoculati in un’unica dose di esavalente… (un minuto di silenzio).

Ricordo, inoltre, come non sia stato mai possibile creare un vaccino su virus ad RNA (infatti nulla è stato prodotto ad esempio per i noti HCV ed HIV). Tale difficoltà è dovuta sostanzialmente alla particolare mutagenicità di tali virus e per tali intendo i virus ad RNA  come nel caso del SARS-COV-2.

Ogni immissione di nuovo farmaco sul mercato, deve seguire mirabolanti peripezie di lunghi controlli per testarne l’efficacia e la tollerabilità, oltre che l’autorizzazione di un preposto comitato etico. Per un vaccino le cose si complicano ulteriomente.

Le fasi di studio sono così sostanzialmente suddivise:

Studi di Fase I: ove partecipano alcune decine  di volontari e che hanno lo scopo di confermare nell’uomo la sicurezza del preparato già  dimostrata nelle fasi preliminari della ricerca di base, nonché valutarne la tollerabilità ovvero misurarne la  frequenza e gravità degli effetti collaterali.

Studi di Fase II: partecipano centinaia di volontari, e lo  scopo è  di confermarne ulteriormente il profilo di sicurezza e tollerabilità del vaccino, oltre a dimostrarne l’immunogenicità, ossia  la sua capacità di indurre una valida risposta immunitaria.

Studi di Fase III: qui vi  partecipano migliaia di volontari. Quasi sempre questi studi  sono condotti in numerosi centri di ricerca (multicentrici) ed ancora una volta  hanno l’obiettivo di confermare definitivamente la sicurezza, la tollerabilità e l’immunogenicità del vaccino su una popolazione molto ampia di soggetti.

Le risposte degli studi di fase, una volta conclusi in maniera positiva, vanno ulteriormente acquisite e valutate da agenzie regolatorie preposte a livello nazionale (AIFA) ed internazionale ( es FDA)  affinchè il vaccino possa ottenere l’autorizzazione al suo utilizzo. Ma anche dopo la sua autorizzazione all’utilizzo, il nuovo vaccino, così come tutti i nuovi farmaci, viene tenuto sotto controllo per rilevare effetti collaterali e/o problemi eventualmente sfuggiti agli studi clinici precedenti, perché questi si possono manifestare molto raramente o anche nel lungo/lunghissimo termine, o solo in condizioni particolari. Dopo la commercializzazione del vaccino, è possibile valutare la sua efficacia sul campo (effectiveness) intesa come la capacità non solo di stimolare una buona risposta del nostro sistema immunitario ma di prevenire le malattie causate dal microrganismo contro il quale il vaccino induce la risposta.

Balza immediatamente agli occhi come, ogni fase a partire dalla seconda e le precedenti alla prima,  siano state acrobaticamente “saltate”  e come oggi ci troviamo, in nome di un volere opportunista,  all’interno di un preoccupante fenomeno sociale gestito da una politica perversa e in malafede, inducendo letteralmente una distorsione della realtà attraverso quella della governance operativa, dove le cure veramente efficaci, semplici,  innocue ed economiche, sono state bandite! Dove muore ogni contraddittorio con la scienza più sana ed i professionisti più competenti, a favore di una narrazione univoca premeditata ed attuata da menti diabolicamente geniali.